ll Covid-19 era arrivato in Italia da nove giorni. Il 29 febbraio il virus sconosciuto faceva già paura. I casi in Italia avevano toccato quota mille. L’ignoto, le previsioni catastrofiche e le notizie provenienti dalla Cina avrebbero suggerito la massima cautela e l’utilizzo di tutti gli strumenti possibili per tracciare i contagi.

Eppure in un documento ritrovato dagli investigatori nel computer di Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di Sanità, c’è la conferma della sequenza di errori che hanno permesso al SARS-Cov2 di circolare liberamente nel mese di febbraio, ossia nel periodo in cui si sarebbe potuta arginare l’ondata pandemica e salvare moltissime vite. Si tratta di una relazione, ottenuta da Domani, intitolata “Risposta e contrasto del nostro sistema sanitario all’emergenza”.  

Nel documento rinvenuto dalla guardia di finanza, coordinata dalla procura di Bergamo nell’inchiesta covid, Brusaferro ha cancellato la parola tamponi dal paragrafo in cui si legge: «Per l’epidemia in corso da Sars-Cov-2, le misure per il contrasto della diffusione consistono nel: a) contenimento dei focolai attraverso sistemi di sorveglianza passiva e attiva (tamponi) e attivazione di quarantene ad opera del sistema sanitario nazionale e protezione civile…». Così testuale dal documento. La cancellazione non è sfuggita alla procura di Bergamo e al microbiologo (oggi senatore Pd) Andrea Crisanti, consulente incaricato di redigere la consulenza di parte. La parola tamponi, scrive Crisanti, è cancellata con un commento di questo tenore: «Abbiamo detto di non utilizzare i tamponi se non per i positivi».

Speranza mal consigliato

La modifica è di Brusaferro, indagato per epidemia colposa e omicidio colposo, ed è datata 29 febbraio 2020. E dimostra, secondo i pm, «come consapevolmente l’Istituto superiore di sanità si fosse adoperato per non attivare una delle azioni fondamentali di contrasto alla diffusione del virus (i tamponi sui casi contatto covid non sintomatici, ndr) che ha permesso in numerose situazioni di bloccare completamente il contagio», si legge nella super consulenza agli atti dell’inchiesta di Bergamo per la quale sono indagate 19 persone a vario titolo di epidemia e omicidio colposo, falso e rifiuto di atti d’ufficio. Tra i nomi più noti ci sono Giuseppe Conte, all’epoca presidente del consiglio, Attilio Fontana, presidente regione Lombardia, e l’ex Ministro della salute Roberto Speranza, il quale si è affidato a una squadra di esperti per affrontare l’emergenza pandemica e con i quali a volte è entrato in contrasto. Una chat agli atti dell’inchiesta va in questa direzione. Il ministro avrebbe voluto chiudere le scuole, il 4 marzo Brusaferro gli scrive: «Per chiusura scuola Cts critico».

La risposta di Speranza dice tutto: «Così ci mandate a sbattere però...non abbiamo tempo, il paese è col fiato sospeso, non si può dare segnale di incertezza, sennò si perde ogni credibilità». Un’evidente critica ai consulenti e agli esperti che avrebbero dovuto guidarlo in mezzo alla tempesta.

Peraltro l’ex ministro nella consulenza Crisanti non è indicato tra i responsabili della mancata applicazione del piano, la colpa è secondo il consulente dei suoi consiglieri ed esperti. A rafforzare l’idea di una dirigenti ministeriali poco reattivi è il messaggio inviato a Goffredo Zaccardi, capo di gabinetto di Speranza, il 23 febbraio 2020 dall’allora sottosegretaria alla Salute, Sandra Zampa: «Penso che sia evidente che i nostri non sono stati all’altezza». Per poi aggiungere: «Non ho più fiducia in questa gente».

Brusaferro è stato il più eminente tra i consiglieri, anche perché a capo del braccio tecnico scientifico del ministero. Ed emerge ora il suo ruolo di regista della restrizione sull’uso dei tamponi. Strumenti vitali in quella parentesi temporale di fine febbraio quando un tracciamento meticoloso avrebbe permesso di frenare l'espansione del virus.

Il passaggio ritenuto centrale dagli inquirenti necessita però di una premessa. Perché Brusaferro elimina dalla frase la parola tamponi? La risposta è nelle conclusioni della consulenza di Crisanti, che sottolinea come il presidente dell’Iss, insieme con Franco Locatelli e Claudio D’Amario (rispettivamente presidente del Consiglio superiore di sanità e direttore della prevenzione del Ministero della salute, entrambi indagati), «hanno svolto un ruolo consapevole e allo stesso tempo determinate nel neutralizzare il sistema di sorveglianza, limitando con azioni commissive l’uso del tampone ai casi sintomatici con legame epidemiologico prima del 20.02.2020 e dopo quella data ai soli casi sintomatici».

La prima restrizione del campo di indagine risale al 27 gennaio 2020, quando D’Amario, si legge nella consulenza, dopo una riunione ministeriale con i rappresentanti delle regioni il 25 gennaio, «firma la circolare con il cambio di definizione di caso (restringendo il campo di indagine per la ricerca del SARS-Cov2 solo a chi ha una storia di viaggio in Cina nei precedenti 14 giorni l’insorgenza dei sintomi, ndr) che a detta dello stesso D’Amario recepisce le indicazioni emerse durante la riunione del 25 gennaio e indica esplicitamente il contributo dello Spallanzani e dell’Iss». Un mese dopo, la circolare ministeriale del 25 febbraio 2020 «ribadisce la limitazione all’uso dei tamponi ai soli casi sintomatici su parere del Consiglio Superiore della Sanità a firma del prof. Locatelli (indagato, ndr)».

La direttiva del 27 gennaio e le successive indicazioni del Cts, scrive il consulente della procura di Bergamo, «hanno di fatto favorito la diffusione dell’epidemia, impedito ai medici di effettuare diagnosi corrette, negato la terapia a molti pazienti e permesso al virus di propagarsi indisturbato». E il fatto che «l’ISS condividesse questa responsabilità e che la decisione di limitare l’uso dei tamponi  fosse una scelta condivisa e consapevole lo svela il documento del 29 febbraio ritrovato nel computer del Prof. Brusaferro», conclude Crisanti.

Consulenti che sbagliano

Brusaferro, secondo la consulenza alla base della tesi accusatoria dei pm bergamaschi, è anche tra i principali responsabili della mancata applicazione del piano pandemico nazionale. Un piano che il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità «ammette di aver letto solo a maggio del 2020, ciononostante agli inizi di febbraio lo giudica inadeguato e senza averlo preventivamente esaminato e valutato lo ritiene non idoneo. Né può valere la giustificazione che il piano non fosse stato portato alla sua attenzione. Il documento gli era stato infatti inviato dal Dott. Maraglino (direttore Ufficio V del dipartimento di prevenzione del Ministero) per posta elettronica il giorno 11 febbraio» scrive Crisanti.

Le stesse considerazioni valgono per Agostino Miozzo, coordinatore del Cts, e per Andrea Urbani, direttore della programmazione del Ministero della Salute. Entrambi «mentono quando affermano che non gli era stato sottoposto preventivamente il piano in quanto ambedue destinatari del messaggio di posta elettronica del Dott. Maraglino nel quale era allegato il piano».

I membri del Cts sentiti dalla procura di Bergamo, scrive il consulente tecnico, «hanno tutti, senza esclusione, rilasciato la dichiarazione che il Piano Pandemico Nazionale del 2006 non è stato applicato in quanto concepito per contrastare un virus influenzale e quindi non adatto per una epidemia da SARS-Cov2, che è un virus diverso».

Nelle sue conclusioni Crisanti fa un elenco delle persone alle quali «va attribuita la responsabilità della mancata attuazione del Piano Pandemico Nazionale» e alle cui azioni «era affidata la sicurezza sanitaria dell’Italia».

Sono, a vario titolo: «Claudio D’Amario che, come direttore della Prevenzione, aveva la responsabilità di attivare il sottocomitato pandemico già al giorno 05.01.2020 e di iniziare la revisione delle fasi di preparazione per il piano stesso. Brusaferro che, come direttore dell’Iss, legge il piano la prima volta a maggio 2020, nonostante gli fosse stato sottoposto il giorno 11.02.2020; il Dott. Miozzo, coordinatore del Cts, omette di leggere ed esaminare il piano inviato dal Dott. Maraglino e condivide la responsabilità con gli altri membri del Cts di aver segregato il Piano Covid esponendo operatori sanitari e popolazione alla diffusone del contagio; il Dott. Ruocco, direttore generale del Ministero, di fatto colui che avrebbe dovuto mobilizzare le risorse delle direzioni generali del Ministero della Salute per verificare lo stato di preparazione dell’Italia alla pandemia». Infine viene citato anche «il Dott. Cajazzo, Direttore Generale Welfare di Lombardia, per non aver attivato il Piano Pandemico Regionale». 

I pm hanno chiesto all’allora ministro di spiegare l’assenza di atti formali sulla decisione di non applicazione del piano. Oltre a confermare, Speranza aggiunge che si è «trattato di una valutazione e decisione dei tecnici di riferimento della task force e del Cts». 

In definitiva, «se l’Italia ha affrontato la pandemia senza un manuale è perché questo manuale è stato scartato a priori senza essere valutato dai principali organi tecnici del Ministero. Successivamente un Piano Covid è stato segretato e reso inattuabile», si legge nella consulenza.

Crisanti, dunque, mette in evidenza la contraddizione, ma la attribuisce allo staff di Speranza. Il ministro, secondo quanto scritto nella consulenza di parte, non viene identificato tra i responsabili della mancata attuazione del piano pandemico. La procura di Bergamo, tuttavia, lo ha comunque indagato. Ma stando al dossier firmato da microbiologo, l’ex ministro sembra sia stato indotto dai propri collaboratori scientifici a scartare il piano pandemico del 2006, che è stato da loro ignorato, scartato e mai condiviso con il ministro.

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