Hanno detto semplicemente quello che dovevano dire: che la mafia fa schifo. E, anche questa volta, si sono messi a posto. Bastano sempre quelle quattro paroline magiche, la-mafia-fa-schifo, per fare bella figura e stare allineati e coperti pure nel giorno del trionfo, il giorno che segna «la storica fine di Cosa nostra». Nella Sicilia a due facce niente è impossibile. Giochi di specchi che comunque restituiscono fedelmente la realtà: Matteo Messina Denaro catturato dopo trent’anni e, dopo trent’anni, loro che sono tornati a comandare. C’è chi sale e c’è chi scende nella scala del potere di Palermo.

Gli uomini della restaurazione

Il governatore Renato Schifani ha provato «tanta gioia», il sindaco Roberto La Galla ha parlato di «una liberazione», l’ex presidente della regione, Totò Cuffaro, non ha avuto modo di esultare per colpa del collega Claudio Reale che gli ha guastato la festa ricordando che il medico curante del boss di Castelvetrano – Alfonso Tumbarello, adesso sotto indagine – era candidato una quindicina di anni fa nelle sue liste. Solo coincidenze, roba vecchia, sepolta. Riemersa però.

Questa bella compagnia che si è ripresa nelle mani la capitale della Sicilia e anche il resto dell’isola, almeno a mia memoria, si sta rivelando la più “antimafiosa” squadra di governo mai vista dal secondo Dopoguerra. A turno non fanno altro che riempirsi la bocca di legalità, non si perdono una sola commemorazione di vittime del piombo mafioso (a Palermo ce ne sono praticamente due la settimana), si rallegrano «con le forze dell’ordine e per l’incisiva azione della magistratura» ogni qualvolta uno scalcagnato estorsore di Brancaccio o dello Zen finisce al 41 bis nel carcere dei Pagliarelli.

Lo fa Schifani, lo fa La Galla, un po’ meno Cuffaro, per niente Marcello Dell'Utri, il senatore condannato a 7 anni per concorso esterno e vero regista della restaurazione politica siciliana.

Il “professore Scaglione”

Potevano mai stare zitti quando i carabinieri sono riusciti ad afferrare l’imprendibile Matteo? Potevano farsi sfuggire quest’occasione? Contravvenendo al famoso detto siciliano che recita «la meglio parola è quella che non si dice», i personaggi sopracitati si sono rivelati particolarmente loquaci quando c’è da discettare su mafia e mafiosi.
Il primo a congratularsi con il Raggruppamento speciale dei carabinieri è stato Schifani, ex presidente del Senato, avvocato, un passato di frequentazioni assai losche e un’archiviazione per concorso esterno. Definito da un ministro della Giustizia del governo Berlusconi «il principe del foro del recupero crediti», il governatore della Sicilia è attualmente a processo per associazione a delinquere a Caltanissetta.

Imputato nel cosiddetto “sistema Montante”, con lo stesso vicepresidente di Confindustria Calogero Montante, con l'ex direttore dei servizi segreti Arturo Esposito, con l’ex capo della Direzione investigativa antimafia Arturo De Felice, con l’ex presidente della regione Rosario Crocetta e un’altra ventina fra funzionari dello stato e imprenditori. Nelle agende di un ufficiale dell’intelligence, il perché non si è mai capito, Schifani era indicato con un nome in codice: «Il professore Scaglione».

E ora, diventato governatore, «il professore Scaglione» alias Renato Schifani ha nella sua giunta due assessori – Nuccia Albano alla Famiglia e al lavoro e Andrea Messina alle Autonomie e alla funzione pubblica – che gli ha piazzato Totò Cuffaro, ancora protagonista della scena politica e leader della Nuova democrazia cristiana dopo cinque anni trascorsi a Rebibbia, per favoreggiamento alla mafia.
In giunta c’è pure Roberto Di Mauro, un agrigentino che da un quarto e passa di secolo ha una poltrona in Assemblea regionale e che è un fedelissimo dell’ex governatore Raffaele Lombardo, un altro pezzo grosso, condannato in primo grado e assolto in appello sempre per concorso esterno. La sua sorte sarà definitivamente decisa fra qualche mese dalla Cassazione.

La politica e i condannati

Qualcosa da dire presidente? Renato Schifani non si è fatto pregare e un paio di giorni fa ha risposto ai cronisti dell’edizione palermitana di Repubblica su Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro: «Se ci sono condannati che hanno espiato la loro pena nulla può impedire loro di fare politica. Se poi si dovesse scoprire che questi soggetti continuano tutt’oggi a delinquere sarebbe cosa diversa, ma non mi sembra che appartengano a questa categoria». E sulla sua regione: «Sarebbe da ipocriti garantire che gli enti locali siano immuni da infiltrazioni». Abbasso Matteo Messina Denaro, viva il governo siciliano.

 

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