Ai massimi storici il titolo Poste che ha superato i 17 euro, per l’esattezza 17,09 euro. E per la società guidata da Matteo Del Fante record anche di capitalizzazione: 22,32 miliardi di euro.

Dopo aver recuperato, già la scorsa settimana, l’impatto derivante dal crollo delle Borse dovuto ai dazi imposti e poi congelati dal presidente Usa Donald Trump, Poste continua la sua corsa. Ed è sul “dossier Tim” che sono puntati i riflettori, anzi per l’esattezza sul “dossier Iliad”.

Poste è diventata il primo azionista dell’azienda di telecomunicazioni, con una quota del 24,81% (appena al di sotto del 25% che avrebbe fatto scattare l’Opa) e punta a «promuovere il consolidamento», ha annunciato la stessa società in occasione dell’operazione.

Ad oggi sono quattro gli operatori mobili infrastrutturati (ossia dotati di rete propria) in Italia: Tim, WindTre, Iliad e Fastweb-Vodafone. Erano cinque – un unicum a livello mondiale – prima dell’integrazione fra Fastweb e Vodafone che però non basta a garantire un riequilibrio del mercato.

Il settore è in forte crisi e per tentare di risalire la china gli operatori mobili dovranno scendere a tre. Dopo aver fallito l’acquisizione di Vodafone, i francesi di Iliad puntano su Tim. Ci sarebbe anche l’opzione Wind Tre ma è da considerarsi fuori discussione e peraltro l’azionista CK Hutchison punterebbe a quotare in Borsa la società entro fine anno.

La scommessa di Iliad non è tanto sulla componente “consumer” ma su quella “business” – dal cloud alla cybersecurity, dai data center all’Internet of things –  che sta registrando la maggiore crescita e che rappresentano l’unica vera fonte di ricavi per gli operatori di telecomunicazioni.

La guerra dei prezzi, con tariffe di telefonia e dati “illimitati” fra le più basse al mondo, non consente di fare profitti. Sono dunque i cosiddetti servizi a valore a rappresentare la gallina dalle uova d’oro. Ma Iliad ce la farà davvero entrare in Tim? E in che modo? Secondo quanto risulta a Domani al momento non ci sarebbero né trattative né colloqui in corso. L'opzione preferenziale per Iliad, nonché l’unica plausibile, è quella di un ingresso nell'azionariato di Tim, quindi al fianco di Poste, perché l’obiettivo è quello delle sinergie industriali.

Improbabili le altre ipotesi che stanno circolando: quella di un’integrazione esclusivamente fra Iliad e Tim Consumer e quella di un conferimento di Iliad Italia in Tim in cambio di una partecipazione in Tim Brasil da parte del Gruppo francese fondato da Xavier Niel.

Iliad ha già più volte dichiarato di voler contribuire al consolidamento in Italia ma non a tutti i costi. Va dà sé dunque che se non si troverà una quadra il settore delle Tlc rischia uno stallo senza uscita e il “cerino” resterebbe nelle mani del Governo.

Il ruolo di Poste dunque sarà determinante nella partita del consolidamento. Da capire inoltre cosa deciderà il nuovo primo azionista in merito ai vertici della società e al numero di consiglieri (da due e fino a quattro).

Altamente probabile l’uscita di scena di Alberta Figari, attuale presidente di Tim mentre sull’ad Pietro Labriola le voci sono discordanti. Tim ha posticipato al 24 giugno (doveva tenersi il 10 aprile) l’Assemblea degli azionisti a seguito proprio della nuova configurazione: appuntamento in cui si discuterà inevitabilmente anche del riassetto della governance.

Intanto Labriola ha incassato oggi la designazione alla presidenza di Asstel (designazione che dovrà poi ottenere il disco verde dall’Assemblea dell’associazione Tlc di Confindustria), per il prossimo biennio.

Labriola erediterà il timone da Massimo Sarmi che oltre a essere il presidente di FiberCop (l’azienda in cui è confluita la rete fissa di Tim a seguito della cessione al fondo americano Kkr e al Ministero dell’Economia) al momento fa funzione anche di amministratore delegato.

L’Ad Luigi Ferraris ha lasciato FiberCop ad appena sei mesi dall’insediamento e il nuovo numero uno non è ancora stato nominato. Una questione non da poco considerato che c’è in ballo il dossier della “rete unica delle Tlc”, quella che dovrebbe nascere per effetto dell’integrazione fra FiberCop e Open Fiber su cui punta il Governo.

Ma le due aziende sono ormai in guerra: Open Fiber (la società di cui Cassa depositi e prestiti detiene il 60%, il restante 40% è in capo al fondo australiano Macquarie) è passata alle diffide legali denunciando danni reputazionali e rischio di illecito anticoncorrenziale dopo che FiberCop, in una lettera al Governo, ha proposto di subentrare all’azienda nell’ambito del “Piano Italia a 1 Giga” (finanziato con fondi Pnrr) per il completamento della rete in fibra nelle cosiddette aree grigie e ha chiesto inoltre al Mimit l’accesso agli atti in merito alla procedura di riequilibrio economico-finanziario riguardo al “Piano Bul” (Banda ultralarga), quello per le aree bianche.

Il Governo intanto starebbe lavorando a un “pacchetto” da 600 milioni di fondi per le Tlc. Le risorse farebbero capo ai fondi di sviluppo e coesione e buona parte sarebbe destinata all’erogazione di voucher per le pmi per l’acquisito di soluzioni e servizi cloud e cybersecurity. E ci sarebbero anche voucher per i lavori per la posa della fibra all’interno delle abitazioni.

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