Avranno pure invaso i nostri mari, ma difficilmente invaderanno le nostre tavole. Non a breve, perlomeno; perché, pur comparendo tra i novel food indicati da una normativa comunitaria del 2015, e quindi pur essendo teoricamente in procinto di venire commercializzate, «le meduse non hanno ancora ricevuto il nulla osta della Commissione europea per l’immissione sul mercato dell’Unione», ci spiega Antonella Leone, ricercatrice dell’Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari del Cnr, che è tra le poche persone ad aver già assaggiato queste creature marine.

«Da crude hanno un odore molto forte e al gusto ricordano la sapidità delle ostriche; cotte, assomigliano al polpo» rivela. Leone le ha mangiate per dovere, più che per piacere, perché con il suo team ha lavorato al progetto europeo GoJelly, finalizzato a trasformare le meduse «da problema a risorsa».

I valori nutrizionali

In particolare è toccato a lei indagare le caratteristiche biochimiche, nutraceutiche e nutrizionali delle meduse mediterranee ed europee, per valutarne le qualità, la sicurezza e gli effetti sulla salute una volta che saranno in commercio.

La cosa potrebbe anche avvenire rapidamente, «poiché si tratta di un prodotto nuovo per noi europei, ma da almeno 25 anni nella dieta abituale di almeno un paese terzo», ovvero la Cina. Tuttavia, affinché alla domanda seguano una valutazione della Commissione europea e un parere favorevole dell’Efsa (Autorità europea sulla sicurezza alimentare), occorre che qualcuno presenti il necessario dossier. E al momento nessuna azienda o ente ha messo sul piatto, è il caso di dirlo, le centinaia di migliaia di euro necessarie a introdurre sul mercato un prodotto di cui non ha il controllo né il monopolio.

Il numero di meduse nei nostri mari dipende infatti da una serie di variabili imprevedibili: il cambiamento climatico, con l’aumento delle temperature dell’acqua, l’acidificazione degli oceani, la pesca intensiva che elimina gli avversari naturali delle meduse (ossia le 124 specie di pesci che se ne cibano) impattano sul loro numero, determinando alternativamente scarsità e picchi come quelli degli anni 2009-2015, quando sulle coste europee le meduse si aggregarono in enormi masse in grado di procurare gravi danni alle aziende di acquacoltura, di bloccare i sistemi di raffreddamento delle centrali elettriche vicine alla costa e di incidere sull’industria del turismo.

La pelagia marinata

Barrel jellyfishes (Rhizostoma pulmo) float in a blue-lit aquarium at the zoo in Duisburg, Germany, 02 January 2014. Photo by: Roland Weihrauch/picture-alliance/dpa/AP Images

Inoltre, tra le 4.000 specie di questi organismi gelatinosi, che vanno dalle minuscole e letali irukandji alle criniera di leone, i cui tentacoli possono arrivare a 37 metri, non tutte sono commestibili. Le due varietà mediterranee più adatte al consumo alimentare sono la Rhizostoma pulmo, detta polmone di mare, e la Cotylorhiza tuberculata, nota come cassiopea mediterranea. La prima costituisce la base per le mousse, gli insaporitori e le cialde che il Cnr ha fornito ad alcuni noti chef per le preparazioni incluse nel ricettario European Jellyfish – Prime ricette a base di meduse in stile occidentale, disponibile online.  Tra le proposte, Leone ricorda con particolare piacere la pelagia marinata in sale e zucchero, con burrata, fiori di zucchina e pomodoro realizzata dallo chef campano Gennaro Esposito, a dimostrazione che, se proviamo disgusto al solo pensiero di mangiare una medusa cruda, «è solo perché nessuno ce le ha mai servite», come ha dichiarato lo stesso Esposito.

Che si tratti di una questione culturale, lo conferma uno studio condotto nel 2020 da Leone e da Luisa Torri, docente di scienze e tecnologie alimentari presso l’università di scienze Gastronomiche di Pollenzo. Da ben 1.445 interviste in merito alla disponibilità a consumare meduse ne è emerso che essa varia in relazione all’apertura mentale del consumatore: in genere le persone giovani, che hanno viaggiato molto e hanno livelli di istruzione più elevati e maggiore sensibilità per l’ambiente sono quelle più propense ad assaggiare le meduse. Tuttavia, l’inclinazione dipende anche dalla familiarità con il mare: perciò anche i pescatori, non proprio soggetti cosmopoliti e plurilaureati, per dire, «non avrebbero alcuna difficoltà a cibarsi di meduse» sigla Leone.

E sta nel contrasto alla neofobia, alla paura delle novità, uno dei ruoli degli scienziati, in collaborazione con gli chef: devono convincerci che mangiare questo novel food è sicuro e pure gustoso. «Le meduse sono al 95 per cento fatte di acqua e quindi sono poco caloriche» argomenta Leone. «Inoltre contengono poche proteine, ma di eccellente valore: si tratta di idrolizzati proteici che hanno proprietà antiossidanti e anti infiammatorie. Il che ne giustifica l’uso in Asia come anti età e per la prevenzione dell’artrite e di malattie a base infiammatoria. E poi sono ricche di collagene, una proteina con effetti antipertensivi molto ambita dall’industria cosmetica».

Prima che il lettore corra al mare per fare incetta di questa panacea gelatinosa di molti mali, va rimarcato che le meduse non possono essere consumate così come sono: a volte possono contenere sostanze tossiche, che non vengono distrutte con la cottura, e si deteriorano molto rapidamente. Per questo motivo nella cucina orientale le meduse vengono solitamente disidratate e conservate grazie a un mix di sale e allume, che, oltre a conferire agli esemplari disidratati un retrogusto metallico, è molto nocivo: a un uomo di 70 chili è sufficiente ingoiare una mezza porzione di meduse “in salsa cinese” per superare il limite settimanale di un milligrammo di alluminio per chilo di peso corporeo raccomandato dall’Efsa. Il team del Cnr ha invece brevettato un processo di conservazione “Mediterranean Style”, a base di sali di calcio che esalta il sapore e conserva a lungo il pesce, stabilizzandolo dal punto di vista microbiologico.

Ogni cosa è alluminata 

Il ricorso a due metodi diversi di conservazione delle meduse corrisponde a intenzioni antitetiche sullo sfruttamento di questo esseri acquatici, e se i commercianti orientali vorrebbero esportare le nostre meduse per metterle sotto allume e venderle sul loro immenso mercato, Leone ne riconosce le potenzialità alimentari per il consumo in Europa e nel nostro paese, affacciato su quel mare Mediterraneo dove i pesci sono sempre meno. Introdurle nella nostra dieta quotidiana consentirebbe infatti di ottenere un triplo vantaggio: evitare uno spreco alimentare, creare nuove fonti di reddito per i pescatori italiani e limitare l’esportazione illegale delle meduse.

Tuttavia, la studiosa è convinta che serva cautela per evitare che, una volta autorizzata dall’Ue, la pesca alle meduse svuoti i mari creando buchi nella catena alimentare. A oggi non ci sono dati sulla pesca sostenibile delle meduse «perché in Europa non esiste», constata. «Però possediamo dati per quanto riguarda il contesto asiatico e dalla loro analisi risulta che anche le meduse possono risentire dell’overfishing».

Pertanto, se pensiamo a una nuova filiera alimentare, dobbiamo prima studiare attentamente tutti gli step della produzione, definire le stagioni più opportune per la pesca e stabilire la quantità ottimale da pescare per evitare squilibri. Ma, innanzitutto, se vogliamo introdurre le meduse nella nostra alimentazione, dobbiamo considerarle più una specialità locale che un prodotto di massa, più un presidio slow food che una commodity globale. E se le meduse sono prive di ossa e cervello, tocca a noi ragionare della sopravvivenza della loro specie prima di portarle in tavola.

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