Nell’inchiesta sulla morte dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo, uccisi in un agguato in Congo lo scorso 22 febbraio, l’unico risultato concreto raggiunto finora è l’iscrizione nel registro degli indagati di Mansour Rwagaza, funzionario congolese del Pam (Programma alimentare mondiale), un ente delle Nazioni Unite. Le tre inchieste condotte della procura di Roma, della procura di Goma e del Pam (affidata al dipartimento di Sicurezza dell’Onu), partite all’indomani del tragico evento, faticano ad arrivare a traguardi significativi.

Rwagaza era il coordinatore della sicurezza dell’area e nella fattispecie della missione che si è svolta in una zona estremamente pericolosa. Il sostituto procuratore di Roma Sergio Colaiocco, che si occupa dei reati commessi all’estero contro italiani, ipotizza che non abbia preso sufficienti cautele nell’organizzazione della missione. Le indagini condotte in collaborazione con il Pam hanno accertato due gravi infrazioni sia in termini generici che specifici, e lasciano intravedere responsabilità dai risvolti inquietanti.

«Il dirigente del Pam – riferisce una fonte a diretta conoscenza dell’inchiesta – ha violato i protocolli dell’Onu che prevedono, nel caso di trasporto di soggetti esterni, una comunicazione ai vertici almeno 5 giorni prima della missione stessa al fine di valutare rischi e chiedere, nel caso, una scorta adeguata in genere messa a disposizione dalla Monusco (la forza di interposizione Onu ndr). Rwagaza, ha inviato il dispaccio solo la sera del 21 febbraio, a meno di 12 ore dalla partenza del convoglio escludendo così la possibilità di ottenere ogni tipo di protezione per Attanasio e Iacovacci».

A compromettere ulteriormente la posizione del funzionario, c’è una seconda, scellerata scelta. Per assicurarsi che gli venissero assegnate le due vetture necessarie per trasportare i 7 membri della missione inclusi gli autisti, ha dichiarato che tutti i passeggeri erano membri del Pam, omettendo di nominare e quindi segnalare la presenza dei due italiani: ha agito così per aggirare la burocrazia interna che prevede l’assegnazione di una sola macchina quando il preavviso è così breve.

Sentito dagli inquirenti, Rwagaza si è avvalso della facoltà di non rispondere. La condotta del funzionario mette l’accento sulle responsabilità del Pam che, oltre al mancato controllo dei suoi dipendenti, deve rendere conto dell’incredibile scelta di dichiarare “green” (sicura) la strada che da Goma, capoluogo del Kivu del Nord, conduce alla cittadina di Rutshuru, meta del convoglio. Si tratta infatti di una delle arterie più pericolose d’Africa, in un’area totalmente fuori dal controllo del governo, dove sono in azione oltre 150 milizie armate.

Quello che non sappiamo

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Sul comportamento di Rwagaza si potrebbero fare diverse supposizioni. Il funzionario potrebbe aver agito con superficialità incurante dei pericoli che la missione comportava in un’area simile. Oppure si è trattato di azioni di routine fatte da dipendenti negligenti solo per aggirare la burocrazia interna. Sebbene remota e non avallata per il momento da alcun inquirente, non si può escludere, in via del tutto teorica, neppure l’ipotesi che l’uomo possa aver agito in complicità con gli ideatori e gli esecutori dell’agguato.

Sicuramente l’iscrizione del funzionario Pam nel registro degli indagati segna un punto di svolta nell’inchiesta e fa almeno un po’ di luce su quanto è accaduto il 22 febbraio.

Nell’ombra, però, restano ancora moltissimi elementi riguardo agli assassini, ai mandanti e, soprattutto, al movente. «La procura di Roma a settembre ha inviato in Congo – spiega la fonte – una seconda rogatoria, ma è ancora in attesa di una risposta alla prima. Da parte delle autorità congolesi gli inquirenti italiani non hanno ricevuto alcuna collaborazione fattiva malgrado le richieste reiterate. Non sanno cosa stia facendo la procura congolese, non si sa nulla. Sotto questo aspetto possiamo dire che lo stallo è totale».

La prima missione del Ros (Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri), partita il giorno dopo la morte dell’ambasciatore e del carabiniere, è risultata totalmente vana sia a causa dei veti posti dalla Monusco in nome della sicurezza, sia per la scarsa collaborazione dei magistrati congolesi.

Ce n’è stata poi una seconda, a Kinshasa, condotta autonomamente, mentre alla richiesta avanzata in ottobre per una terza missione del Ros da svolgere a Goma non è giunta ancora alcuna risposta. «Sono stati anche sollecitati i dati dalle celle telefoniche per individuare presenze nella zona dell’agguato, ma niente, non li danno».

La posizione italiana

Qui entra in gioco l’atteggiamento assunto dall’Italia e, più nello specifico, dalla Farnesina nei rapporti politici con il Congo. Il presidente della Repubblica Democratica del Congo Felix Tshisekedi, dopo aver rilasciato a maggio una vaga dichiarazione in merito ad arresti di presunti esecutori degli omicidi, poi rilevatisi assolutamente inconsistenti, è stato due volte a Roma negli ultimi mesi.

In occasione del primo viaggio, il 2 settembre, è stato ricevuto dal presidente Sergio Mattarella, alla presenza della viceministra degli Esteri Marina Sereni, per una visita lampo durata meno di un’ora. Tshisekedi ha partecipato a Roma al G20 in qualità di presidente di turno dell’Unione africana e, a margine dei lavori, ha incontrato il premier Mario Draghi che, dopo aver affrontato questioni sanitarie ed economiche, ha chiesto aggiornamenti sulle indagini.

Cosa ha risposto Tshisekedi? Perché oltre a quelle di Draghi e Mattarella, che peraltro il 4 novembre scorso, nel conferire un riconoscimento all’arma dei carabinieri in onore di Iacovacci, ha reclamato risposte attorno ai tragici fatti, non si levano voci del ministero degli Esteri? I rapporti diplomatici tra i due stati, nel frattempo, sono al minimo.

Dopo un periodo non facile che ha anche visto l’ambasciata italiana a Kinshasa vacante dal gennaio al settembre 2016, le relazioni tra Italia e Congo hanno vissuto una fase di ripresa grazie all’impegno del nuovo ambasciatore Attanasio, che ha lavorato a un progetto di ricucitura dei rapporti tra i due paesi.

In questo momento, però, la nostra presenza diplomatica è ridotta a funzionari visto che, a nove mesi dall’uccisione del giovane ambasciatore, il successore Luigi Diodati è stato nominato ma non ha ancora preso servizio.

Fabrizio Marcelli, incaricato ad interim poco dopo la morte di Attanasio, è tornato a Roma mesi fa.

«Attanasio – spiega la fonte – con tutta probabilità è stato vittima di un tentativo di rapina o rapimento finito tragicamente. Possiamo fare tutte le ipotesi di questo mondo, tirando in ballo anche la geopolitica, ma finché non ci sarà collaborazione piena dalle autorità e dal governo congolese, sarà molto complicato giungere alla verità».

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