La sentenza contro i Casamonica pronunciata ieri dal tribunale di Roma, che ha condannato i vertici del clan in primo grado per associazione mafiosa, non chiude la stagione dei poteri criminali nella capitale. Una storia che dura da oltre mezzo secolo.

La decima sezione penale, presieduta da Antonella Capri, ha condannato a 30 anni Domenico Casamonica, a venti anni e sei mesi Giuseppe Casamonica, a 17 anni e sette mesi Consiglio Casamonica, per un totale di quasi 400 anni di condanne complessive.

Ha retto l’impianto della procura, una sentenza contro la quale le difese hanno preannunciato ricorso appena saranno depositate le motivazioni. Ma nella città i Casamonica restano un clan di mafia che controlla ancora feudi e mantiene in alcuni territori il comando.

Quello che è finito a processo, condannato per associazione mafiosa, è solo l’arcipelago Appio-Tuscolano che controlla vicolo di Porta Furba, una strada senza uscita dove la famiglia mafiosa spacciava stupefacenti su appuntamento e l’ingresso veniva monitorato da vedette e sentinelle.

In strada restano diversi esponenti apicali della famiglia: alcuni a processo, altri che hanno scontato la loro pena. Guerino Casamonica, detto Jonny, ha finito di scontare la sua condanna per estorsione e vive nella sua dimora di lusso alla Romanina. Altri sono finiti a processo, dibattimenti che dimostrano il livello di connivenza e rapporti costruiti dal clan in questi anni. 

Il processo all’avvocato

Tra i condannati nella sentenza di ieri, a 25 anni e nove mesi, c’è anche Salvatore Casamonica, detto do’. La sua storia criminale incrocia i clan degli albanesi, la batteria di Fabrizio Piscitelli, il narcotrafficante ultrà della Lazio, ucciso il 7 agosto 2019 e il mondo di sopra, fatto di avvocati e professionisti. Il boss è un narcotrafficante, coinvolto in un processo Brasile low cost che ricostruisce l’attività di importazione di sette tonnellate di cocaina dal sud America, interrotta dall’operazione delle fiamme gialle.

Ma Casamonica è imputato in un altro processo anche con un avvocato molto noto nel foro romano, Angelo Staniscia, che risponde di concorso esterno in associazione mafiosa. La sua assistente di studio, Lucia Gargano, in abbreviato, è stata condannata a sei anni e otto mesi di reclusione per lo stesso reato.

La storia di questo procedimento racconta gli incroci tra Casamonica, Piscitelli, gli Spada e Marco Esposito, detto barboncino, boss di Ostia, il litorale romano da anni preda dei traffici illeciti. Gargano e Staniscia avrebbero contribuito a rafforzare il potere del clan Spada di Ostia favorendo un incontro per sancire la pace tra le famiglie criminali in guerra.

«Fornendo un contributo causalmente rilevante al raggiungimento di un accordo che mettesse pace tra il clan Spada e un altro gruppo criminale operante sul territorio ostiense e capeggiato da Marco Esposito, detto Barboncino, accordo determinante per la stessa conservazione delle capacità operative del sodalizio in un momento di forte difficoltà del clan Spada», si legge nel fascicolo processuale.

Una pace sancita con un pranzo in un ristorante, nel 2017, per fermare proiettili e ferimenti. «A Ostia la situazione è fluida, molti capi sono in carcere, ma arrivano chili di droga che vengono gestiti da gruppi che sono cresciuti con gli Spada, i Fasciani e ora sono diventati autonomi», dice un inquirente.

Sono liberi Roberto De Santis e Roberto Giordani, conosciuti come nasca e cappottone, responsabili del tentato omicidio del boss Vito Triassi, nel 2007, il loro ruolo sembra in ascesa. Nella città di Roma sono almeno 50 le famiglie criminali che si dividono il territorio gestendo il business più lucroso quello del traffico di stupefacenti.

Nel panorama criminale ci sono: le ‘ndrine Giorgi, Gallace, i cartelli criminali come i Cordaro, quelli legati al narcotrafficante Michele Senese e i Moccia con i capi liberi, come Luigi, con l’obbligo di dimora a Milano dopo anni vissuti da uomo libero ai Parioli a Roma.

Nella città che tutto accoglie iniziano a gestire piazze di spaccio gli albanesi. Sono gli invisibili, uno dei capi, Dorian Petoku è in Albania, inseguito da un mandato di estradizione. I clan di mafia non sono solo agguati, sempre meno, e affari sporchi, ma anche investimenti grazie al mondo delle professioni e dell’imprenditoria.

Società di consulenze, commercialisti, intermediari svolgono un ruolo decisivo in una delle attività più importanti del crimine: quella del riciclaggio di denaro sporco e della conseguente intestazione fittizia di beni. Le catene di ristoranti, bar, hotel sono una lavatrice straordinaria per ripulire il denaro tirato su con usura, droga ed estorsioni.

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