Come stanno, oggi, le donne in Italia? Come viene narrata la loro condizione occupazionale, economica e sociale dal governo e dalle figure di potere? Queste sono le domande da cui parte il panel Racconto del potere e realtà della condizione delle donne, moderato da Lisa Di Giuseppe con Linda Laura Sabbadini, pioniera negli studi di genere, statistica, studiosa di cambiamenti sociali, già direttrice dell'Istat; e Giorgia Serughetti, filosofa politica, ricercatrice, autrice di numerosi saggi sui temi di genere e femminismo ed editorialista di Domani.

Donne, lavoro e potere

Giorgia Meloni dice che non ha bisogno di farsi chiamare «la presidente», che la sua politica ha dati ottimi sull’occupazione femminile. Ma è davvero così? Per Linda Laura Sabbadini, il confronto con altri paesi è deprimente: «Abbiamo il 57.5 per cento di donne occupate, ma la Germania ha superato il 70 per cento, la Francia il 77 per cento e il Regno Unito il 75 per cento. I nordici hanno superato l'80 per cento». È un dato che si protrae nel tempo, «ed ora siamo gli ultimi nella graduatoria europea».

Nessun governo, però, si è mai dato una strategia adeguata: «Su questo dobbiamo essere chiari, al massimo sono state fatte delle leggi oppure sono stati presi dei provvedimenti di un certo tipo, ma non un complesso di misure che potesse, effettivamente, dare una scossa».

C’è un problema serio di cultura politica, che ha fatto sì che negli anni «la priorità donne non sia stata presente. Non c’è mai stata una strategia complessiva, e questo lo paghiamo». Di Giuseppe, sul tema, ricorda che «avere una donna al potere non è automaticamente un beneficio per tutte» e questo apre la riflessione di Giorgia Serughetti sul tema delle donne al governo: «È un’ottima occasione che ci mette davanti alla contraddizioni delle donne in politica e della politica per le donne, che durante la salita al potere delle donne di destra, si disarticola».

Una presunzione ingenua che «all’ascesa di una donna, ci sia un’agenda vigorosa verso i diritti delle donne». Molte donne di destra «rappresentano il proprio successo come un’avventura puramente individuale: quella di una persona speciale che è stata in grado di combattere contro gli ostacoli della politica, anche maschile».

Questa eccezionalità scrive una storia individuale, non collettiva: «Qualcuno ha mai visto Meloni interpellare associazioni di donne per un confronto? La sua agenda è patriarcale. Non immagina il suo potere come emancipazione collettiva». Politiche reazionarie, dunque, nonché prive di avanzamento di diritti collettivi.

Diritti, madri e woke

Di Giuseppe ha ricordato che, durante i viaggi di lavoro, Meloni ha portato la figlia con sé, come a dimostrare che maternità e lavoro possano convivere. Ma in questo paese è davvero così per le donne? Per Sabbadini «questo è un paese in cui il 20 per cento delle donne lascia il lavoro alla nascita di un figlio» e dove sussiste un altro grande elemento di criticità: il passaggio obbligato al part time involontario, con la percentuale più alta di tutti i paesi europei.

«Questa realtà che Meloni vuole rappresentare - continua Sabbadini - si scontra con una completamente differente: i servizi sociali sono particolarmente carenti, e il ruolo che le donne hanno avuto è sempre più in crisi. Quelle nonne che si sono sempre fatte carico dei nipoti, ora hanno anche la cura di genitori anziani non autosufficienti - come caregiver». Il carico del lavoro familiare sulle spalle delle donne, misurato dall’Istat, «era all’80 per cento, poi eravamo arrivati al 67 per cento. Questo perché le donne avevano deciso di tagliare sul lavoro familiare – cucinare, stirare, lavare - e gli uomini più giovani erano entrati nel lavoro familiare». 

Ma come vive la destra la questione dei diritti e lo spettro, continuamente evocato, della cosiddetta “cultura woke”? Per Serughetti «c’è un conflitto tra l’esprimere la propria idea e il bisogno di gruppi minorizzati politicamente, svantaggiati socialmente e discriminati, di essere riconosciuti». È dunque importante garantire che la libertà di parola «sia tutelata nei limiti di ciò che si conviene sia rispettoso per le persone».

Questo confine di rispetto è oggetto di lotta politica: «Come non utilizzare il maschile sovraesteso, ovvero la battaglia delle donne femministe per utilizzare il femminile. Un tipo di battaglia che ha modificato profondamente il modo di parlare». Quel confine è oggetto di conflitto, ed è preso d’assalto dalle maggioranze: «Le guerre culturali vengono rappresentate come se le due parti fossero uguali, come se ci fosse una parità di potere; ma non è così. Bisognerebbe provare a tenere dentro la dimensione del potere in questa discussione».

Rivoluzione culturale, stereotipi e femminismi

Per Sabbadini, per iniziare una rivoluzione culturale, dovremmo mettere al centro la questione degli stereotipi: «Il problema è che gran parte degli stereotipi vengono trasmessi inconsapevolmente». Questo elemento fa sì che uno strumento fondamentale è far crescere la consapevolezza e combattere il problema alla radice: «Come prima cosa nei percorsi di formazione, che deve riguardare anche gli insegnanti e i percorsi di studio, che devono iniziare dalle scuole d’infanzia».

Quello che emerge da una recente ricerca è che «le famiglie e i genitori richiedono educazione sesso-affettiva nella scuola; soprattutto dopo il femminicidio Cecchettin». Un bisogno ampio di consapevolezza, che porta a chiudere il panel sull’attualità, legata alla vicenda delle chat rese pubbliche la scorsa settimana. Per Serughetti, a partire da un caso, «tutto questo è diventato un’occasione per attaccare lo stato di salute del femminismo, e questo è inaccettabile».

Anche Serughetti è rimasta colpita «nel leggere la parte degli insulti alle altre donne. Una postura femminista in pubblico ci si augura che corrisponda, in una misura importante, in un atteggiamento in conversazione private. Un’educazione di pensiero e del linguaggio anche nella relazione di dissenso».

Questo significa che abbiamo un problema con il femminismo? «Proprio no. Sicuramente queste influencer sono femministe, ma il punto è che non fanno femminismo. Non costruiscono, attraverso questo agire, una dimensione collettiva». L’individualizzazione della postura, delle battaglie, per la filosofa si colloca fuori dall’idea di movimento. Serughetti conclude: «Penso che non ci racconti molto, per fortuna, di come sta oggi il femminismo. Che vive anche nella rete ma soprattutto nelle relazioni, nel rapporto fisico, nelle lotte collettive e grandi obiettivi da raggiungere».

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