La notte del 19 dicembre 1941, sei sommozzatori italiani entrarono silenziosamente nella baia di Alessandria d’Egitto per colpire la flotta britannica contro cui l’Italia fascista combatteva da un anno. I sei uomini viaggiavano a coppie di due seduti a cavalcioni di tre siluri modificati. Queste armi originali aveva un nome molto poco guerresco. Per via della forma tozza e sgraziata, i piloti li chiamavano “Maiali”.

Quella notte, i sommozzatori depositarono le cariche esplosive che trasportava sotto due grandi navi da battaglia e sotto una petroliera. All’alba le cariche esplosero mettendo fuori gioco tutte e tre le imbarcazioni. Fu probabilmente la singola operazione militare di maggior successo compiuta in tutta la Seconda guerra mondiale dalle forze armate italiane. «In una notte, il Mar Mediterraneo divenne un lago dell’Asse e la Marina Italiana ne divenne la forza dominante», hanno scritto gli storici P. J Carisella e William Schofield.

I marinai che compirono l’operazione diedero prova di grande capacità tecnica, corsero un rischio elevatissimo e furono catturati tutti e sei. I britannici rimasero impressionati dal loro successo e cercarono di copiarli, costruendo la loro versione dei Maiali e impiegandoli con successo contro i tedeschi. 

L’attacco al Porto di Alessandria, così come altre operazioni compiute dalle Flottiglie Mas (che sarebbero poi diventata la celebre X Mas impegnata nella lotta antipartigiana al fianco dei nazisti) sono operazioni entrate negli annali della storia militare. 

Ma questo non toglie che la causa per cui quei marinai combattevano non era nobile. In quegli anni, la marina italiana era al servizio del regime fascista ed era impegnata in una guerra di aggressione al fianco del regime nazista.

È possibile celebrare un simile evento militare? E con che toni si può farlo? E cosa dice di noi il modo in cui lo facciamo?

L’incidente

La Marina Militare ha fornito in questi giorni una risposta parziale a queste domande. Nelle ultime settimane, sul suo sito ufficiale sono comparsi diversi articoli che ricordano azioni militari compiute dalla Regia Marina tra il 1940 e il 1941. Mancano ancora nove mesi all’anniversario dell’attacco al porto di Alessandria, ma la Marina ha già celebrato l’attacco alla Baia di Suda e la battaglia di Capo Matapan.

I toni che ha scelto di usare sono quelli della celebrazione patriottica. «Oggi ricorre una delle più grandi imprese compiute dagli uomini della X Flottiglia Mas: l'attacco alla Baia di Suda», è scritto in uno degli articoli. In quello su Capo Matan, l’ufficio stampa della Marina precisa con puntiglio che la grave sconfitta «non ha comunque compromesso le capacità operative delle nostre Forze navali da battaglia, la cui determinazione a combattere è sempre rimasta immutata, come dimostrato dai successivi eventi».

Gli articoli hanno fatto molto discutere sia per il tono che per l’assenza di qualsiasi riferimento critico o di contesto. Non si parla di regime fascista, né di guerra di aggressione. Gli eventi bellici sono trattati come atti astratti e senza tempo, come fossero avvenuti in una sorta di vuoto pneumatico storico e come se si potesse giudicarli al di fuori del loro contesto.

La pubblicazione di questi articoli non è stata un errore o una svista. Dopo le polemiche scoppiate sui social, la Marina ha rivendicato le celebrazioni con un comunicato ufficiale in cui sottolinea che quegli eventi sono «esempio di coraggio, capacità e tecnica, al servizio delle Istituzioni». Ma non viene ricordato da nessuna parte che le “istituzioni” erano il regime fascista e i “servizi” azioni militari compiuti nel corso di una guerra di aggressione.

La memoria

Celebrare la memoria del passato militare è sempre problematico. Lo è ancora di più per quei paesi che durante la Seconda guerra mondiale hanno combattuto dal lato del Fascismo e del Nazismo. In Germania, la questione è stata risolta in maniera netta.

«Le vittorie militari non sono ricordate in Germania, né dalle forze armate né da qualsiasi altra istituzione pubblica – dice il professor Sönke Neitzel, esperto di storia militare che insegna all’università di Potsdam – La memoria della Seconda guerra mondiale è dominata dalle atrocità commesse dalla Germania e dal regime nazista».

Neitzel dice di non aver mai visto articoli come quelli comparsi sul sito della Marina Militare. «Sarebbe impossibile che il prossimo 24 maggio la Marina tedesca celebrasse gli 80 anni dall’affondamento dell’incrociatore britannico Hood».

E l’Italia

La coincidenza è curiosa, poiché la Marina italiana ha celebrato proprio un evento simile, l’affondamento dell’incrociatore britannico York nella Baia di Suda.

«Penso che nel nostro paese ci sia un rapporto molto “spensierato” con la memoria del fascismo e della seconda guerra mondiale», dice Eric Gobetti, uno storico da tempo impegnato in una difficile operazione di “restauro” della memoria. Il suo ultimo libro, E allora le Foibe?, pubblicato lo scorso febbraio da Laterza, è un tentativo di riportare una luce storica su una vicenda, quella del confine orientale, che nel tempo è stata distorta per ragioni politiche.

«Questo caso della Marina Militare – prosegue Gobetti – denota una memoria sostanzialmente agiografica della partecipazione alla guerra mondiale che sarebbe impensabile in Germania». È un atteggiamento, spiega, che si avvicina di più a quello di paesi come Polonia o Ucraina, dove «come da noi nel caso delle Foibe, è in corso la creazione di una “verità di stato autoassolutoria” sui temi della seconda guerra mondiale». 

Lo stato di conservazione della memoria nazionale è un po’ come un termometro. Il modo in cui ricordiamo il passato ci dice qualcosa sul nostro presente. Il governo polacco che impone una versione della storia che assume il paese da ogni responsabilità, ad esempio, è lo stesso che cerca di chiudere i media vicini all’opposizione e tenta da anni di mettere sotto controllo la magistratura indipendente.

«Mi chiedo – conclude Gobetti – può uno stato democratico fondato sui valori dell’antifascismo, incarnati nella nostra Costituzione, premiare con una medaglia coloro che hanno combattuto, nel 1941 ad Alessandria d’Egitto come nel 1944 in Istria e Dalmazia, dalla parte del nazismo, dalla parte di chi portava avanti con determinazione la volontà di opprimere e sterminare interi popoli?».

L’ammonimento

Posta in questi termini la questione trascende i singoli articoli pubblicati in queste settimane dalla Marina Militare. Questa non è una vicenda che ha al centro qualche paragrafo scritto con forse troppa leggerezza dall’ufficio stampa di un corpo militare.

Il punto è piuttosto riflettere sul fatto che questo modo edulcorato, sanificato e atemporale di guardare alla storia è evidentemente divenuto parte del modo di pensare di un’istituzione, come la Marina Militare, che dovrebbe essere tra le ultime a dimenticare il suo ruolo e le sue responsabilità.

E se i militari e la politica ricordano la storia in questo modo, come possiamo pensare che le persone comuni e le nuove generazioni in particolare, lo facciano in modo diverso? 

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