È morto a Roma Flavio Carboni, l'uomo d'affari al centro di molti dei grandi misteri italiani. Carboni, che aveva compiuto 90 anni da dieci giorni, è stato stroncato da un infarto.

Dal crac del Banco Ambrosiano all'omicidio di Roberto Calvi, ricordano le agenzie, fatti per i quali è stato assolto in via definitiva, allo scandalo di Banca Etruria e all’incontro con il padre della parlamentare renziana Maria Elena Boschi, fino alle inchieste sulla vendita di mascherine contro il Covid-19.

Carboni, ricordano, è un nome che torna nei principali gialli italiani, con alcuni dei quali però - come la Loggia P2 - aveva sempre negato di avere a che fare. Anzi, «non ho mai fatto parte della massoneria in generale. Che poi abbia conosciuto tanti personaggi di primissimo piano - come tutti a quell'epoca del resto - che potessero avere simpatie o aderire a logge è un'altra storia», aveva risposto ad AdnKronos.

La storia

Nato a Sassari il 14 gennaio 1932, Carboni negli anni Settanta era in ottimi rapporti con Armando Corona, sardo, allora Gran Maestro della massoneria italiana ricorda il giornalista di inchiesta Gianni Barbacetto.

L’improvviso successo economico di Carboni comincia negli anni '70 con una serie di società immobiliari e finanziarie. Carboni si muove anche nel mondo dell'editoria. Diventa proprietario del 35 per cento del pacchetto azionario della ''Nuova Sardegna'' ed editore di ''Tuttoquotidiano'', per il fallimento del quale era stato condannato in primo grado e assolto in appello per vizio di forma.

Nella sua lunga lista di contatti anche Silvio Berlusconi, con cui avviò un progetto immobiliare nei pressi di Olbia a cui diede il nome di “Costa Turchese”. A Roma era collegato con Domenico Balducci e Pippo Calò, rispettivamente boss della Banda della Magliana il primo, e il secondo padrino di Cosa nostra, la mafia siciliana.

Diversi anche i contatti con la loggia massonica P2: «Non ho mai conosciuto Licio Gelli – rispondeva però-, non ho mai fatto parte della P2». Anche se secondo il pentito Francesco Marino Mannoia, Carboni investiva, insieme a Gelli, i soldi dei Corleonesi di Cosa nostra. Mentre il pentito della Magliana Antonio Mancini lo definisce «anello di raccordo tra la banda della Magliana, la mafia di Pippo Calò e gli esponenti della loggia P2 di Licio Gelli».

Gli arresti

Nel 1982 arriva il primo arresto. Per il mistero di Roberto Calvi, il banchiere che dopo essere divenuto il numero uno del Banco Ambrosiano fuggì a Londra per poi morire in circostanze poco chiare impiccato sotto il ponte dei Frati neri sul Tamigi. Carboni fu accusato del suo omicidio, indagato, processato, ma infine assolto.

L’unica sentenza di condanna definitiva è comunque legata al crac del Banco Ambrosiano, per cui la Cassazione confermò 8 anni e nove mesi di detenzione insieme a quella a Umberto Ortolani e Licio Gelli.

Nel maggio 2010, Carboni è stato indagato per concorso in corruzione in un’inchiesta sugli appalti per l’energia eolica in Sardegna. Con lui il presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci, l’allora coordinatore del Pdl Denis Verdini, e il senatore berlusconiano Marcello Dell’Utri. 

Con Denis Verdini è protagonista dell’inchiesta sulla loggia P3, una nuova edizione della loggia P2 che secondo gli inquirenti puntava a «condizionare il funzionamento degli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale, nonché apparati della pubblica amministrazione dello stato e degli enti locali».

Con la P3 lavorò anche per influire sulla decisione della Corte d’appello di Milano che doveva valutare l’esclusione della lista di Roberto Formigoni alle elezioni regionali e per sostenere la candidatura di Nicola Cosentino alle regionali in Campania.

Nel 2020, ha scritto Domani, il nome di Carboni, a 88 anni, ritorna in un’inchiesta riguardante la famiglia Moccia, il clan camorrista di Afragola, in provincia di Napoli. Carboni ha incrociato i Moccia molti anni fa, diventando un loro creditore in una storia di prestiti e cementog.

Un giro di denaro che, come ha raccontato un collaboratore di giustizia, ha sfiorato il miliardo e mezzo di vecchi lire. Ed è proprio su questo rapporto tra Carboni e i Moccia che le indagini cercheranno di fare luce, anche fuori dal territorio della capitale e che potrebbero portare in Sardegna, regno di Carboni, dove secondo numerosi pentiti di camorra hanno investito anche i Moccia.

Carboni, nonostante la sua fitta trama di contatti, negava di essere un faccendiere: «Ma perché continuate a chiamarmi così? Io ero e sono un imprenditore, un immobiliarista». 

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