Raggiungere la punta più estrema della penisola di Sjaellands Odde è un viaggio nel viaggio. Da Copenaghen, in poco più di un’ora d’auto, il panorama tutt’intorno inizia a cambiare: quando ci si inoltra lungo la sottile striscia di terra che per quindici chilometri si protende nel mare di Kattegat, che separa l’isola di Selandia dallo Jutland, la sensazione è quella di abbandonare progressivamente un paesaggio addomesticato dall’uomo, per riscoprire la potenza di una natura che prende il sopravvento.

Il vento spazza l’erba che cresce rigogliosa sino a lambire la costa, l’inconfondibile aria salmastra invita a concedersi il tempo per fare un respiro profondo; intanto qualche pecora occhieggia tra la macchia, rivelando una vocazione agricola insospettabile, per un territorio tanto estremo.

Anche visivamente, guardando la carta della Danimarca, Sjaellands Odde ribadisce la peculiarità della sua posizione. Eppure, sulla strada che conduce all’imbarco per raggiungere la moderna città di Aarhus, si incontrano, oltre al piccolo villaggio di Havnebyen, diverse fattorie circondate da piccoli appezzamenti di terra.

Tìr. Il panificio agricolo di Louise Bannon

La nostra destinazione è Tìr, il panificio agricolo di Louise Bannon. Dopo aver gravitato nelle cucine del Fat Duck di Heston Blumenthal e del Noma di René Redzepi, in qualità di pastry sous chef, la cuoca di origini irlandesi ha scoperto la sua passione per il pane, consolidata durante un apprendistato a San Francisco, tra la “scuola” di Tartine e altri panifici californiani. Rientrata nella squadra di Redzepi, Bannon è approdata al Noma Australia, per fare il pane.

Ma terminata l’esperienza – dopo una parentesi nel sud della Francia, al lavoro presso l’azienda agricola The Real Food Fight – è andata in cerca del luogo giusto per iniziare a scrivere la sua storia nel mondo della panificazione.

All’energia dei luoghi si accennava nella puntata precedente: fondamentale quanto l’apertura agli incontri e allo scambio di esperienze e conoscenze, di cui abbiamo lungamente parlato. Louise ha trovato il suo posto in un lembo di campagna danese circondato dall’acqua, fuori dalle rotte di passaggio. Le giornate, nella sua fattoria, sono accompagnate dal rumore del vento e del mare.

Si produce pane a lievitazione naturale da varietà di grano e segale locali, molite sul posto. Dopo un estemporaneo pop up store aperto a Copenaghen, nell’estate del 2022, per vedere Louise al lavoro e assaggiare il suo pane (ma anche gli irresistibili dolci e croissant) bisogna spingersi fino alla fattoria di Gnibenvej, dove fervono i lavori per realizzare una struttura più solida e articolata, che possa finalmente dirsi casa e accogliere gli ospiti in uno spazio di vendita con caffetteria e tavoli per mangiare sul posto. In alternativa, si seguono (online) le tracce della panetteria mobile approntata a bordo di un van per raggiungere le località limitrofe nel weekend.

Le Marche di Coste del Sole

Di storie come quella di Louise Bannon, avviate a partire dalla sintonia con un luogo, ne esistono diverse anche in Italia. Nella campagna marchigiana, a Staffolo, l’esperienza dell’azienda agricola Coste del Sole segue un canovaccio affine.

Lucia Garbini e Fosco Maria Rossi sono due fratelli che hanno ereditato la passione per la terra dalla famiglia e oggi coltivano grani tradizionali in popolazione evolutiva, in agricoltura biologica rigenerativa, con l’ausilio di Paolo Mucci, figlio di Oriana Porfiri, agronoma marchigiana illuminata che ha dedicato la sua vita allo studio dei cereali.

Si producono farine macinate a pietra, ma in fattoria Lucia ha iniziato anche a panificare, nel forno che affaccia su campi a perdita d’occhio. Il pane si acquista in loco, o aggiornandosi sugli spostamenti di Coste del Sole tra mercati contadini.

Negli ultimi anni, anche Lucia e Fosco hanno contribuito alla crescita di un distretto del cibo agricolo marchigiano fondato sull’entusiasmo di giovani produttori. Quando l’energia dei luoghi è sostenuta dall’energia delle persone.

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