Sciolte le cime dalla banchina del porto di Badalona, Astral è partita, nel primo pomeriggio del 23 agosto. A bordo siamo in undici. Con me, che lavoro con Open Arms occupandomi di advocacy, ci sono il comandante e il capo missione, una soccorritrice e due soccorritori, un marinaio, un medico, un cuoco, un giornalista e un fotografo.

Savvas è il capitano, un greco che vive tutto l’anno dentro Astral. Ha lo sguardo di chi deve aver conosciuto profondamente la vita e delle abilità pratiche che mi lasciano continuamente basita: fa tutto e sa fare tutto. Inutile dire che con lui al comando non si ha paura.

Gli altri sono spagnoli, italiani (uno) e argentini. Conosco più o meno tutti direttamente eccetto uno di cui però riconosco il nome: Juan Medina. Nel 2018 ha immortalato gli occhi di Josepha offrendoli al mondo intero.

Il cuoco, Cristiano, ha già fatto altre missioni e mentre porta in tavola una teglia di pasta ci racconta quale sarà il menù. A me non sorprende il fatto che lo faccia perché ho in mente le parole di Lorenzo Leonetti, chef romano imbarcatosi più volte con la Open Arms, che ha sempre valorizzato l’importanza del cibo a bordo, e di come questo intervenga per placare e migliorare gli umori.

Il meteo quando partiamo è temibile: il cielo molto nuvoloso e il mare agitato. Per alcuni è solo un po’ ventilato e la distanza tra le due posizioni si percepisce subito: c’è chi si precipita a prendere una biodramina (pastiglia contro il mal di mare) e chi, invece, si mette comodo per quello che sarà un lungo viaggio.

I compiti

Ognuno sulla barca ha dei compiti precisi. Il comandante ci riunisce poco dopo la partenza in uno spazio comune coperto, ma senza pareti, dove si svolgerà la quasi totalità delle nostre giornate. Qui c’è il timone accanto al quale sono posizionati due sedili lunghi e comodi e un discreto segnale Wi-Fi. Vengono indicate delle semplici regole che, se trasgredite, possono recare danni irreparabili. Un esempio sono le scarpe chiuse e il corpetto salvagente da indossare sempre sul bordo della nave, ricordandoci che non siamo vacanzieri in barca a vela. Ci sono stati dati poi dei turni di guardia coordinati dai membri dell’equipaggio più esperti. A me toccherà sempre l’orario 6-9 della mattina e della sera. Durante la fascia indicata, oltre a vigilare su quanto accade in nave, dobbiamo prestare attenzione ai messaggi che arrivano da tutte le fonti, guardare il mare con i binocoli, e ascoltare, per quanto possibile, le comunicazioni via VHF, principalmente in italiano, inglese e francese.

Sono questi, infatti, che ci daranno il quadro della situazione e che ci racconteranno quanto sta accadendo in quell’area del Mediterraneo. Così facendo, negli anni, Open Arms ha segnalato numerosi casi di ritardi nell’intervento e di respingimenti, come quello del 2018, denunciando alla Procura di Napoli la Asso 28 che aveva riportato in Libia 101 persone. Ed è proprio questo il senso delle missioni di Astral: conoscere, raccontare e coinvolgere il più possibile le autorità competenti di paesi sicuri al fine di intervenire sempre di più per trarre in salvo chi ancora tenta di raggiungere un paese in cui sentirsi protetto: nel 2021 oltre 37 mila persone.

Un’esperienza condivisa

A bordo lo spazio è piccolo. La barca misura una trentina di metri, i letti sono dodici disposti in sei camere con bagno. A conti fatti vivremo per due settimane in un appartamento di pochi metri quadri. Poco dopo la partenza, già si intravvedono alcuni tratti del carattere di ognuno, lo noto da come ci presentiamo e ci prepariamo a vivere un’esperienza così intensa insieme. C’è chi non smette di parlare e di raccontare aneddoti autobiografici; e c’è chi dice la prima parola solo dopo molto tempo. Il tema del primo giorno sono le missioni fatte, le emozioni provate, i pericoli corsi e le persone incontrate. Il medico, Iñas, per esempio, parla della missione 65 in cui la nave Open Arms è stata bloccata di fronte a Lampedusa per 20 giorni in attesa di ricevere l’indicazione di un POS, un luogo in cui sbarcare. La descrive come un incubo per la difficoltà di gestire lo stress a bordo, e si augura che questa sia diversa.

Tutto serve per stemperare la tensione e per creare da subito un sentimento comune nonostante sia evidente che ognuno di noi, indipendentemente dal ruolo che svolge, una volta accettato di imbarcarsi, ha deciso da che parte stare. E questo è davvero il valore su cui prenderà forma la nostra convivenza.

Via via che le ore passano cala il silenzio, gli sguardi travolti dal tramonto si fanno quasi malinconici e ognuno si chiude nei propri pensieri.

La prima guardia della mattina di martedì è avvenuta poco prima dell’alba, e insieme ai miei compagni di turno abbiamo bevuto una bevanda fumante come fossimo in una pubblicità di una nota marca di caffè. Possiamo la giornata attenti al meteo e a quanto accade intanto a Lampedusa dove sono arrivate in poche ore diverse centinaia di persone, e così faremo anche nei giorni seguenti.

Intanto l’adrenalina sale, e chi sarà direttamente sul campo prepara l’attrezzatura: le tute e i caschi, i corpetti e le scarpe, le macchine fotografiche, i binocoli, le radiotrasmittenti, i salvagenti e molto altro. Seduti nella sala comune ascoltiamo i Queen, le ginocchia si muovono a ritmo, e si entra sempre più nel vivo della missione.

La mattina di sabato, intorno alle 8 e mezza, il nostro comandante scorge in lontananza due imbarcazioni molto piccole. Si avvicina, capisce che si tratta di barche in difficoltà e avverte la Guardia Costiera di Lampedusa dando le coordinate. Dicono che interverranno a soccorrerle e noi, in loro attesa, monitoriamo che non avvengano incidenti. Di lì a breve arrivano e tutto si conclude per il meglio. E così avverrà altre 5 volte ancora nel corso della giornata con un risultato incredibile: 121 persone sono in salvo, ognuna con la propria storia alle spalle che chissà come proseguirà. A bordo di Astral si respira un’aria di sollievo e di leggera euforia che darà nuova forza alla nostra missione.

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