Circa un milione di anni fa l’Homo erectus iniziò a migrare e da allora gli esseri umani hanno sempre migrato verso terre che offrivano migliori condizioni di vita.

In seguito si sono formati gli stati che hanno posto confini al loro territorio e la migrazione è diventata sempre più difficile ma comunque sempre sostenuta. In epoca moderna ricordiamo le grandi migrazioni avvenute dopo la scoperta dell’America: è dall’Europa che parte un’emigrazione senza precedenti e i suoi coloni si stabilizzano un po’ ovunque nel mondo, intrecciando rapporti di vario tipo con i governi e le popolazioni locali.

Quella migrazione riguardava soprattutto mercanti, missionari e militari, una migrazione che ha assunto in seguito la veste di colonizzazione proseguita fino ai giorni nostri.

Le colonizzazioni

La storia delle colonizzazioni comprende, purtroppo, anche stragi di popolazioni locali, sfruttamento delle ricchezze del paese, deportazioni di parte della popolazione, tracciamento di confini irrispettosi delle articolazioni etniche e infine la tratta degli schiavi.

E sono soprattutto i paesi europei gli autori di questa colonizzazione spietata. La Francia ha occupato i paesi del nord Africa e l’Indocina, il Belgio il Congo Belga, la Spagna l’America del sud, il Portogallo l’Angola e il Mozambico.

Non possiamo poi dimenticare le stragi della colonizzazione fascista in Etiopia e Libia. Forse solo la Gran Bretagna ha operato un colonialismo non senza violenze, ma temperato dalla formazione di una classe dirigente di quei paesi, educata nelle università inglesi e con lo scopo della creazione del Commonwealth che, come dice la parola stessa, intende costituire un’area di benessere comune attraverso un mercato assai vasto.

La colonizzazione inglese più importante è stata quella dell’India, diventata indipendente nel 1948, dove gli inglesi hanno formato una classe dirigente e amministrativa e sviluppato i trasporti. La Gran Bretagna decise di concedere l’indipendenza all’India costituendo due stati Indipendenti: l’India e Il Pakistan. Questo produsse un’enorme tensione che provocò la migrazione di massa di 12-15 milioni di persone e terribili violenze, che avrebbero causato un milione di morti.

Nel 1800, nonostante le ricchezze depredate nelle colonie, gli europei avevano un modesto tenore di vita e proprio quelle colonie, alcune delle quali cominciavano a diventare stati liberi, attrassero la forza lavoro in cerca di fortuna. Hatton e Williamson (2005) riportano che in circa un secolo, tra il 1820 e il 1940, emigrano circa 60 milioni di europei. Di questi 38 milioni verso gli Stati Uniti. Una migrazione che ha interessato sensibilmente l’Italia.

Il silenzio degli stati europei

Negli anni settanta e ottanta del secolo scorso, quando si stava spegnendo il processo di colonizzazione, la ricchezza dei paesi occidentali, compresi gli Stati Uniti, stava crescendo a tassi elevati. Questi paesi avrebbero dovuto investire allora parte di questa ricchezza nei paesi sottosviluppati, soprattutto in Africa, creando scuole, artigianato, piccole industrie, sistemi di welfare.

Questo avrebbe permesso innanzitutto alle popolazioni di questi paesi di restare nei loro territori perché lo sradicamento al quale sono sottoposti i migranti è assolutamente dannoso per la stabilità psicologica della persona. Inoltre, questi investimenti avrebbero potuto creare rapporti commerciali proficui per l’economia di entrambe le parti. Soprattutto avrebbero forse evitato o ridotto le migrazioni odierne.

I paesi responsabili della colonizzazione selvaggia alla quale abbiamo solo accennato, sono gli stessi che oggi, senza un minimo senso di colpa storica, pongono ostacoli alla migrazione dai paesi del nord Africa, del medio oriente, dell’Afghanistan, del Pakistan. Sono persone che fuggono da guerre, mancanza di cibo e acqua, mancanza di lavoro e soggette a sfruttamento e violenze.

Ancora una volta la miopia economica e l’incapacità di pianificare a lungo termine impediscono ai paesi europei di vedere che l’invecchiamento della popolazione e il calo della natalità presenterà nel 2050 un quadro con una popolazione anziana e diminuita del 10 per cento, quindi con una seria carenza di mano d’opera. Una manodopera che versa contributi indispensabili per mantenere gli attuali livelli di welfare.

La necessità di una politica migratoria

È quindi palese che i paesi dell’Ue devono approvare al più presto una politica migratoria ragionata, di lungo periodo, con chiari scopi economici, ma soprattutto umanitari.

È drammatico vedere che a volte il mondo si mobilita per una persona in pericolo di vita, ad esempio caduta in un crepaccio, mettendo in campo una infinità di mezzi, per poi lasciare morire in mare centinaia di persone con giustificazioni becere come quelle del ministro Piantedosi.

Tornare al progetto Mare nostrum può certamente aiutare ma non è sufficiente. Ogni paese europeo deve dichiarare quanti migranti intende accogliere ogni anno per almeno cinque anni.

Sulla base di queste disponibilità si stabiliscono le regole (poche e chiare) per queste migrazioni regolari e le procedure per quelle irregolari.

Si deve stabilire, soprattutto, come questi migranti regolari devono essere trasportati in sicurezza in Europa facendo così terminare l’attività criminale degli scafisti. No si devono più vedere accordi come quelli con la Turchia, pagata miliardi di euro per trattenere i migranti in condizioni da campo di concentramento. Idem per gli accordi di Minniti con la Libia.

Il nostro paese, che è il più esposto al fenomeno migratorio, dia un chiaro esempio di una corretta gestione del problema, evitando ridicoli consigli dei ministri a Cutro e modifiche alle destinazioni delle navi cariche di migranti verso i porti del nord Italia che allungano solo lo stress e i problemi dei migranti stessi. Infine si adoperi per una revisione della Convenzione di Dublino.

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