In primo grado il tribunale di Roma ha inflitto più di 70 anni di carcere agli imputati del processo nato dall’indagine 'Jackpot'. Salvatore Nicitra è stato condannato a nove anni di carcere. È ritenuto uno dei padrini della capitale: «La mafia a Roma? È nata con i magistrati meridionali arrivati qui», dice a Domani
La sentenza viene pronunciata a metà pomeriggio, l’aula è gremita di imputati, avvocati e anche forze dell’ordine. Il tribunale di Roma condanna Salvatore Nicitra a nove anni di carcere, in tutto 17 condanne per un totale di circa 70 anni di carcere. L’associazione a delinquere regge, il metodo mafioso no, reggono anche alcune estorsioni e il riciclaggio internazionale. Per alcune contestazioni, invece, è arrivata la prescrizione, per altre l’assoluzione. Nicitra, però, non c’è. È andato via quando si approssimava il momento del verdetto con l’aumento del numero di cronisti.
Era arrivato di buon mattino con camicia e gilet blu, un signore distinto che, secondo la procura antimafia di Roma, è uno dei re della città. Un boss, uno di quelli capaci di far sedere al tavolo delle trattative altri padrini per fare pace, in grado di muovere vagonate di soldi, di gestire e imporre slot machine nel lucroso affare dei giochi e delle scommesse. In fondo l’indagine dal quale il processo si è originata era stata ribattezzata Jackpot. Lo incrociamo in uno dei momenti di pausa, accompagnato dal suo avvocato, Carlo Sforza, e risponde con serafica compostezza alle nostre domande. «Ma quale boss, io non sono nessuno». E allora come si definisce Salvatore Nicitra nato a Palma di Montichiaro che, negli anni ottanta, divideva l’ospedale psichiatrico con Giuseppe Marchese, cognato di Leoluca Bagarella? Come si definisce Nicitra che, nella stagione della banda della Magliana, era amico di Franco Giuseppucci e Renatino De Pedis? «Un imprenditore», risponde.
L’imprenditore
Un imprenditore accusato di aver imposto a Roma nord la sua legge, in particolare nel settore della distribuzione e gestione delle apparecchiature per il gioco d'azzardo (slot machine, videolottery, giochi e scommesse on line). «Ma io avevo le mie sale slot, mica andavo in quelle degli altri, io pagavo 500 mila euro di tasse al mese. Ormai mi hanno sequestrato tutto. Ma quali minacce? Quelli erano miei impiegati», dice.
L’imprenditore Nicitra ha fatto anche altro nella sua lunga carriera, lo ha ricordato il pm Stefano Luciani nella requisitoria. Ha fatto sedere al tavolo due calibri da novanta della malavita romana, Michele Senese, per la precisione un suo emissario Gabriele Cipolloni, e Franco Gambacurta. Con quest’ultimo c’è una famosa foto e poi le intercettazioni nelle quali sodali parlano di lui. In quella circostanza ha fatto l’arbitro, il paciere. «Ma lei sa benissimo che per questa vicenda sono stato assolto per non aver commesso il fatto in un altro processo, quindi di che dobbiamo parlare? Gambacurta (assolto in questo procedimento, ndr) lo conosco, e chi lo nega», dice prima di allontanare ogni sospetto: «Che loro si sono seduti mica dipende da me, io non so niente».
Nella requisitoria il pubblico ministero, però, pur ricordando l’assoluzione ha evidenziato l’importanza di quell’incontro e di quella mediazione, la conferma di un enorme peso criminale: «A me non interessa che sia stato assolto, a me interessa la vicenda in sé, perché vi dimostra di chi stiamo parlando», ha ricordato in aula, il sostituto procuratore Luciani. Nicitra nega intercettazioni, accuse e ricostruzioni: «Dicono un sacco di cose su di me, alcune non sono vere, il pm dice che io ho fatto questo, io ho fatto quello, che io comando a Roma nord, io non comando manco a casa mia. Ti sembro che io ho mai comandato?», chiede. Sembra un deja-vu. Ricorda Massimo Carminati, il nero della Banda della Magliana che diceva :«Io sono stato tutto ed il contrario di tutto.. omissis.. io sono stato qualunque cosa, la strage di Bologna... tutto quello che mi potevano accollà me lo hanno accollato».
La Banda
Ecco la Banda della Magliana. Nicitra era vicino a quel mondo, a quell’insieme di atolli criminali. «E mica la banda è stata catalogata come mafiosa? A Roma ci sono sempre state le batterie, nulla più. Io sono innocente e mi devono assolvere». Prima di andare via Nicitra è sicuro di una cosa: l’aggravante del metodo mafioso cadrà. E lui che di scommesse se ne intende, dice: «Al novanta per cento cade». E così decidono i giudici: non c’è, ma l’associazione semplice sì. «Ma quale mafia? Quale metodo mafioso? Roma non è mai stata una città di mafia, è nata con i magistrati meridionali arrivati a Roma», chiosa Nicitra.
Ora si prepara a fare appello contro la condanna a nove anni mentre attende il verdetto di un altro processo, dove è accusato per cinque omicidi, tre nel ruolo di mandante. Roba da anni ottanta, vicende ricostruite grazie ai collaboratori di giustizia. Cialtronate per Nicitra che si dice totalmente estraneo. Un altro capitolo per il re che non comanda manco a casa sua.
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