L’identità alias per le persone in transizione di genere entra nel contratto collettivo nazionale del comparto funzioni centrali, quello applicato ai circa 225mila dipendenti di ministeri, agenzie fiscali (Entrate, Demanio, Dogane e monopoli) ed enti pubblici non economici (come Inps, Inail e altri istituti): una fetta importante della pubblica amministrazione.

La pre intesa firmata il 21 dicembre è al vaglio degli organi di controllo, che ne devono verificare la compatibilità normativa e contabile, ma se otterrà il visto di conformità darà la possibilità a lavoratori e lavoratrici transgender di usare sul posto di lavoro il nome di elezione, anziché quello indicato sui documenti non rettificati.

L’obiettivo, come si legge nell’articolo 21 del contratto, è eliminare situazioni di disagio ed evitare che possano determinarsi forme di discriminazioni nei confronti di chi ha intrapreso il percorso di transizione di genere.

«Avevamo avuto notizia di iniziative in tal senso e abbiamo ritenuto corretto cristallizzare alcune novità nel contratto in fase di rinnovo. Si tratta di situazioni largamente sottaciute, quasi un tabù nella pubblica amministrazione. L’obiettivo è far sentire più tutelate le persone che stanno affrontano questo percorso», spiega Federico Trastulli di Uilpa.

Già lo scorso luglio, l’identità alias era stata adottata dal ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile su richiesta di una lavoratrice. Ora di questo strumento potrebbero beneficiare in modo trasversale tutti i dipendenti delle funzioni centrali in transizione di genere.

In Italia la rettifica di attribuzione del sesso è regolata dalla legge 164 del 1982 che fino al 2015 legava il cambio dei dati anagrafici alla riassegnazione chirurgica del sesso. Oggi, grazie a due sentenze della Corte di cassazione e della Corte costituzionale, l’intervento chirurgico non è più necessario per accedere al percorso giudiziale di rettifica anagrafica.

Resta il fatto che, a differenza di ciò che accade in altri paesi (come in Svizzera, dove da quest'anno è sufficiente una dichiarazione all'ufficiale di stato civile del proprio comune di residenza), in Italia per cambiare il nome sui documenti è sempre necessario un intervento del tribunale con un procedimento costoso che presuppone l’accertamento clinico dell’incongruità di genere.

La transizione

Il percorso di transizione di genere è lungo, complesso e diverso per ogni persona. Nel nostro paese si muove secondo dei protocolli, il più utilizzato è quello dell’Osservatorio nazionale sull’identità di genere, che prevedono vari step: colloqui psicologici, sperimentazione sociale del genere a cui si sente di appartenere, terapia ormonale e/o interventi chirurgici, e il cambio anagrafico, se la persona intende farlo, è l'ultimo passo.

E possono passare anche anni, si stima da uno a tre, tra la richiesta e l’effettiva modifica, un lasso di tempo lungo in cui chi è in transizione rischia continuamente di essere costretto a fare coming out perché il nome sui documenti non corrisponde al suo aspetto.

«In questa fase l’identità alias può essere una tutela, anche sul lavoro. Pensiamo, ad esempio, a una persona in transizione che lavora a contatto con il pubblico in front office e pensiamo all'utente che si trova di fronte a qualcuno il cui aspetto non corrisponde al nome sulla targhetta. Poter usare il proprio nome di elezione nelle relazioni lavorative, con gli utenti e i colleghi, ha un impatto importante sulla vita di queste persone, ne aumenta il benessere», dice Luna Sabatino, componente della delegazione trattante Uilpa al tavolo del rinnovo del contratto.

L’università

Sono passati quasi vent’anni da quando, nel 2003, l’università di Torino ha adottato un doppio libretto per gli studenti e le studentesse transgender. Oggi sono almeno 37 su 68 gli atenei che prevedono l’identità alias e alcuni come Pisa, Chieti, Trento, Verona, Bologna hanno fatto un passo ulteriore: si può richiedere senza presentare documenti medici e si firma un accordo di riservatezza con l'università.

«Come associazioni cerchiamo di promuovere queste buone prassi, è importante che siano adottate anche nel pubblico perché potersi presentare con il proprio nome di elezione e averlo scritto su badge, firma e posta elettronica fa davvero la differenza per le persone», dice Christian Leonardo Cristalli, presidente di Gruppo Trans, associazione di Bologna che lavora per diffondere l'identità alias in ambito universitario e negli enti locali e ha attivato un protocollo con l’Università di Modena e Reggio Emilia per studenti e dipendenti.

Questo strumento è utilizzato anche in ambito sportivo (ne è un esempio il tesseramento Alias di Uisp), dalle aziende dei trasporti pubblici, come la Start di Ravenna che consente di sottoscrivere l'abbonamento con l'alias, e da una cinquantina di scuole superiori. Nel privato è più difficile ma esistono alcuni esempi, come Hera, la multiutility dell’Emilia Romagna, che dal 2017 ha un diversity manager. «Il nostro è un tentativo di portare nella pubblica amministrazione le buone pratiche già diffuse all'esterno», spiega Sabatino.

L’attivazione dell’identità alias per il comparto funzioni centrali sarà gestita dalle singole amministrazioni. Chi intende richiederla deve presentare la documentazione medica che attesta la transizione e potrà usare il nome di elezione per badge, credenziali della posta elettronica, targhetta sulla porta dell’ufficio. Busta paga, matricola, sistemi di rilevazione della presenza, provvedimenti disciplinari e tutti i documenti strettamente personali continueranno a riportare il nome indicato sui documenti.

La firma del contratto è attesa per la metà di febbraio, poi il contratto entrerà subito in vigore. E Sabatino auspica che le singole amministrazioni si attivino, attraverso gli organismi per la pari opportunità e la parità di genere, per porre l’attenzione su queste tematiche e diffondere sui luoghi di lavoro una cultura che riconosca le differenze.

«Dal disegno di legge Zan (su contrasto a omolesbobitransfobia e abilismo, affossato a ottobre in Senato) volevano cancellare l’identità di genere, oggi nel contratto degli statali è stata inserita l'identità alias. È un riconoscimento dell’esistenza di queste persone e dovrebbe innescare un circolo virtuoso per migliorare i luoghi di lavoro e la società, perché quando capisci che si tratta del tuo collega d’ufficio, della persona con cui prendi il caffè o del tuo capo ti rendi conto che sono situazioni normali», conclude Sabatino.

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