«Le bambine di questo paese possono sognare anche loro di diventare presidenti del Consiglio ma le buone notizie finiscono qui. Gli ideali di Meloni non sono femministi», dice Dandini. Nel suo incontro ha affrontato diverse questioni: dall’attivismo delle nuove generazioni per contrastare la violenza di genere al ruolo della Rai
Il direttore di Domani, Emiliano Fittipaldi, ha aperto il penultimo panel della prima giornata, Donne spettacolari, in cui ha dialogato con Serena Dandini di femminismi, patriarcato, alleanze ed educazione sessuo-affettiva. Il tutto a partire dal libro Ferite a morte, scritto più di 10 anni fa e ristampato, in cui Dandini parla di femminicidi anticipando un dibattito sul patriarcato e sulla cultura maschilista di questo paese. Un dibattito che, come ricorda Fittipaldi, «è partito troppo tardi».
Rabbia e radici
«Il libro – racconta Serena Dandini – è nato dalla rabbia». Lei ed altre amiche volevano parlare di violenza maschile e di femminicidi ma, nel dibattito dell’epoca, «rimanevano come numeri». A quel tempo, inoltre, «non si poteva usare il termine femminicidio, ovvero una donna uccisa in quanto donna».
Ci voleva qualcosa che entrasse «nel cuore e nel cervello delle persone, così mi sono inventata un paradiso dove le donne si raccontano le loro vite». Il femminicidio, infatti, è solo la punta di un iceberg: «Nella vita delle donne, frequentemente accade che vi siano episodi di violenza, amori tossici e malati».
Ma cosa è cambiato da allora? «L'Italia ha ratificato la Convenzione di Istanbul nel 2013 ma, quello che non è cambiato, è la prevenzione. Non si è agito e anche ora non si vuole agire». Inoltre, «le radici della violenza sono nel patriarcato – anche se Valditara ha detto che non si può più dire quella parola perché è morto 200 anni fa – dunque c’è bisogno di un passo in avanti dal punto di vista culturale».
Fittipaldi ha ricordato la vicenda dell’ultimo femminicidio di Jessica Stapazzolo Custodio de Lima, in cui l’uomo si è disfatto del braccialetto elettronico prima di ucciderla. L’ennesimo, tragico evento che pone molte domande. Una delle tante è: quanto è evoluta culturalmente la società? Per Dandini «Si va avanti e indietro: abbiamo conquistato diritti incredibili – io ora, ad esempio, sto facendo un libro sulle madri costituenti – ma la cultura di allora non è completamente sradicata».
Dandini parla alle nuove generazioni: «Difendete con le unghie e con i denti i diritti conquistati. Non possiamo ritrovarci in un futuro in cui i vostri figli avranno meno diritti delle loro nonne». Il Racconto dell’Ancella è uscito nel 1985, 40 anni fa. Eppure, ricorda la scrittrice, è «un libro che aveva previsto tutto. È impressionante rileggerlo oggi: alle donne avevano tolto tutti i diritti. Non in un giorno, piano piano, e poi ci siamo abituate. Le nuove generazione non devono dare per scontato quello che hanno ereditato».
Donne di destra, paternalismo e Togliatti
Cosa è cambiato in Italia da quando è governata per la prima volta da una presidente del Consiglio? Nulla, ma c’è una questione positiva, dice Dandini: «Le bambine di questo paese possono sognare anche loro di diventare presidenti del Consiglio ma le buone notizie finiscono qui. Gli ideali di Meloni non sono femministi».
Ma perché la leader di Fratelli d’Italia, nonostante questo immobilismo volontario in tema di diritti, ha un consenso così alto? Dandini pensa che «le donne di destra si sono fortificate di più perché dovevano combattere un maschilismo aperto, chiaro. Invece le donne femministe di sinistra vivono un maschilismo paternalista. Ricordiamo che Togliatti non voleva le donne con pantaloni e fucili in prima fila, se proprio devono sfilare, lo facciano infondo».
C’è poi il tema del potere e delle sue dinamiche. «Bisogna combattere per l’autorevolezza a pari curriculum ed è il Santo graal del femminismo. Ci sono stati tanti passi avanti, come le donne nelle materie Stem, dove sono sempre state disincentivate, e oggi hanno risultati straordinari anche se tuttavia le posizioni apicali sono quelle degli uomini», dice Dandini.
Eppure, ricorda, «questa rivoluzione senza gli uomini non la facciamo. Dovete muovervi!». E ancora: «La violenza è un problema che il vostro genere agisce. Dovreste vergognarvi nel dire: “Non mi riguarda perché sono un uomo per bene, con coscienza. È come se fosse un problema che riguarda solo le donne. E invece no. O agiamo insieme o si perde».
Generazioni e femminismi
C’è anche un tema di nuove generazioni: «Sono meglio di come le dipingiamo – dice Dandini – la maggioranza è intelligente, curiosa e si occupa di molte cose. Però l’educazione è fondamentale». Ma allora perché il ministro Valditara e il governo hanno così paura di inserire l’educazione sessuo-affettiva? «La famiglia che loro concepiscono è dio, patria e famiglia. È un discorso politico, che non guarda la realtà. Se tu vedi le statistiche le famiglie, sono poche quelle con tre figli. Bisogna guardare la realtà e lavorare per tutti i cittadini», dice Dandini.
Bisogna finire di «riempirsi la bocca mentre le donne sono abbandonate a loro stesse: dalla famiglia alla cura degli anziani. Questa è ipocrisia». Dandini cita Michela Murgia: «Ci sono tanti femminismi, si può discutere e non ci sono patenti».
Sul tema, Fittipaldi arriva all’attualità dell’ultima settimana menzionando il caso delle chat pubblicate da Selvaggia Lucarelli sul Fatto Quotidiano che coinvolge alcune attiviste femministe molto note sui social network. «Sulla pubblicazione di chat private, che non riguardano l'inchiesta, lo trovo molto sgradevole. Anche se è terribile quello che hanno scritto, non c’è niente di femminismo lì dentro. Danneggia tutte le femministe e giova a coloro che fanno di tutta l’erba un fascio. Una storia molto triste, dove la giustizia farà il suo corso».
L’incontro si conclude sulla questione Rai: come vede, Dandini, la prima industria culturale del paese? «C’è Geppi Cucciari che è un baluardo, per fortuna. Ma penso che sia un peccato, che abbia perso sfide importanti: doveva essere per tutti. Poi le occupazioni politiche, a seconda dei governi che passano, deresponsabilizzano i direttori e non gli importa di sperimentare e far crescere talenti ma di raccogliere quel che possono e questo non fa qualità. La Rai poteva essere un centro sperimentale di televisione la Rai, ma non c’è visione e futuro. Ed è un peccato».
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