Mentre le tecnologie contraccettive a disposizione delle donne sono più di dieci, i metodi attualmente a disposizione degli uomini sono soltanto due: il preservativo e la vasectomia. Diversamente da quanto si possa pensare, questa asimmetria nell’accesso alla contraccezione non può essere del tutto giustificata sulla base delle differenze nella biologia riproduttiva maschile e femminile.

Se intervenire tecnologicamente sulla salute riproduttiva delle donne è considerato perfettamente normale, lo stesso tipo di intervento sul corpo maschile continua a sembrare irrealizzabile. Nonostante siano in fase di sperimentazione da quasi cinquant’anni, le pillole anticoncezionali maschili non si rivelano mai all’altezza delle aspettative.

La storia del “pillolo”

Lo scorso 14 febbraio, un articolo sulla rivista scientifica Nature Communications ha annunciato la scoperta di un nuovo farmaco in grado di inibire la motilità degli spermatozoi nei topi. Diversamente dalle pillole anticoncezionali femminili, questo farmaco non richiede una somministrazione quotidiana per essere efficace. Se il suo utilizzo fosse approvato negli esseri umani, potrebbe essere assunto dall’uomo soltanto un’ora prima di un rapporto sessuale e avrebbe un effetto contraccettivo della durata di alcune ore. Meno di un anno fa, nella primavera del 2022, un’altra molecola, battezzata YCT529, aveva attratto l’attenzione dei media. Si tratta di un farmaco contraccettivo non ormonale che, nei topi, provoca l’inibizione della produzione degli spermatozoi senza alcun apparente effetto collaterale.

La storia della pillola contraccettiva maschile negli ultimi anni può essere raccontata come una successione di scoperte all’apparenza rivoluzionarie, nessuna delle quali, però, finisce mai per trasformarsi in un prodotto effettivamente disponibile sul mercato. Nonostante l’entusiasmo mediatico, la maggior parte di questi farmaci non approda mai nemmeno alla sperimentazione umana.

Ormai da anni, ciclicamente, il pubblico è inondato da annunci sensazionalistici che profetizzano l’imminente liberazione delle donne dal fardello della contraccezione ormonale e che sanciscono il tanto atteso inizio dell’èra del “pillolo”. Una parola, “pillolo”, che, attraverso la sarcastica sessualizzazione di un oggetto inanimato, sembra evidenziare già di per sé come la contraccezione sia culturalmente intesa come un trattamento femminilizzante, incompatibile con la mascolinità.

Che si scelga di chiamarli “pillole” o “pilloli”, molti di questi nuovi farmaci contraccettivi sono accomunati dal fatto che il loro funzionamento è spesso molto diverso da quello della pillola contraccettiva con cui le donne sono già familiari. La possibilità di utilizzare gli ormoni come contraccettivi negli uomini è nota già dagli anni Settanta, quando furono condotte le prime sperimentazioni cliniche per produrre una pillola anticoncezionale maschile. Da allora, diversi studi hanno dimostrato che la somministrazione di testosterone, per via orale o tramite iniezione, da solo o in combinazione con un progestinico, può inibire quasi completamente la produzione di spermatozoi, innescando un meccanismo contraccettivo paragonabile a quello della pillola femminile. Abbattendo la concentrazione di testosterone nel sangue, questi contraccettivi ormonali sospendono la fertilità maschile in modo efficace e reversibile.

Del resto, anche gli effetti collaterali più comuni associati all’utilizzo di questi farmaci sono gli stessi dei loro analoghi femminili: alterazioni dell’umore, acne, aumento di peso e diminuzione della libido, per citarne alcuni. Il problema della contraccezione ormonale è che i nostri ormoni sessuali sono coinvolti in meccanismi psicologici e fisiologici complessi, che si estendono ben oltre il semplice controllo della fertilità. Il fatto che gli stessi effetti collaterali siano considerati tollerabili nelle donne e inaccettabili negli uomini ha molto da insegnarci sulla profonda e radicata disparità nel trattamento delle donne in medicina, che fa sì che i bisogni e i disagi delle pazienti siano sistematicamente presi meno sul serio.

Il gender gap della contraccezione

Il gap tra la contraccezione maschile e quella femminile è anche legato ai processi scientifici e legislativi che hanno portato all’approvazione della prima pillola anticoncezionale più di sessant’anni fa. La pillola è nata nel 1960 dopo un percorso di approvazione discutibile sia dal punto di vista etico, sia sotto il profilo scientifico.

La sperimentazione, frettolosa e insufficiente, fu svolta alla fine degli anni Cinquanta tra la popolazione più povera di Porto Rico, su donne che non erano state pienamente informate della natura sperimentale del farmaco e delle sue possibili conseguenze. Nella sua prima formulazione, le concentrazioni di ormoni contenute nella pillola erano di gran lunga superiori a quelle delle pillole odierne. Molte delle donne coinvolte abbandonarno la sperimentazione lamentando effetti collaterali intollerabili, ma questo fatto non impedì né rallentò il processo di approvazione.

Dal 1960 ad oggi, gli standard etici per l’approvazione di nuovi farmaci sono diventati molto più restrittivi. Dato che i contraccettivi sono medicinali che non curano una malattia, ma che vengono utilizzati da persone perfettamente in salute, non è facile trovare un bilanciamento tra i rischi e i benefici della loro sperimentazione, soprattutto nel caso degli uomini, che non sono esposti al rischio di gravidanze indesiderate.

Per questo, dal momento della sua commercializzazione – nonostante i problemi emersi tanto dalla letteratura scientifica quanto dalle testimonianze delle consumatrici – il principio di funzionamento della pillola è rimasto essenzialmente inalterato. Piuttosto che investire nella ricerca, difficile e costosa, di nuovi metodi contraccettivi per le donne e per gli uomini, l’industria farmaceutica ha preferito non correre rischi.

Mentre gli effetti collaterali della pillola contraccettiva femminile rimangono irrisolti, la ricerca sulle pillole contraccettive maschili sembra essersi ormai gradualmente allontanata dall’utilizzo continuativo degli ormoni, prediligendo la sperimentazione di soluzioni farmacologiche di gran lunga meno invasive.

Il fatto che la contraccezione ormonale non sia più ritenuta un’opzione desiderabile per la pillola maschile è una testimonianza del fatto che molti degli effetti collaterali che le donne sono state abituate a subire in cambio della propria autodeterminazione riproduttiva non dovrebbero più essere considerati normali o accettabili.

Contraccezione maschile: una sfida culturale

Purtroppo, non sarà la scoperta di una nuova molecola miracolosa a cambiare le sorti del “pillolo”. Come dimostrano i numerosi farmaci sperimentali emersi in questi ultimi anni, le difficoltà nella commercializzazione di contraccettivi maschili efficaci e sicuri non sono dovute tanto a una mancanza di soluzioni tecnologiche: dalle pillole ormonali alle biotecnologie più avanzate, ci sono moltissime strade che l’industria farmaceutica avrebbe potuto e potrebbe ancora percorrere.

Evidentemente, gli ostacoli lungo la strada delle nuove tecnologie contraccettive maschili non hanno soltanto a che fare con la scienza, ma anche con le diverse aspettative culturali a cui sono sottoposti i corpi maschili e femminili.

Uno degli ostacoli principali alla diffusione di una pillola maschile è la paura che gli uomini possano essere “demascolinizzati” come conseguenza del suo utilizzo. A partire dalla nascita della pillola, infatti, la contraccezione si è configurata come una responsabilità esclusiva delle donne.

Se intervenire sugli equilibri ormonali delle donne è considerato perfettamente accettabile, anche al prezzo di numerosi effetti avversi, modificare i livelli di testosterone negli uomini o intervenire direttamente sulla loro fertilità è ancora percepito come un affronto alla virilità.

Al di là degli aspetti strettamente farmacologici, la storia controversa della pillola contraccettiva maschile testimonia che le differenze tra i ruoli di genere non sono semplicemente determinate dalla biologia; al contrario, le narrazioni culturali possono influenzare profondamente la gestione politica e tecnologica della riproduzione.

Se le tecnologie sono lo specchio della cultura in cui sono immerse, una divisione più equa della responsabilità della contraccezione sarà possibile soltanto a patto di mettere in discussione le aspettative culturali a cui sono soggetti i nostri corpi.

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