Il suo nome affiora in decine di indagini. Lo ritroviamo nei fascicoli impolverati di innumerevoli misteri italiani. Ricorre nelle inchieste che hanno rivelato i lati oscuri del potere. Le tracce lasciate da Flavio Carboni, insomma, conducono al groviglio di interessi criminali che non sempre hanno trovato conferme in sentenze di condanna definitive.

Carboni è morto per un infarto lunedì 24 gennaio, a 90 anni a Roma, lui però era della Sardegna, la terra che custodisce e custodirà ancora i suoi segreti più rilevanti. Una delle ultime volte che era finito sui giornale è per l’incontro con il papà di Maria Elena Boschi nel caso della banca Etruria. Ancora prima coinvolto nell’inchiesta sulla P3 insieme a Denis Verdini sull’associazione segreta costituita per condizionare soprattutto nomine e ottenere favori.

Con lui certamente verranno seppelliti anche i suoi segreti che ha custodito fino ai giorni nostri. Il suo rapporto con Licio Gelli, per esempio, la mente della loggia massonica P2, una sorta di governo del paese parallelo il cui marchio è stato impresso sulla carne dell’Italia ferita dalle bombe delle strategia della tensione e dal piombo degli opposti estremismi.

Carboni vanta centinai di citazioni in atti giudiziari, ma rare sono le condanne. Quella definitiva è una sola: registrata per il crack del banco Ambrosiano, quando l’istituto era amministrato da Roberto Calvi poi trovato senza vita impiccato sotto il ponte dei frati neri a Londra. Per l’omicidio Calvi Carboni fu assolto, ma non per la bancarotta della banca la cui storia si è incrociata anche con quella del banchiere dalla mafia siciliana, Michele Sindona: misteri su misteri, in cui Flavio il “faccendiere” compare e scompare come un esperto illusionista.

Faccendiere, termine diventato assai di moda nel gergo giornalistico e che deve proprio a Carboni uno dei suoi utilizzi maggiori. Come definire Carboni del resto? Uomo d’affari, lobbista, intrallazone, imprenditore, massone? Guai a quest’ultima parola, «mai stato iscritto», andava ripetendo. Si definiva come un comune immobiliarista, nulla di più. Al pari di Licio Gelli, che voleva far credere agli italiani di essere un semplice venditore di materassi.

La villa di Berlusconi

Francesco Pazienza è uno degli ufficiali dei servizi segreti italiani condannati per depistaggio nella strage di Bologna insieme a Licio Gelli. Intervistato dall’Adnkronos ha ricordato così l’amico Carboni: «Era un tipico personaggio italiano che sapeva destreggiarsi magnificamente in mezzo ai casini del nostro Paese e ai misteri, che poi in Italia di misteri non ne esistono, la storia dei misteri italiani l’avete inventata voi giornalisti, in Italia si sa tutto di tutto e di tutti...Carboni navigava nelle acque italiane dagli anni Sessanta, l'ho conosciuto talmente bene da fare la stupidaggine di presentarlo io a Roberto Calvi».

Carboni è l’immobiliarista che ha trovato la villa in costa Smeralda a Silvio Berlusconi, all’epoca anche lui, futuro presidente del consiglio, solo un grande immobiliarista e dotato di tessera P2 numero 1816. Questo fatto lo racconta lo spione depistatore amico di Gelli: «La mega villa faraonica di Berlusconi in Sardegna, ad esempio, chi gliel'ha trovata? Flavio Carboni, che aveva intortato il pastore che aveva i terreni, si chiamava Tamponi, e poi erano passati a Berlusconi, di cui Carboni era molto amico all'epoca in cui Berlusconi faceva solo l'immobiliarista», aggiunge Pazienza.

L’ultima indagine antimafia

I terreni e le speculazioni immobiliari in Sardegna sono al centro di un’inchiesta dalla guardia di finanza e della procura di Cagliari chiusa a metà: il 21 settembre il giudice del tribunale sardo ha rigettato la richiesta di sequestro dei beni milionario e la sorveglianza speciale con obbligo di dimora per Carboni.

Il giudice ha rimandato al pm gli atti chiedendo ulteriori verifiche per puntellare le pesantissime accuse contenute nelle informative dei finanzieri. In quelle carte c’è la storia mai raccontata dei rapporti tra Carboni e il potente clan di camorra Moccia.

Dal racconto dei pentiti emergono pure le relazioni con Enrico Nicoletti, il cassiere della banda della Magliana, il gruppo criminale che ha governato Roma tra gli anni Ottanta e Novanta. In quel periodo sono provati i rapporti tra l’immobiliarista dei misteri d’Italia e il cassiere della mafia siciliana, Pippo Calò, considerato il manovratore della fazione più imprenditoriale della banda romana resa celebre dal libro e dal film “Romanzo Criminale”.

Nella sentenza di assoluzione per l’omicidio Calvi a carico di Calò e Carboni la corte aveva riconosciuti questi intrecci con il cassiere della mafia siciliana: si parla perlatro di investimenti fatti in Sardegna da Carboni per conto di Calò.

L’ultima indagine che con la morte di Carboni sarà destinata a sicura archiviazione puntava proprio a provare quella che per decenni è stata solo una tesi suggestiva: Carboni, secondo gli investigatori, avrebbe accumulato investendo denaro consegnatogli dalle mafie e altri miliardi frutto della bancarotta del banco Ambrosiano.

Per questo i magistrati hanno chiesto di sequestrargli i beni. Ma il giudice, come detto, ha rigettato la richiesta. E non perché non ci fossero indizi della collusione. Tanto che oltre al rigetto aveva chiesto ulteriori indagini alla guardia di finanza. Carboni però non c’è più. Perciò i dubbi sulla fortuna probabilmente resteranno tali.

Rapporti con i boss e misteri finanziari anni Ottanta. Le ombre che hanno accompagnato Carboni lungo tutta la vita, vissuta in equilibrio sul confine della legalità. Perché questo Carboni lo sapeva bene: stringere certe mani non è per forza configurabile come reato, conoscere criminali non è vietato dal codice penale. Farci affari neanche se le regole sono state rispettate. È l’ambiguità del potere invisibile e parallelo, di cui Carboni è stato interprete straordinario.

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