A Trieste, vicino al punto più settentrionale dell’Adriatico, un terminal petrolifero accoglie ogni settimana navi cisterna da tutto il mondo. A poche decine di metri dalla riva, dove il fondale diventa subito profondo, le petroliere riversano il loro carico nei serbatoi della Siot, la società che gestisce il ramo italiano dell’Oleodotto Transalpino (Tal). È qui che inizia il percorso di una delle infrastrutture energetiche più strategiche d’Europa. Dal porto, il petrolio risale la pianura friulana, attraversa le Alpi e raggiunge Austria, Baviera e Repubblica Ceca. Il Tal è il principale canale di approvvigionamento per questi Paesi e rappresenta, per il porto di Trieste, la sua base economica: circa due terzi delle merci in arrivo sono costituite da greggio.

Il consorzio Tal riunisce alcune tra le maggiori compagnie petrolifere mondiali ed è articolato in tre società nazionali, in Austria, Germania e in Italia, che operano come un unico sistema logistico. Nel 2024, il Tal ha trasportato oltre 42 milioni di tonnellate di greggio, il dato più alto dalla sua inaugurazione nel 1967: un record legato anche alla riconfigurazione dei flussi energetici europei dopo l’invasione russa dell’Ucraina. In un continente che punta alla neutralità climatica entro il 2050, il Tal opera a pieno regime. Un progetto avviato da Siot ha riacceso il dibattito su come un’infrastruttura petrolifera possa essere definita “efficiente” nel contesto della transizione energetica.

L'oleodotto attraversa le montagne e va in direzione dell'Austria foto Gianluca Liva

Il paradosso del risparmio energetico

Negli ultimi anni, infatti, SIOT ha installato una serie di impianti di cogenerazione lungo il tratto italiano dell’oleodotto, con l’obiettivo di migliorare l’efficienza energetica del sistema di pompaggio. L’idea risale al 2018 e il progetto ha poi seguito un percorso pluriennale: iter autorizzativo nel 2021, installazione e collaudo tra il 2024 e il 2025. I cogeneratori producono energia elettrica e calore. L’elettricità è usata per alimentare le pompe, mentre il calore viene trasferito al petrolio. Secondo Siot, il processo innalza la temperatura del greggio, riduce la viscosità e consente un flusso più rapido. Ciò permetterebbe un risparmio energetico significativo e quantificabile. Gli impianti oggi sono alimentati da gas fornito da Edison. Siot sta valutando l’uso futuro di biometano prodotto in Italia.

In base ai calcoli della società, gli impianti consentono un risparmio di circa 4.500 tonnellate equivalenti di petrolio (Tep) l’anno. Su questa base, nel 2025 Siot ha presentato al Gestore dei Servizi Energetici (Gse) la richiesta di riconoscimento della Cogenerazione ad Alto Rendimento (Car), condizione che consente l’accesso ai Titoli di Efficienza Energetica (Tee), i cosiddetti “certificati bianchi”. Il meccanismo, introdotto in Italia nel 2005 e derivato dalla direttiva europea 2004/8/CE, valorizza (e ripaga) i risparmi energetici: per ogni tonnellata equivalente di petrolio risparmiata, un operatore ottiene un titolo negoziabile sul mercato.

Nel caso di SIOT, il progetto potrebbe generare ogni anno circa 4.500 certificati, quotati 250 euro l’uno, per un valore di oltre 1,1 milioni di euro. È un investimento sicuro. il prezzo dei certificati, infatti, rimane stabile, sorretto dagli obblighi di legge e da un sistema che ne limita le oscillazioni. «Con questi titoli è come essere in possesso di azioni di un mercato poco volatile. Sono soldi su cui possono contare in ogni caso, anche se ci fossero gravi turbative dei mercati», ha commentato Nino Di Franco, Professore di Energetica Elettrica alla facoltà di Ingegneria dell'Università di Pavia.

Il progetto ha suscitato perplessità da parte di amministrazioni, gruppi ambientalisti e soggetti tecnici. Tra queste spicca l’Agenzia per l’Energia del Friuli Venezia Giulia (APE FVG), un’organizzazione non profit impegnata nella promozione di un uso efficiente dell’energia, alla quale nel 2022 un comune interessato da uno dagli impianti di pompaggio (Paluzza, in provincia di Udine), aveva chiesto un parere tecnico. L’agenzia ha sollevato dubbi sulla reale entità dei benefici energetici dichiarati. Secondo APE, il riscaldamento del greggio si disperderebbe nel terreno dopo poca distanza, rendendo l’efficienza inferiore a quella stimata. Inoltre, l’uso di gas ridurrebbe il vantaggio ambientale: in precedenza le pompe erano alimentate con elettricità di rete, composta per oltre il 40 per cento da rinnovabili. Siot ha respinto con forza queste critiche, sostenendo che il progetto rispetta i parametri del Gse e che le differenze nei calcoli sull’efficienza derivano da assunzioni sbagliate.

La guerra dei numeri

Nel tempo, APE e Siot si sono confrontate a colpi di percentuali, ciascuna rivendicando la validità dei propri calcoli. A dividere le due posizioni contribuisce l’impossibilità di accedere ai dati completi di funzionamento. Un’istanza di accesso agli atti presentata al Gse per ottenere la documentazione tecnica è stata respinta: Siot si è opposta per motivi di riservatezza industriale. Il progetto è stato anche oggetto, negli anni passati, di una contestazione promossa da piccoli comitati locali. «È un controsenso», sostengono, «che un oleodotto possa accedere a incentivi pubblici per l’efficienza energetica». Al contempo, gli operatori ritengono l’infrastruttura ancora indispensabile, complice anche l’attuale contesto di instabilità energetica. È un argomento che riflette la contingenza del momento, ma che non nasconde realtà e interessi strutturali: in Germania, Austria e Italia manca tuttora un piano di phase-out per il sistema Tal, che non ha una prospettiva definita di dismissione.

Il Tal rimane oggi un’infrastruttura pienamente operativa, capace di adattarsi e di trovare spazio dentro regole e incentivi concepiti per ridurre l’uso di ciò che esso stesso trasporta. Nonostante le trasformazioni in corso, il petrolio continua a scorrere con discrezione e continuità, mentre la transizione energetica avanza in modo incerto e a velocità diverse lungo il continente.

Questa inchiesta è stata realizzata con il sostegno di Climate Arena - Arena for Journalism in Europe e Journalismfund Europe.

© Riproduzione riservata