Questa settimana, il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri ha spiegato che la situazione dell’epidemia in Italia desta minore preoccupazione di quella di altri paesi europei perché da noi la famigerata nuova variante più contagiosa del coronavirus è meno diffusa. Ma se davvero la presenza di questa variante può fare la differenza tra un’epidemia sotto controllo e una in crescita esponenziale, quanto ci stiamo impegnando per identificarla?

La risposta è molto poco. Per farlo, infatti, non bastano i normali tamponi. Serve esaminare il genoma di un virus, un procedimento complicato chiamato “sequenziamento”. Secondo i dati del database Gisaid – in cui scienziati di tutto il mondo depositano le sequenze del virus analizzate – in Italia sequenziamo 0,745 campioni del virus ogni mille casi di Covid-19 identificati. Si tratta di un numero molto lontano dai “campioni” europei: la Danimarca, che effettua 133 sequenziamenti per ogni caso, e il Regno Unito, che ne sequenzia 44. Ma facciamo peggio anche di molti paesi in via di sviluppo. In Burkina Faso i sequenziamenti sono 9,7 ogni mille casi, in Mongolia 4,77 e in Uganda 2,53.

Non siamo i soli in Europa ad avere numeri così bassi. La Francia sequenzia con la stessa velocità dell’Italia e la Germania e la Spagna poco più velocemente. In altre parole si tratta di un problema europeo, non solo italiano.

La variante

Tutti i virus mutano e una piccola percentuale delle mutazioni può risultare in una variante più pericolosa del virus originale. L’Organizzazione mondiale della sanità ha ricordato in un documento pubblicato lo scorso 31 dicembre che sono decine le varianti segnalate fino ad oggi del coronavirus, ma una in particolare desta forte preoccupazione. Si tratta della cosiddetta B117, identificata per la prima volta lo scorso dicembre nel Regno Unito. Questa variante sembra avere una capacità di infettare del 50 per cento superiore al “normale” coronavirus. Oggi, B117 è divenuta la variante del virus dominante nel Regno Unito e in Irlanda e, secondo molti, potrebbe in parte spiegare il recente aumento di casi in Spagna e Portogallo.

Il 28 dicembre e poi di nuovo in un incontro virtuale martedì scorso, l’Organizzazione mondiale della sanità ha invitato ad aumentare gli sforzi per cercare di sequenziare quanti più campioni di virus possibili, individuare eventuali nuove varianti e tenere sotto controllo quelle che stanno già circolando. Ma tradurre in pratica queste raccomandazioni non è affatto semplice.

I problemi

Le ragioni sono molte, in parte culturali e in parte tecnologiche. La capacità di sequenziamento non si improvvisa. Servono macchinari costosi e personale specializzato. Il Regno Unito è da decenni il paese leader nella tecnologie genomiche, con un’intera branca del sistema sanitario nazionale (il cosidetto NHS Genomic Medicine Service) dedicata allo studio dei geni per migliorare le prestazioni di cura.

A marzo, il governo britannico ha inoltre finanziato il Covid-19 Genomics Uk Consortium, uno progetto misto pubblico e privato che ha dato il via a un’opera sistematica di monitoraggio delle varianti del coronavirus. Come ha spiegato un’analisi del progetto di factchecking Pagella Politica pubblicata ieri, si tratta di un tipo di capacità che non si può creare rapidamente dal nulla. Ma qualcosa, nel resto d’Europa, si sta cominciando a fare.

La situazione in Italia

In seguito ai ripetuti avvertimenti dell’Oms, l’8 gennaio il ministero della Salute ha diffuso una circolare che ha l’obiettivo di potenziare la capacità italiana di tenere traccia delle nuove varianti. Ai laboratori autorizzati a svolgere analisi sul Covid-19 è stato chiesto di inviare all’Istituto superiore di sanità una certa quantità di campioni selezionati casualmente per il sequenziamento. Viene anche sottolineata l’importanza di sequenziare direttamente quei campioni provenienti da pazienti che hanno collegamenti con le aree dove B117 è prevalente.

Il ministero riconosce che l’altro strumento di difesa dal virus, il tracciamento, rimane invece poco praticabile. In una situazione normale, con poche centinaia o migliaia di nuovi casi al giorno, la strategia per fermare una variante del coronavirus è la stessa che si usa per il suo cugino a cui siamo più abituati: individuare i luoghi in cui la variante sta già circolando e isolarli il più rapidamente possibile. Oggi però i nuovi casi oggi sono troppo numerosi per consentire questa strategia.

Al momento sembra difficile che queste raccomandazioni possano cambiare rapidamente la situazione. L’unica difesa che ci rimane, quindi, sono le stesse armi che vengono usate contro la vecchia variante del Covid-19: le misure di contenimento, che diviene ancora più importante applicare senza perdere tempo. In Germania è scattato un nuovo lockdown nazionale con poco più di 25mila casi al giorno. La Francia ha imposto un coprifuoco a partire dalle 18 con poco meno di 20mila nuovi casi al giorno. Con il pericolo di una nuova variante che non sappiamo quando e dove farà la sua comparsa, forse anche in Italia dobbiamo cominciare a pensare di fare come i nostri vicini.

 

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