Un altro incendio, un altro impianto di trattamento meccanico biologico in fiamme (tmb). La capitale viene attraversata da una nube tossica che ha imposto, in un’area circoscritta, la chiusura di scuole, lo stop ai raccolti, ma soprattutto quella nube racconta il fallimento gestionale e la scelta di normalizzare il caos.

Roma non entra in emergenza con l’incendio che ha messo fuori uso l’impianto di Malagrotta (nel 2018 era toccato a quello di via Salaria), la capitale vive un’emergenza perenne per le mancate scelte a partire dalla raccolta differenziata che raggiunge cifre basse (45 per cento) e una qualità risibile. L’azienda pubblica, l’Ama, è rimasta una realtà industriale di braccia e camion che raccoglie il pattume, ma che non ha impianti.

L’azienda senza impianti

Nonostante le promesse, i piani industriali, gli accordi sottoscritti, Ama ha sempre meno impianti e non ha mai saputo emanciparsi dai privati e dalla chiusura della grande discarica che per mezzo secolo ha tenuto pulita la città, quella dell’imprenditore Manlio Cerroni.

Dal 2013 la discarica di Malagrotta è ferma, ma i rifiuti hanno continuato a viaggiare verso quel polo industriale dove due tmb trattavano il pattume romano e salvavano la capitale dall’invasione della spazzatura.

Una certezza svanita con l’incendio che ha bruciato i rifiuti stipati nei capannoni (una parte del gassificatore spento) e messo fuori uso uno dei due impianti di trattamento meccanico biologico, quello più grande. Ora l’Ama, l’azienda comunale di raccolta dei rifiuti, deve trovare e in fretta un sito alternativo dove portare le mille tonnellate che trattava l'impianto.

In realtà è quello che fa ogni giorno portando i rifiuti in giro per la regione e per il paese, anche all'estero, spendendo 150 milioni di euro all'anno per i viaggi della monnezza, come la chiamano a Roma.

Le 5mila tonnellate al giorno

La capitale, ogni giorno, produce 5 mila tonnellate di pattume. Di queste poco meno della metà vengono differenziate, con una raccolta di scarsa qualità, il resto finisce negli impianti di selezione: i tmb. Da qui escono due ulteriori frazioni, una organica che finisce in discarica e un'altra che viene incenerita.

Fino al 2018 i Tmb a disposizione erano quattro, ma quello di via Salaria è andato a fuoco nel dicembre di quell'anno e non ha più riaperto.

Con l'incendio del tmb di Malagrotta, Roma ha due impianti e rischia l'invasione dei rifiuti, i cassonetti debordano già normalmente per problemi di raccolta e perché i tmb lavorano male e, ciclicamente, sono sottoposti a pause per manutenzione ordinaria e straordinaria.

Quello pubblico è solo uno, si trova nell’aria di Rocca Cencia, oggi è gestito da un amministratore giudiziario perché ingoiava rifiuti, ma “sputava” frazioni trattate non in linea con la normativa vigente.

Gli altri due impianti sono di Cerroni, proprietario della discarica di Malagrotta e di siti e buche in giro per la regione. Un impero che, negli anni, gli è valso il titolo di ottavo re di Roma.

Un re depotenziato dalle indagini della magistratura, dal processo madre ne è uscito assolto anche se ha ancora alcuni procedimenti giudiziari pendenti per reati ambientali, ma anche dall'idea di realizzare un mega inceneritore, avanzata dal sindaco Roberto Gualtieri.

Il progetto dell’inceneritore vede in lizza per la costruzione la società del comune Acea che ha come socio privato, al 5 per cento, Francesco Gaetano Caltagirone. Cerroni si è opposto al progetto. E adesso, a poche ore dall'incendio, l'imprenditore interviene per ribadire che l'impianto a fuoco è di sua proprietà, ma è sotto sequestro e lui dal 2018 non ne ha più la gestione affidata al commissario Luigi Palumbo che da allora «ha anche impedito il mio accesso nell’area»

«L’altro impianto di tmb si è salvato, comunque quell’area è videosorvegliata e in quel momento c’erano decine di dipendenti visto che era in attività il sito», dice Cerroni a Domani.

I rifiuti in viaggio

Il tmb andato a fuoco era dei tre rimasti funzionanti quello più grande ed efficiente, come sia stato possibile farlo bruciare considerando l’obbligo di un impianto antincendio è una delle domande alle quali deve rispondere la procura che ha aperto un fascicolo.

Si è aperto un tavolo in prefettura tra regione, comune e prefetto per trovare le soluzioni. In pratica bisogna intensificare quello che normalmente già accade: il turismo dei rifiuti.

C’è la necessità di trovare uno o più impianti che trattino le mille tonnellate quotidianamente gestite dal tmb in fiamme. A dare sostegno all'assenza impiantistica di Ama ci pensano abitualmente i privati e, in questo caso, accadrà lo stesso. A partire dall’impianto dell’azienda Rida ambiente di Aprilia.

La proprietà, Fabio Altissimi,  conferma che ha già iniziato a trattare, da mercoledì notte, 800 tonnellate di rifiuti al giorno. Il problema sono gli sbocchi per le frazioni in uscita, si potrebbero sfruttare le discariche e gli inceneritori che utilizzava il tmb di Malagrotta. 

L’altra soluzione è quella di portare i rifiuti fuori regione in impianti di trattamento e, in questo caso, occorre l’accordo tra le regioni. Accordo che non è necessario se si dovesse trovare un inceneritore pronto a bruciare il rifiuto indifferenziato senza trattamento.  

Lo sbocco si troverà anche questa volta in attesa di un ciclo di gestione da capitale europea.

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