L’esercito russo ha un disperato bisogno di soldati se vuole proseguire la guerra. Dall’inizio dei combattimenti, i ranghi delle sue forze di prima linea si sono dimezzati. I rinforzi sono finiti. L’offensiva in Donbass di questi giorni potrebbe essere l’ultima di un’armata ormai fiaccata.

Secondo i falchi del Cremlino l’unica soluzione è quella a cui Putin ha resistito fino ad ora: abbandonare la finzione dell’operazione militare speciale, proclamare l’inizio di una guerra vera e propria e mobilitare la società russa. Il che significa reclutare centinaia di migliaia di ragazzi per i campi di battaglia dell’Ucraina.

I numeri 

A febbraio, l’esercito russo era entrato nel paese con circa 100mila soldati. In due mesi di combattimenti ne sono rimasti uccisi tra i 10 e i 20mila. Complessivamente, fino a 50mila soldati potrebbero essere stati uccisi, feriti o catturati.

Gli ucraini non diffondono dati né sui loro effettivi né sulle loro perdite, e non lo fanno nemmeno i loro alleati. I soldati di prima linea ucraini potrebbero essere 200mila, contando volontari e milizie. Le loro perdite si suppone che siano più basse, anche se probabilmente comparabili. Ma mentre l’esercito ucraino è in costante crescita per via della coscrizione di tutti i maschi tra i 18 e i 60 anni, quello russo fatica a rimpiazzare le perdite.
L’insistenza di Putin a non chiamare “guerra” la sua “operazione militare speciale” ha la concreta conseguenza di non aver prodotto alcuna speciale chiamata alle armi. L’esercito con cui la Russia ha invaso l’Ucraina è quello del tempo di pace: gigantesco sulla carta, minuscolo sul campo. Secondo il Pentagono, i centomila soldati impegnati in azione oltre il confine costituivano fino al novanta per cento di tutte le truppe di prima linea che l’esercito russo aveva a disposizione due mesi fa.

Btg

Per combattere una guerra senza dichiarare guerra, l’esercito russo utilizza i Btg, i gruppi tattici di battaglione. Da una “unità madre”, un reggimento o una brigata, che in tempo di pace ha solo una frazione del suo organico, si ricava un’unità tatticamente autonoma di 7-800 soldati, con mezzi corazzati e supporto.

In teoria i Btg hanno un organico completo anche in tempo di pace e sono composti solo da volontari, i cosiddetti soldati “a contratto”. In base alla legge russa, i soldati di leva non possono essere inviati al fronte se non in particolari circostanze, come una guerra.

La realtà però è molto lontana dalla teoria e in Ucraina i Btg russi si sono rivelati sotto organico e composti da numerosi militari di leva, costretti con l’inganno o le minacce ad accettare un incarico a contratto o semplicemente inviati al fronte senza tanti complimenti.

Gli ucraini si sono accorti di questi problemi già nei primi giorni di conflitto, quando hanno iniziato a catturare carri armati con due membri di equipaggio invece di tre o quando si sono imbattuti in mezzi blindati per fanteria con a bordo un paio soldati al posto della decina che sono in grado di trasportare. 

Mentre le forze ucraine crescono ogni giorno, la situazione russa è peggio di due mesi fa. Secondo il Pentagono, in Ucraina sono entrati circa 130 Btg. Oggi ce ne sarebbero 92, di cui una dozzina arrivati nelle ultime settimane. Altri venti sono in fase di riorganizzazione in Russia. 

Falchi

Nel ridotto circolo degli ultranazionalisti russi a cui sono ancora permesse critiche oblique al regime, si parla con preoccupazione di questa situazione. Nei suoi periodici dispacci via Telegram, l’ex agente dei servizi di sicurezza Igor Girkin scrive preoccupato della resistenza ucraina in Donbass. «Cedendo terreno in cambio di tempo potranno finire di creare la loro nuova forza di riserva entro l’estate ed impiegarla poi in massa in una qualsiasi area del fronte». Mentre la Russia rimane con le mani legate, scrive, la Nato sta armando un nuovo esercito che caccerà i russi da tutta la regione. 

Girkin ha ragioni personali per essere critico con Putin e i suoi generali. Durante la guerra in Donbass è stato per breve tempo uno dei più importanti leader dei separatisti prima di essere scaricato dal Cremlino. Oggi è una scheggia impazzita che parla per sé. Ma le sue parole, come la crescente isteria nucleare degli anchormen e della anchorwomen di regime, indicano che il clima a Mosca sta cambiando e che il partito dei falchi è sempre più forte.

Nicolai Patrushev è il personaggio più centrale nei misteriosi equilibri del Cremlino tra quelli che si sono esposti apertamente per l’escalation. Presidente del Consiglio di sicurezza della Federazione russa, collaboratore di Putin da tre decenni, viene definito dai cremlinologi «falco tra i falchi».

Questa settimana, in una rara intervista, Patrushev ha detto che con il coinvolgimento sempre più esplicito della Nato è arrivato il momento per la Russia di mobilitare l’intera società. Patrushev se la prende con quelli che definisce «meccanismi di mercato» e chiede un controllo più stretto dello stato su un’economia che deve essere convertita allo sforzo bellico. Implicita nel suo ragionamento c’è anche la mobilitazione militare della popolazione.

Fino ad oggi, Putin ha resistito alle richieste dei falchi. L’economia è ancora gestita dai tecnici ortodossi della banca centrale e di mobilitazione, per ora, non c’è traccia. Ad aprile, Putin ha rifiutato di firmare un ordine per prorogare la ferma dei militari di leva e si è scusato per l’utilizzo dei coscritti al fronte.

A questo ritmo, però, i mercenari della società Wagner e i combattenti reclutati in Nord Africa e Medio Oriente non saranno sufficienti a rimpiazzare le perdite. Se il Cremlino vorrà continuare la guerra tra poco potrebbe trovarsi senza più scelte. Sarà un calice amaro per Putin. Dovrà ammettere che quella in corso è una vera guerra e affrontare il contraccolpo nell’opinione pubblica per il reclutamento di decine di migliaia di giovani russi. Secondo alcuni, la parata per la vittoria nella Seconda guerra mondiale del 9 maggio potrebbe essere un’ottima occasione per farlo.

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