Dopo otto anni la stessa tragedia. Nella tarda serata del 29 settembre, un incendio ha distrutto la baraccopoli dell'ex "Calcestruzzi Selinunte" situata tra Campobello di Mazara e Castelvetrano, in provincia di Trapani. Qui, da tre anni, oltre mille lavoratori stagionali addetti alla raccolta delle olive si radunavano e si autogestivano nell’indifferenza delle istituzioni. Uno di loro è morto carbonizzato, avvolto dalle fiamme causate, a quanto si apprende, da un incidente.

Il suo nome era probabilmente Omar, ma l’identificazione è ancora in corso. Nel frattempo, tra i superstiti la rabbia è tanta perché quella avvenuta era una tragedia non solo annunciata, ma che si va a sommare a un’altra già avvenuta nel 2013.

Un’odissea lunga dieci anni

«Quando otto anni fa creammo l’associazione “Contadinazioni”, era appena avvenuta la morte di un altro bracciante senegalese deceduto in un casolare. Il nostro obiettivo era di evitare che simili eventi si ripetessero. Oggi a causa del menefreghismo delle istituzioni ci troviamo di fronte a un altro vergognoso dramma», dice Martina Lo Cascio, sociologa e attivista di Contadinazioni (associazione della rete di Fuori mercato), da anni attiva sul territorio. Quella descritta da Martina è una vera e propria odissea che vede i braccianti sballottati in campi sempre più fatiscenti e lontani dagli occhi e dalle attenzioni degli abitanti.

I primi accampamenti dei braccianti stagionali sono iniziati attorno al 2010. Il campo all’epoca più grosso era quello di contrada Erbe Bianche, dove i lavoratori erano abbandonati a sé stessi senza acqua, né luce. Poi nel 2018, le istituzioni avevano recepito le nuove norme sul caporalato e avevano sgomberato il campo, destinando i migranti a un altro campo davanti all’ex oleificio “Fontane d’oro” e gestito dalla Croce rossa.

La soluzione, però, non era stata accettata dai migranti. I posti letto della nuova struttura erano infatti solo duecento a fronte di picchi di 1.500 persone e, soprattutto, per accedere alle sistemazioni, bisognava avere i documenti in regola creando una differenza tra regolari e non. Una discriminazione che i braccianti non hanno accettato, preferendo trasferirsi nella baraccopoli dove sorgeva la Calcestruzzi Selinunte. Un luogo a metà strada tra Campobello e Castelvetrano, dove i lavoratori hanno dovuto provvedere da soli alla propria sopravvivenza.

L’indifferenza dello stato

«Sono arrabbiato e davvero stanco. Oggi un nostro fratello è morto in una maniera che non auguro a nessuno», si sfoga Sek Masseck, attivista senegalese della casa del mutuo soccorso dei braccianti e di Fuori Mercato. Sek è da sette anni in Italia e da sei viene ogni anno a lavorare negli oliveti trapanesi, un lavoro duro che si svolge in autunno e può durare anche oltre un mese.

«Ogni anno abbiamo denunciato la situazione invivibile nel nostro campo e ogni anno siamo stati ignorati da tutti tranne che da Fuori Mercato», denuncia l’attivista che descrive una situazione degradante in cui per farsi un doccia i braccianti sono costretti a rifornirsi di acqua nel paese e dove si rischia di finire letteralmente sommersi dalla spazzatura. Per far arrivare almeno un po’ di acqua corrente nel campo, Fuori Mercato aveva lanciato la campagna “Porta l’acqua al ghetto”. Nell’ambito di questa iniziativa il sindaco di Campobello, Giuseppe Castiglione, era venuto nel campo il 26 settembre per ascoltare le richieste dei lavoratori e le loro denunce di situazioni paradossali come il lavoratore che si era ritrovato una multa per avere spostato i rifiuti che sommergevano il campo.

«I sindaci ogni tanto vengono, ma poi non fanno mai nulla. Anche di fronte all’incendio hanno avuto un comportamento indegno: il sindaco di Campobello è arrivato, ha visto la situazione e se n’è andato mentre quello di Castelvetrano ha voluto parlare con noi, ma noi ormai siamo stanchi di continue promesse a vuoto, Nessuno dei due ci ha chiesto anche solo semplicemente “come state?”», dice Sek. Se i sindaci nicchiano, il resto delle istituzioni è totalmente assente.

«C’è un tavolo in prefettura, ma qui oltre ai sindaci di politici non abbiamo mai visto nessuno», racconta Martina che descrive anche l’indifferenza dei suoi concittadini: «Oggi siamo in quindici attivisti ad aiutare queste persone, il resto dei campobellesi non si interessa assolutamente a questa vergogna».

La versione del sindaco

Il sindaco di Campobello, però, non ci sta a passare per menefreghista. «Queste affermazioni sono ingiuste, benché comprenda che possano essere state dettate dal dolore e dalla rabbia di questo momento», dice Castiglione che racconta di essersi recato immediatamente sul luogo dell’incendio per “manifestare” il proprio dolore e la propria voglia di collaborare con le forze dell’ordine.

Sul tema dell’accoglienza, il primo cittadino riconosce che si tratta di «temi complessi a causa della necessità di reperire spazi ampi», ma rivendica di avere presentato «due progetti in attesa di finanziamento per risolvere la questione» e di essere già al lavoro, insieme al resto delle istituzioni, per individuare nuove strutture dove ospitare i braccianti: «Al momento la soluzione che appare più idonea è quella di ospitarli all'interno del Giardino delle Esperidi o dell'ex Mo Car, beni confiscati assegnati al Comune di Castelvetrano». Il tutto con ben chiaro in testa che il lavoro svolto dagli stagionali è «indispensabile per l’economia locale».

«Siamo lavoratori, non bestie»

Dopo l’incendio i lavoratori che abitavano il campo hanno perso tutto. «C’era chi viveva qui ormai da anni e che ora si chiede quale sarà il suo futuro»: dice Martina. Per farsi sentire i braccianti hanno organizzato prima un blocco stradale tra Campobello e Castelvetrano e poi un corteo che, partendo dalle strade dove gli stagionali si erano rifugiati per sfuggire alle fiamme, è passato prima sotto il comune di Campobello e poi è giunto davanti al campo della Croce Rossa dove i lavoratori chiedono di essere accolti. Tutti.

«Finché si tratta di lavorare possiamo farlo anche se non siamo in regola, ma poi non possiamo dormire senza documenti?», chiede polemicamente Sek, che poi espone le richieste dei braccianti: «Vogliamo essere accolti senza distinzioni tra irregolari e regolari e vogliamo essere pagati non più in base alle cassette che raccogliamo, ma alla giornata. Come degno di un lavoratore in un paese civile».

La tensione tra gli accampati è ormai alle stelle dopo anni di silenzio e per concludere Sek parla chiaro: «O lo stato ci ascolta o noi ce ne torniamo a casa. Non è più ammissibile essere trattati come animali mentre svolgiamo un lavoro che serve a tutta la comunità. Se proprio vogliono continuare a farlo che mandino i loro figli a lavorare nelle nostre condizioni. Noi siamo lavoratori, non bestie».

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