Per il naufragio a largo di Lampedusa dell’11 ottobre 2013 in cui sono morte almeno 200 persone tra cui 60 bambini la partita giudiziaria non è chiusa. L’ex comandante della nave Libra della Marina militare italiana, Catia Pellegrino, è ancora indagata dalla procura di Roma.

L’8 agosto del 2020, infatti, la giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma aveva accolto le richieste degli avvocati delle parti civili chiedendo di riaprire le indagini a carico della comandante. Nelle 53 pagine del provvedimento la giudice si sofferma a lungo sugli «obblighi gravanti nei confronti della comandante Pellegrino».

E valorizza le dichiarazioni rese da Salvatore Santonocito, l’executive officer della nave, cioè colui il quale rende esecutivi gli ordini del comandante: «Le informazioni ricevute da nave Libra erano tali da generare la consapevolezza, in termini di concreta possibilità, di un intervento di soccorso».

Inoltre, aggiunge un dettaglio sul Comando navale: «Il Cicnav impartì l’ordine di non avvicinarsi all’imbarcazione dei migranti, ma anzi di allontanarsi». E che proprio tale ordine, secondo la gip, «per la sua apparente illogicità poteva e doveva essere sindacato».

L’avvocato di Catia Pellegrino, Gianluca Mongelli, contattato da Domani, conferma che la posizione della comandante non è stata ancora archiviata e si dice fiducioso per il proseguo delle indagini, certo che «la mia assistita saprà dimostrare di aver agito nel rispetto del proprio ruolo e di concerto con gli ordini impartiti dal Comando navale». Dice Mongelli: «Siamo convinti della legittimità del comportamento di Pellegrino, che è stato tempestivo ed efficiente, nel rispetto delle normative. E lo prova il fatto che la Procura ne ha richiesto già in passato la sua archiviazione». Una decisione, questa, non condivisa dalla giudice delle indagini preliminari.

La comandante

Infatti, già nel 2017 la comandante era stata indagata in relazione al naufragio. Nell’ordinanza disposta il 10 novembre di quell’anno dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma, Giovanni Giorgianni, si evidenziava «la necessità di approfondire la sussistenza di eventuali profili di responsabilità in capo alla comandante della nave militare Libra». In particolare, riguardo «alla circostanza che un aereo maltese, giunto sul posto e constatato lo stato critico dell’imbarcazione dei migranti e la posizione della nave da guerra italiana, aveva inoltrato numerose segnalazioni sul canale 16 di emergenza, senza però ottenere alcuna risposta da nave Libra».

Ed è «su questo specifico episodio che si impone un approfondimento istruttorio». Scriveva così il magistrato, assegnando per questo ai pubblici ministeri il termine di legge di sei mesi per l’ulteriore attività di indagine nei confronti di Catia Pellegrino, allora comandante della nave Libra.

I giudici della Procura di Roma, Sergio Colaiocco e Santina Leonetti, due anni dopo, però, nel maggio del 2019, hanno chiesto l’archiviazione, che poi effettivamente è arrivata. Nel frattempo erano emersi altri elementi riferiti da alcuni testimoni, che però la procura aveva giudicato inattendibili. Nel 2018 della vicenda si era interessata, inoltre, la procura militare di Roma, che aveva chiesto una rogatoria alle autorità di Malta.

Testimoni di Malta

Sono state proprio le testimonianze dei militari maltesi a permettere ad alcune tra le parti civili, rappresentate dai legali Alessandra Ballerini, Dario Belluccio, Mario Angelelli e Arturo Salerni, di presentare nuovamente opposizione alla richiesta di archiviazione della posizione della comandante.

George Abela è un ex maggiore dell’esercito che l’11 ottobre del 2013, il giorno del naufragio, pilotava l’aereo militare King Air inviato dal coordinamento delle forze armate maltesi sul luogo in cui si trovava il natante in pericolo. Il militare ha raccontato ai magistrati di essere giunto sul posto alle ore 16.00 e di aver visto, da subito, un peschereccio sovraccarico che ondeggiava da una parte all’altra, mentre il mare si stava alzando.

Abela ha riferito della presenza di una nave della marina militare italiana a circa 19 miglia di distanza dall’imbarcazione che, a suo dire, «sarebbe potuta intervenire rapidamente per soccorrere i naviganti, ma che invece sembrava mantenere la rotta verso sud».

Inoltre, l’ex maggiore ha dichiarato anche che l’intera operazione condotta dall’aereo da lui pilotato, era stata filmata ed erano state scattate delle fotografie; ma a leggere le carte giudiziarie, non risulta che tali prove siano state mai acquisite agli atti del procedimento. Le parole di George Abela sono state confermate dall’altro militare che era insieme a lui sul velivolo, il capitano Pierre Paul Carabez.

Mentre risulta ancora aperta l’indagine sulla comandante, Luca Licciardi e Leopoldo Manna, due alti ufficiali, sono attualmente imputati dei reati di omicidio colposo e omissione in atti di ufficio nel processo di primo grado che si sta svolgendo a Roma. Se giudicati colpevoli, rischianoo fino a dodici anni di reclusione. La sentenza di primo grado dovrebbe arrivare entro la fine dell’anno.

Le udienze riprenderanno il 5 aprile. Licciardi e Manna, erano rispettivamente all’epoca a capo della sezione operazioni correnti del Comando in capo della squadra navale, il Cincnav della marina militare con sede a Roma, e il secondo a capo della centrale operativa del Comando generale delle capitanerie di porto, con funzioni di rilevanza e responsabilità nazionale e internazionale nel soccorso in mare.

Nell’udienza del 13 gennaio scorso sono stati interrogati e Manna ha riferito che «una prima telefonata da parte dei migranti da soccorrere c’è stata alle ore 12.25, se non ricordo male». E ha aggiunto: «Noi abbiamo subito chiamato i maltesi e gli abbiamo passato il coordinamento della situazione». Poi, lo stesso ufficiale ha risposto alle accuse, raccontando che «per legge il corpo delle capitanerie di porto chiede alla marina militare il concorso dei mezzi che le appartengono. Non posso dare ordini».

Chi, secondo le leggi del soccorso in mare, invece, gli ordini poteva darli è l’altro imputato, Licciardi, il quale ha raccontato di essere venuto a conoscenza dell’evento «intorno alle ore 13.30». E poi ha riferito che «il comandante Giannotta aveva scritto in Jchat (una chat elettronica coperta da segreto di stato in uso alla marina) alle navi Libra, Cassiopea ed Espero che si trovavano in quel momento in navigazione nel Mediterraneo centrale».

Cosa è successo fino alle 17.30, quando l’imbarcazione si è ribaltata? È quello che, quasi dieci anni dopo, vogliono sapere i sopravvissuti e i parenti delle vittime.

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