Laura Giuliani è passato, presente e futuro del calcio femminile italiano. Dalla bimba di Novate Milanese che fantasticava il pallone come professione, alla donna di quasi 32 anni (da compiere il 5 giugno) che la vita se l’è andata a prendere con caparbietà e sacrifici.

Nel 2011 a 18 anni l’esordio in serie A con la maglia del Como, poi una lunga parentesi in Germania dove si trasferisce per giocare. Ma deve anche lavorare, i 400 euro del primo contratto del 2012 con il Güterlosh non le bastano certo per mantenersi. Operaia in una catena di montaggio dalle 7 alle 15, panettiera con turni all’alba dalle 4 del mattino fino alle 12, commessa, hostess e anche cameriera. Tutto calibrato per far combaciare gli allenamenti serali nei cinque anni di esperienza all’estero.

«In Germania mi sono fatta le ossa, a 19 anni lontano 950 km da casa ho capito che volevo fare esattamente quello, cioè giocare a calcio. È stato il miglior percorso formativo, anche i tanti lavori svolti mi hanno permesso di crescere, di esprimermi stando a contatto con il pubblico. Si era trasferito con me Cristian (Cottarelli n.d.r.), eravamo fidanzati da pochi mesi, all’epoca anche lui era un portiere per diletto, adesso è direttore sportivo e osservatore».

Una storia d’amore culminata nel matrimonio il 12 giugno del 2024. Festa di nozze con inclusa una partitella. Una sposa con i guantoni?

Un nostro sogno realizzato. Cerimonia in chiesa alle 11, poi tutti sul prato di uno stadio in provincia di Lecco dopo esserci cambiati in spogliatoio. Avevamo creato delle divise ad hoc. Chi giocava a calcio, chi a ping-pong o biliardino. Nell’intervallo una cara amica aveva organizzato un musical sulla falsariga dell’Half-Time del Superbowl. Dopo la doccia ci siamo spostati al ristorante.

COURTESY AC Milan Women

Nel 2017 torna in Italia chiamata dalla Juventus che inaugura la sua squadra femminile. Quattro scudetti consecutivi dopo, nel 2021, approda al Milan dove tutt’ora gioca. Nel mezzo una svolta epocale in Italia, dal 1° luglio 2022 le calciatrici diventano a tutti gli effetti professioniste.

Il traguardo che avevamo atteso e inseguito attraverso tante battaglie. Abbiamo visto riconosciuti i nostri diritti, dalle tutele assicurative ai contributi pensionistici. Si tratta di un riconoscimento sociale collettivo ma anche culturale, poter essere indentificate nella società con la nostra professione.

All’estero il calcio femminile è molto più avanti, dagli USA alla Gran Bretagna passando per la Spagna. Cosa serve per arrivare a quei livelli? In Italia assistiamo all’impegno di molti club, al sostegno istituzionale tramite progetti e risorse. L’obiettivo finale è arrivare a un movimento che possa riuscire ad autosostenersi.

Vado dritta al punto, abbiamo bisogno di visibilità per creare un sistema che sia sostenibile. Se non comunico all’esterno cosa ho da offrire, come faccio a farmi conoscere? Ci vuole una spinta mediatica per attirare interesse e investitori. A volte qualcuno parla con pressapochismo: le calciatrici vogliono gli stessi soldi degli uomini. Ma quando mai? In questo momento storico parlare di parità retributiva è prematuro, non ha senso. Noi non l’abbiamo mai chiesta, proprio perché conosciamo la logica industriale dei differenti ricavi. Noi abbiamo sempre parlato di pari opportunità, anche in termini di staff e di strutture.

L’autorevole The Times ha citato il Milan femminile per la nuova norma contrattuale sulla maternità, il rinnovo automatico per la calciatrice che rimane incinta. L’Associazione dei Club Europei (Eca) ha elogiato il progetto di condivisione all’interno del vivaio rossonero, ragazze e ragazzi si allenano nelle stesse strutture, studiano e vivono fianco a fianco all’interno del convitto.

Lo storytelling è importante, io racconto il mio vissuto alle ragazze, per far capire la fortuna che hanno. Noi ci siamo fatte da sole anche pensando a loro, alle donne del futuro. Adoro osservarle crescere, vedere quando mettono in pratica i consigli che posso dare. Dopo ogni partita vado sempre dalle bambine e dai tifosi che fanno sacrifici per seguirci, è una mia responsabilità valorizzarli. La risorsa del calcio femminile è proprio la vicinanza, noi giocatrici non siamo inavvicinabili.

FOTO AC Milan Women

Non a caso lei è considerata una leader. Lo scorso 12 aprile Monica Renzotti, nata nel 2005, ha segnato il suo primo gol in serie A in Milan-Fiorentina e l’ha citata come riferimento: «Ammiro Laura Giuliani per il carisma che riesce a trasmetterci».

Per me è una gratificante responsabilità. In questa stagione la mia società ha puntato su una ripartenza, con l’input di far crescere le giovani che l’anno scorso avevano vinto il campionato Primavera.

Tra i pali predilige le uscite alte. L’identikit del suo portiere ideale?

Scelgo Neuer per la bravura con i piedi. Courtois per la velocità a terra. Mike Maignan per la copertura dello spazio e la leadership.

In campo lei parla molto. Una notevole dote di comunicazione l’ha espressa anche al microfono la scorsa estate, voce tecnica per Sky Sport in tre telecronache degli Europei maschili.

Mi è piaciuto tantissimo, non escludo di farlo ancora in futuro. Amo comunicare e divulgare. Dopo la Laurea in Scienze Motorie, con indirizzo calcio, cerco ogni occasione per migliorare la mia conoscenza. Interessante il corso Fifa che sto frequentando in Club Management. In campo parlo molto perché voglio dare fiducia e sicurezza alle mie compagne, anticipare le azioni, in questo mi definisco una guida. Spesso dicono che noi portieri siamo strani, perché facciamo parte individualmente di una squadra, abbiamo un ruolo diverso come sensibilità, prospettiva, percezione. La controindicazione è che, quando non è coinvolto nell’azione, un portiere si può perdere nei suoi pensieri, nelle sue emozioni solitarie.

Per questo ha lavorato molto sul suo rapporto mente-corpo?

Mi sono chiesta: ma chi sono io? Ho iniziato un percorso di conoscenza individuale, dallo studio sull’autoconoscenza alla meditazione, frequentando il Centro Heartfulness di Milano. C’erano degli aspetti che non mi tornavano, perché alla fine il campo riflette ciò che siamo anche nel quotidiano. Ho scoperto che io ero molto più di quello che volevo dirmi. Un percorso che mi ha aperto la mente e che probabilmente non finirà mai.

Quindi, è una chiacchierona introspettiva

Parlo molto ma non sempre. Sa cosa mi procura gioia nella vita di tutti i giorni? Osservare. Sono un’attenta osservatrice.

I risultati della Nazionale sono il volano più potente per il vostro movimento. Dal debutto nel 2014 (Italia-Spagna, a Vicenza) è arrivata a 95 presenze in azzurro. Al boom mediatico del Mondiale 2019 è seguita una fase in chiaroscuro. Qualche critico l’ha definita una occasione persa per il calcio femminile.

Non direi, quel Mondiale 2019 è stato un trampolino di lancio, ci ha permesso di fare quei passi enormi che hanno portato al professionismo. Ritorniamo all’importanza della questione mediatica: la visibilità aiuta il cambiamento. Sul campo, invece, il calo è stato fisiologico per un momento di ricambio generazionale.

Siete reduci da un risultato storico, la prima vittoria in casa della Danimarca. Restano da giocare le ultime due partite di Nations League, il 30 maggio a Parma contro la Svezia, il 3 giugno in Galles. Poi il grande appuntamento degli Europei in Svizzera (2-27 luglio).

Pensiamo partita dopo partita, vogliamo chiudere bene la Women’s Nations League. La nostra è una nazionale in crescita che merita fiducia. Tra di noi ci aiutiamo moltissimo, siamo un gruppo molto umile.

Alcuni pregiudizi restano. Quello che più la infastidisce?

Quando dicono: la donna non può giocare a calcio, oppure la donna non sa giocare a calcio. È già sbagliato in partenza paragonare il calcio degli uomini con il nostro. Siamo diverse per anatomia, fisiologia, per emotività. Mi viene da rispondere: Ok, io non so giocare a calcio, ma tu mi hai visto? No. E allora prima guardami giocare, poi puoi dare un giudizio.

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