Fatti

Messina Denaro, il boss siciliano che ha pensato più a sé stesso che a Cosa nostra

  •  Mafioso atipico, molto appariscente, vestiti firmati, auto di lusso, Rolex al polso e tante donne. Mai nella storia di Cosa nostra si è conosciuto così a fondo la vita sentimentale di un boss.
  • Figlio di don Ciccio, anche lui capomafia cresciuto come campiere dei D’Alì, aristocratica famiglia trapanese proprietaria di terre, di saline e di banche. Il rampollo dei D’Alì, Antonio, è stato sottosegretario all’Interno in un governo Berlusconi prima di essere condannato, un mese fa, per concorso esterno dalla Cassazione.
  • Considerato l’erede di Totò Riina, negli ultimi anni ha preferito salvaguardare la sua libertà piuttosto che prendere in mano le redini dell’organizzazione.


 

Lo cercavano tutti. Anche i mafiosi. Non sapevano neppure loro che fine avesse fatto, perché più che a pensare a Cosa nostra ormai pensava solo a sé stesso. Alla sua sopravvivenza, braccato come un lupo, sempre più solo. Sorte infame per uno che era predestinato a diventare il capo dei capi. Un boss palermitano si sfoga nel buio di una casa dove, uno “spillo”, una microspia, cattura ogni parola: «Ma questo che fa? Arrestano i tuoi fratelli, le tue sorelle, arrestano i tuoi cognati, prendono la

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