È in volo verso casa il giornalista svedese Joakim Medin, 40 anni, fermato in Turchia lo scorso 27 marzo e incarcerato il giorno successivo con l’accusa di «insulti contro il presidente turco Erdogan» e di «appartenenza a un’organizzazione terroristica».

Medin, inviato del giornale Dagens ETC, era appena atterrato a Istanbul per seguire le proteste scoppiate dopo l’arresto del sindaco Ekrem Imamoglu quando è stato a sua volta arrestato e portato nel carcere di massima sicurezza di Marmara. Lì ha anche stabilito un contatto con il sindaco incarcerato di Istanbul, come racconta il direttore di Dagens ETC Andreas Gustavsson in un articolo pubblicato sulla testata dopo la notizia del rilascio del giornalista.

Dopo 51 giorni di prigione Medin torna a casa dalla moglie e collega Sofie Axelsson, al settimo mese di gravidanza. Riportarlo a casa prima della nascita della figlia Esme era proprio l’obiettivo che la compagna si era posta insieme ad Andreas Gustavsson.

La notizia della liberazione di Medin è arrivata alla moglie via Whatsapp: «Hello wr have great news. He relieze We are going to prison to take him now», le ha scritto l’avvocato turco Veysel Ok giovedì pomeriggio. Lo stesso giorno il ministro degli esteri turco Hakan Fidan e la sua omologa svedese Maria Malmer Stenergard si erano visti ad Antalya, in Turchia, durante un incontro informale della Nato.

«Avrebbero dovuto liberarlo prima perché non ha commesso nessun crimine. Ha fatto solo giornalismo. In ogni caso questa decisione è un buon segno per la libertà di espressione e di stampa in Turchia», commenta Veysel Ok, membro del team legale di MLSA, organizzazione specializzata nella libertà di espressione che sta seguendo il giornalista.

La decisione della liberazione è stata presa dal tribunale di Istanbul. Con il trasferimento del caso da Ankara a Istanbul, gli avvocati avevano presentato una nuova richiesta di archiviazione dell’accusa. Il giudice ha stabilito che Joakim Medin fosse rilasciato e potesse tornare in Svezia in attesa del prossimo processo, quello per le accuse di terrorismo. La data per la prima udienza è fissata per il 25 settembre.

Nel primo procedimento, quello per “insulti” al presidente turco, Medin era stato condannato a 11 mesi e 20 giorni di reclusione con sospensione della pena. La sentenza emessa lo scorso 30 aprile prevedeva quindi la sua scarcerazione, il giornalista era però rimasto in custodia proprio per le accuse di terrorismo.

Accuse che ancora una volta si basano sul lavoro giornalistico di Medin, come la pubblicazione di immagini e articoli legati alla questione curda.

«Non è un caso che le accuse siano composte unicamente da attività giornalistica. È un modo per silenziarlo. Joakim, per molto tempo, non potrà più lavorare dalla Turchia», racconta Andreas Gustavsson su Dagens ETC, «Ma è la libertà di stampa svedese che la Turchia ha attaccato. E tutti i media svedesi hanno reagito compattamente. Se l’intento era distogliere lo sguardo dalla Turchia, è stato un grosso errore arrestare Joakim Medin».

Nell’atto di imputazione visionato da Domani, l’accusa sostiene che Medin sia membro del movimento curdo PKK, classificato come organizzazione terroristica, e che ne abbia diffuso la propaganda. Tra le prove citate ci sono articoli giornalistici, post e un libro sulla rivoluzione curda, «Kobane», scritto nel 2016.

Il giornalista svedese segue da anni la Turchia e la questione curda. Nell’ottobre 2023 ha pubblicato il libro «Kurdspåret» (La pista curda), che tratta del processo di adesione della Svezia alla Nato e delle concessioni fatte alla Turchia, che aveva inizialmente posto il veto all’ingresso svedese nell’alleanza atlantica, pretendendo un cambio di atteggiamento nei confronti dei gruppi curdi residenti in Svezia.

E ancora di concessioni alla Turchia si è speculato in relazione alla liberazione di Medin. In particolare, si parla di possibili collegamenti con due arresti per spionaggio effettuati dalla polizia di sicurezza svedese lo scorso fine settimana. Si tratta di una persona con legami con i curdi nel nord della Siria e di un funzionario del ministero degli esteri svedese.

Entrambi erano stati rilasciati, ma restavano indagati. Il diplomatico è stato trovato morto nella notte di venerdì. Per quanto riguarda l’uomo curdo, la Turchia tenterebbe da anni di ottenere la sua estradizione, il suo nome compare anche nell’atto d’accusa contro il giornalista, che ha aiutato a uscire da una prigione siriana nel 2015. «Non è stata fatta nessuna concessione», ha commentato il primo ministro svedese Ulf Kristersson.

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