Non è mai stato indagato, ma il commissario Bagalà compare nelle carte sul gruppo dei Piromalli che da anni dettano legge tra le banchine del porto di Gioia Tauro
Nel 2017, sebbene non indagato, era comparso nelle carte giudiziarie di Metaurus, l’operazione dell’antimafia di Reggio Calabria che aveva fatto emergere il potere della cosca di ‘ndrangheta Piromalli nella costruzione e gestione del termovalorizzatore di Gioia Tauro.
Oggi il nome di Domenico Bagalà, classe 1967, torna nuovamente in auge. E lo fa nel provvedimento sottoscritto dal ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini, che ad agosto l’ha nominato commissario straordinario dell’autorità portuale del sistema portuale del Mare di Sardegna. La nomina non ha suscitato alcuna polemica.
Eppure Bagalà, calabrese di nascita e sardo d’adozione, si troverà a coordinare i porti della propria area, nonostante quanto emerso negli atti sul gruppo criminale che per anni ha mantenuto il controllo sul porto di Gioia Tauro. Quello dei Piromalli, appunto, che solo un paio di settimane fa ha subito ventisei arresti nell’ambito dell’inchiesta ResTauro: il procedimento della Direzione distrettuale antimafia reggina conta tra gli indagati anche il capoclan – Pino Piromalli, 80 anni, più conosciuto come “Facciazza” – che aveva finito di scontare 22 anni di detenzione nel 2021.
Inchiesta ResTauro
Proprio negli atti di ResTauro il neo commissario dell’autorità portuale sarda, già a guida della società di transhipment Contship nel Porto Canale di Cagliari e del Medcenter (Mct) di Gioia Tauro, viene tirato in ballo. Anche stavolta non risulta indagato. Di Bagalà, più in particolare, parlano in una conversazione gli stessi Piromalli, identificandolo come «l’ingegnere emigrato a Cagliari».
Sua madre, la «professoressa Silvana», risulterebbe al centro dell’operazione di intestazione fittizia dei terreni dei Piromalli menzionata dai pm. In pratica le carte raccontano che i Piromalli a un certo punto reclamano «diritti di proprietà» su terreni «nella formale titolarità degli eredi Bagalà». Ecco quanto si legge: «Appare piuttosto evidente che Giuseppe Piromalli aveva in animo di recuperare quelle porzioni di terreno intestandole ai propri figli o a terzi compiacenti e fidati. Così si adoperava per instaurare un dialogo con gli eredi del defunto Bagalà, tra i quali distingueva tale Silvana Bagalà, chiamata in ragione della sua professione “professoressa” e tale D.C., il quale avrebbe rassicurato il boss circa la totale disponibilità della propria famiglia di formalizzare il passaggio di consegne degli immobili».
Ma torniamo alle carte di Metauros. Dove Bagalà viene più volte menzionato. «Grazie al ruolo di vertice rivestito da Domenico Bagalà, la ditta (…) era riuscita ad assicurarsi una commessa all’interno del porto ancorché non fosse qualificata», si legge nelle carte. E ancora: un indagato «tentò di “traghettare” l’azienda familiare nell’accaparramento di lavoro al porto, entrando in rapporti commerciali con l’azienda Mct, sempre “utilizzando” il nome dei Piromalli».
I magistrati concludono: «Giova rappresentare che i rapporti commerciali tra la ditta e l’azienda Mct andarono avanti chiaramente solo per lo sponsor dei Piromalli, atteso che in svariate circostanze i dirigenti della Mct si lamentassero della cattiva qualità del servizio reso dalla ditta» avvantaggiata. Tutte informazioni che dunque gettano un’ombra sulla recente nomina del commissario che ha declinato l’invito di Domani a rispondere a qualche domanda. Salvini ne era al corrente?
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