È il 20 aprile del 2017. La signora Luigina Perosa sta parlando con i poliziotti della squadra mobile della questura di Pordenone mentre avviene lo sgombero di 67 stranieri dall’area dei parcheggi del “Bronx”, come viene chiamata l’area vicina a parco Querini, e spiega ai militari: «Man mano che la gente veniva a dormire in questo parcheggio, dopo la chiusura del parco Querini, noi portavamo le coperte, man mano che le persone nuove arrivavano, noi portavamo i teli e le coperte, ci sembrava il minimo della solidarietà, insomma. Alla fine faceva freddo, siccome ci hanno regalato questi teli, abbiamo pensato di creare un minimo di privacy e di intimità, nel senso che qui le persone sono sotto gli occhi di tutti e non è dignitoso». 

A distanza di quattro anni da questo racconto, per questi episodi di solidarietà concreta, il 10 novembre del 2021 la signora comparirà in un processo, dove rischia, se venisse condannata, fino a due anni di galera. E non solo lei. Andiamo con ordine.

Gabriella Loebau, Elisabetta Michielin e Luigina Perosa sono tre donne di Pordenone che hanno tutte oltre 60 anni di età e che da qualche anno aiutano i migranti che vivono in strada: a sopravvivere, resistere al freddo, alla fame e alla sete, alle condizioni di indigenza in cui alcuni di loro spesso si trovano nella città del Friuli Venezia Giulia.

Lobeau, Michielin e Perosa fanno parte della rete di attivisti e volontari, Rete Solidale Pordenone, e il prossimo novembre andranno a processo insieme ad altri 9 richiedenti asilo con l’accusa di invasione di terreni, perché «in concorso tra loro invadevano arbitrariamente l’area destinata a parcheggio dell’ente pubblico Inail di Pordenone al fine di occuparla bivaccando all’interno creando dei rifugi e impossessandosi dell’area chiudendola e delimitandola con coperture di materiale plastico nonostante fossero state loro offerte prospettive alternative». Di fatto avevano delimitato una parte del parcheggio con dei tendoni per garantire la privacy a chi avrebbe dormito al loro interno.

È questa l’accusa mossa dal pubblico ministero, Monica Carraturo, che ne ha chiesto il rinvio a giudizio alla fine della scorsa estate e, in particolare, le tre donne operanti presso l’associazione Rete Solidale sono ora imputate perché «aiutavano a recuperare coperte e quanto necessario e i restanti indagati si accampavano all’interno».

I fatti contestati

I fatti contestati dalla polizia di Pordenone risalgono a quando in città arrivavano ogni giorno decine di richiedenti asilo che avevano diritto per la legge italiana all’accoglienza e che, però, a causa della indisponibilità di strutture e dei comportamenti ostativi delle istituzioni locali furono costretti, per molti mesi, a vivere al gelo per la strada, in ripari di fortuna, anche se sostenuti  dalla solidarietà di singole persone ed associazioni come Rete Solidale, appunto.

Amnesty International in quei mesi raccontò che Alessandro Ciriani, fratello del senatore di Fratelli d’Italia, Luca, si rifiutò di concedere alla Croce Rossa la possibilità di realizzare un dormitorio gratuito per i migranti senza tetto, nel «timore di un’invasione». Nella convinzione «che un’accoglienza degna e rispettosa dei diritti umani costituirebbe un fattore di attrazione per altri migranti e richiedenti asilo. Da qui – spiegava l’associazione – le misure di deterrenza: niente servizi igienici, niente dormitori e costanti minacce di sgombero».

Così, una serie di persone tra cui la volontaria della Croce Rossa Loebau, subirà un processo per quelle azioni di solidarietà concrete a cui partecipò in quelle giornate di inverno del 2017 in cui la temperatura arrivava da quelle parti a meno dieci gradi, immediatamente, si mobilitarono. Secondo i rapporti della polizia: «invadevano arbitrariamente terreni di proprietà dell’Inail al fine di occuparli a scopo di dimora. In particolare invadevano l’area parcheggio dell’Inail in via Ceramica Vecchia a Pordenone creando ripari, soggiornandovi a scopo di dimora e delimitando l’area».  

Sgomberi forzati

Nella realtà dei fatti, in tutti i casi, era accaduto che un grande parcheggio sotterraneo di proprietà dell’istituto che tutela in Italia gli invalidi sul lavoro era diventato un ricovero forzato di richiedenti asilo, così come a Pordenone lo erano stati in passato e fino ad oggi per qualcuno che ancora dorme in strada: il sagrato della chiesa, la pensilina dell’ex fiera, le scalinate di un palazzetto dello sport. In quelle giornate di inverno del 2017, in particolare, a decine di persone che vivevano in situazioni di invisibilità, anche al riparo nei fossi sul ciglio delle strade, la polizia locale agli ordini del sindaco di Fratelli d’Italia, ogni notte sequestrava le coperte e i sacchi a pelo. Altrettanto di frequente, le forze dell’ordine procedevano negli sgomberi forzati. Come avvenne il 20 Aprile, quando circa 70 richiedenti asilo che dormivano da mesi all’interno del parcheggio sotterraneo in questione, furono svegliati da decine di carabinieri, finanzieri, poliziotti e vigili urbani, che procedettero allo sgombero dell’accampamento ad una settimana esatta dalla manifestazione “per i doveri” promossa dal sindaco di Pordenone, Alessandro Ciriani che, in tal modo, disse, «voleva sollecitare le autorità a restituire alla comunità quella zona di città occupata dai migranti, afghani e pakistani, specialmente».

E ora, dunque, una decina di quegli stranieri, alcuni attivisti italiani, tra cui le tre donne, se nel processo le accuse dovessero essere confermate, rischiano pene fino a due anni e multe fino a 2.000 euro. Per questi tipi di accuse, inoltre, le pene sono state inasprite fino a quattro anni di reclusione dai decreti sicurezza fortemente voluti dall’ex ministro degli Interni, Matteo Salvini.

Reati di solidarietà 

Non è la prima volta, però, che nel territorio del Friuli Venezia i solidali che aiutano i migranti rischiano di finire in galera. Gli stessi reati furono contestati, infatti, qualche anno fa, ad Udine, a sette volontari dell’Associazione Ospiti in Arrivo i quali furono denunciati per invasione di terreni e di edifici mentre stavano distribuendo coperte e generi di prima necessità a richiedenti asilo.

I sette attivisti furono anche indagati per il reato di «favoreggiamento della permanenza di stranieri presenti illegalmente in Italia al fine di trarne ingiusto profitto». Quel procedimento fu poi archiviato dal giudice per le indagini preliminari del tribunale friulano, Emanuela Lazzaro, perché non vi fu ravvisato nessun reato per i volontari, ai quali, anzi, fu riconosciuto in sentenza il fatto di aver messo a disposizione le loro risorse per sopperire a una «temporanea ma significativa incapacità delle Istituzioni» di dare assistenza e tutela ai richiedenti asilo. Ma c’è di più.

Più di recente, Domani ha raccontato il caso di Gian Andrea Franchi, indagato per favoreggiamento dell'immigrazione irregolare che qualche mese fa ha visto piombare in casa sua di notte i poliziotti della Digos di Trieste che in una azione coordinata con gli agenti antiterrorismo dell’Ucigos gli hanno sequestrato il pc e il cellulare. Franchi, insieme alla moglie, Lorena Fornasir, guida l’associazione Linea d’ombra e insieme passano le loro serate davanti alla stazione di Trieste dove curano le ferite dei richiedenti asilo che arrivano in Italia dalla rotta balcanica, accogliendoli con coperte, scarpe e cibi caldi.

I due coniugi rischiano di subire un procedimento penale perché accusati di aver aiutato una famiglia iraniana a prendere il treno dalla stazione di Trieste e, quelle stesse persone, poi, sono state fermate dalla polizia senza documenti di soggiorno, ricevendo un foglio di via.

Tornando ai nostri giorni, cioè al processo che comincerà a breve nei confronti delle tre donne di Pordenone, una di loro, dice a Domani: «il nostro processo non ci stupisce perché la solidarietà è di fatto criminalizzata in ogni luogo in cui si costruiscono muri e confini». E il Friuli Venezia Giulia è uno di questi luoghi, evidentemente, dove il sottosegretario agli Interni in quota Lega, Nicola Molteni, ha dichiarato lo scorso 24 settembre, partecipando a un comizio elettorale che si è tenuto a Trieste: «Bisogna non solo rafforzare il presidio attraverso i militari e potenziare i pattugliamenti misti con la Slovenia, ma questo rischia di essere vanificato se non torniamo a fare le riammissioni informali».

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