Da quasi vent’anni Massimiliano Gamalero bussa alla porta della chiesa per denunciare il prete che aveva abusato di lui quando era ragazzo. E nessuno gli ha mai dato retta. Ma oggi che don Carlo Bottero, reo confesso, sta per compiere 74 anni, ecco che fa arrivare alla vittima una proposta di risarcimento per le violenze subite. Il prete si impegna a versargli 25mila euro in cinque anni, in comode rate di 5mila euro ciascuna.

A farsi garante dell’offerta è Luigi Testore, vescovo della diocesi di Acqui (provincia di Alessandria) a cui Bottero appartiene. Ma c’è il trucco: l’accordo contiene una clausola di riservatezza e, in caso di divulgazione da parte della vittima, l’impegno del prete verrà meno. Insomma: ti paghiamo in cambio dell’oblio. Questo è il vero buco nero della chiesa italiana: quanti casi simili conosce? Quanti abusi sessuali dei sacerdoti sono stati seppelliti sotto la clausola di riservatezza? E questo è anche il problema del nuovo presidente della Cei (Conferenza episcopale italiana), il cardinale Matteo Zuppi che, come vedremo, sull’argomento è costretto a fare lo slalom tra ambiguità e contraddizioni.


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Quando iniziano le violenze, Massimiliano ha sedici anni e il prete venti più di lui. Don Carlo conosce bene il ragazzo: per otto anni è stato parroco a Mombaruzzo, il paese in provincia di Asti dove Massimiliano abita con la famiglia; è lui che lo ha cresimato soltanto due anni prima ed è stato anche il suo insegnante di religione alle superiori. «C’era un rapporto di fiducia fra di noi – ricorda Gamalero – ero stato rimandato in tre materie e mia madre gli chiese di aiutarmi in storia e letteratura in vista degli esami di riparazione». Tutti i giorni di quell’estate del 1984 Massimiliano prende il treno che da Mombaruzzo lo porta ad Acqui Terme per farsi dare lezioni di ripetizione nel seminario vescovile di cui don Bottero è stato appena nominato rettore. Superato il grande portone d’ingresso, Massimiliano, i libri sotto il braccio, aspetta che il prete venga a prenderlo.

«Mi portava in una stanza e lì, mentre leggevo, cominciava a toccarmi e io cercavo di sfuggire alla sua presa serrando le gambe, nella speranza che la smettesse – ricorda Gamalero – le braccia invece rimanevano inchiodate sul banco, come per far finta di niente o forse per paura di una reazione violenta». Il prete, però, continua. «Era come trasfigurato: più io tentavo di resistere, più lui usava la forza per costringermi. Cercava a tutti i costi di masturbarmi e ottenere la mia eccitazione. Alla fine è riuscito a spogliarmi e a portarmi su un divano, dove mi ha fatto sedere sulle sue ginocchia».

La complicità

Nel racconto emerge a questo punto un particolare che da solo racconta dell’ambiente clericale più di molte ammissioni di colpevolezza. Durante una di queste lezioni, mentre don Bottero sta come di consueto palpeggiando il ragazzo, all’improvviso entra nella stanza un altro prete. Il nuovo arrivato non si scandalizza, anzi, comincia a scherzare con il rettore che, senza alcun imbarazzo, continua a toccare Massimiliano.

«Don Carlo era li che armeggiava con il mio corpo e con naturalezza si mise a parlare con questo prete, senza neppure tentare di nascondere quel che stava facendo», precisa oggi la vittima. Massimiliano per i due preti non è che una cosa, un oggetto inanimato a cui non è necessario prestare attenzione.

Che cosa accadeva abitualmente nel seminario vescovile di Acqui, se gli abusi su un minore – a maggior ragione se commessi dal rettore, esempio e guida per i seminaristi – venivano considerati normali e il sacerdote non avvertiva neanche bisogno di dissimularli? Che genere di preti può aver formato un luogo simile, dove la violenza su un ragazzo non era considerata degna di rilievo? E soprattutto, la chiesa che cosa fa di fronte a vicende come questa che conosce in ogni particolare?

Don Carlo Bottero rimane al suo posto di rettore del Seminario di Acqui per ben nove anni, dal 1983 fino al 1992, quando viene destinato dall’allora vescovo Pier Giorgio Micchiardi alla parrocchia di Spigno Monferrato, nell’alessandrino. Per Massimiliano inizia il periodo della rimozione dell’abuso: «Per vent’anni ho nascosto l’accaduto a tutti, anche a me stesso – commenta – mi vergognavo profondamente e mi sentivo in colpa per non essere riuscito a difendermi».

Sono anni difficili, in cui non riesce ad avere relazioni sentimentali soddisfacenti e anche l’inserimento nel mondo del lavoro è problematico: è demotivato e sfiduciato nei confronti della vita e delle persone che incontra. Nel 1993 arrivano i primi episodi di depressione e le crisi di panico, ma dovranno passare ancora dieci anni prima che trovi la forza di denunciare.

A quel punto sono trascorsi quasi vent’anni dagli abusi, troppi per poter ricorrere alla giustizia dello stato; ma non per quella ecclesiastica, che fissa proprio a vent’anni la prescrizione per questo genere di delitto. Gamalero sente l’urgenza di essere ascoltato, ma non sa che stanno per scadere i termini per la denuncia alla Congregazione per la dottrina della fede. Lo sa invece il vescovo Micchiardi: «Mi disse di stare tranquillo – racconta Gamalero – e di non preoccuparmi del prete, che ci avrebbe pensato lui».

Infatti il vescovo ci pensa, guardandosi bene dall’avviare un’indagine su don Bottero, che viene però prontamente trasferito da Spigno a Canelli, nell’astigiano, dove diventa parroco della chiesa di San Leonardo. Mentre il vescovo fa melina, scatta la prescrizione anche per il processo canonico: «Micchiardi mi ha fatto perdere l’ultima occasione che avevo per portare don Carlo davanti a un tribunale», puntualizza amaro Gamalero. Se il vescovo tace, il parroco di Mombaruzzo don Pietro Bellati, a cui Gamalero chiede aiuto, non è da meno e gli suggerisce di dimenticare tutto: «Mi disse testualmente che non voleva “andare a fare del can can”».

Confessione

Intanto ansia, depressione e deliri di persecuzione continuano ad assillare la vittima: sviluppa disturbi della personalità e gli viene diagnosticata anche la fibromialgia, una malattia debilitante che comporta dolori diffusi e stanchezza cronica. A causa dei problemi fisici e psicologici causati dal trauma subito, per due anni non riesce nemmeno ad andare a lavorare. Nel 2017, sentendosi abbandonato dalle istituzioni, va a suonare alla porta di don Bottero, che nel frattempo è stato nominato responsabile della formazione degli aspiranti diaconi e direttore dell’Asilo infantile Cristo Re di Villanuova di Canelli, dove è sempre a contatto con i bambini. «Gli ho rinfacciato tutto quello che mi aveva fatto – racconta la vittima – e lui non ha negato, anzi, voleva che lo perdonassi». Don Bottero ammette quindi le violenze e di lì a poco si dimette anche da parroco, scegliendo un profilo più basso in parrocchia.

Gamalero, non soddisfatto, a marzo di quest’anno torna alla carica con il nuovo vescovo Luigi Testore che nel frattempo ha sostituito Micchiardi alla guida della diocesi di Acqui. Segretario particolare del cardinale Carlo Maria Martini dal 1980 al 1986, Testore è un esponente di spicco della diocesi ambrosiana e della stessa Cei, dove è membro del consiglio per gli Affari economici. Si dice subito pronto a ricevere Gamalero e, di fronte al racconto della vittima, si impegna a incontrare il prete e ad avviare la canonica investigatio previa. Indagine che si svolge velocemente tanto che, due mesi dopo, il 13 maggio scorso, il vescovo invia i risultati al dicastero per la Dottrina della fede (ex Congregazione): è vero che i fatti sono ormai prescritti, ma il dicastero, se lo ritiene opportuno, ha la facoltà di derogare ai termini. Un mese dopo, monsignor Testore scrive a Gamalero che Bottero si è dichiarato colpevole. «Preferivo attendere istruzioni da Roma prima di comunicarglielo e Le sarei grato se Lei tenesse la cosa per sé fino a quando mi arriveranno precise indicazioni», scrive il vescovo, e aggiunge: «Ho sentito il mio predecessore, che mi ha confermato quanto da Lei riferito».

Vent’anni dopo, dunque, monsignor Micchiardi, ormai emerito, ammette di essere sempre stato a conoscenza dell’abuso, ma non una parola viene spesa dai due vescovi sulla mancata denuncia alla Congregazione per la dottrina della fede nel 2003. «Quando gli ho chiesto cosa pensasse del vescovo precedente, che mi aveva tenuto buono per anni impedendomi di chiedere giustizia, mi ha risposto che monsignor Micchiardi non aveva un intento malevolo ma soltanto l’intenzione di aiutarmi», commenta Gamalero. Un aiuto “spirituale” che evidentemente non poteva prescindere dal mantenere il silenzio sulla vicenda e che ha messo il prete pedofilo al riparo da indagini interne che potessero verificarne l’attitudine a occuparsi di bambini e adolescenti. Perché la conseguenza (voluta) degli insabbiamenti è proprio questa: lasciare che un pedofilo continui a venire in contatto con i minori, con la possibilità tutt’altro che infrequente che ripeta gli abusi.

Il risarcimento

Il verdetto del dicastero per la Dottrina della fede arriva a fine estate: il vescovo Testore il 14 settembre scorso convoca Gamalero e gli riferisce che il suo caso non è stato ritenuto abbastanza grave da permettere una deroga per aprire un processo a don Bottero. «Il dicastero ha considerato non superabile la prescrizione e che non fosse quindi possibile adottare alcun provvedimento canonico», dichiara il vescovo a Domani. Il motivo? Lo ha spiegato con parole più chiare lo stesso monsignor Testore alla vittima: «Il vescovo mi disse che il dicastero riapre casi prescritti soltanto di fronte a situazioni estreme, come gli abusi avvenuti durante la confessione», riporta Gamalero. Par di capire cioè che per la chiesa è gravissima la molestia sessuale durante la confessione, meno grave la pedofilia durante una ripetizione di latino. A fronte di crimini odiosi, sottigliezze teologiche sulle quali sarebbero benvenuti gli autorevoli commenti del papa Bergoglio.

La faccenda però non si chiude qui, anzi. In mancanza di una sentenza di colpevolezza, il vescovo Testore non può sanzionare il sacerdote, per quanto reo confesso, ma propone alla vittima un risarcimento. Don Carlo Bottero è infatti pronto a mettere mano al portafoglio per poter compensare in qualche modo la sofferenza causata. Gamalero allora fa un rapido calcolo delle sole sedute di psicoterapia dal 2008 ad oggi, senza includere i farmaci, e arriva a una cifra che si aggira intorno ai 36.500 euro, sottolineando che rappresentano una minima parte del danno subito.

Il primo ottobre arriva, sempre tramite il vescovo, la proposta di don Bottero, in cui la somma richiesta è già drasticamente ridimensionata. Il prete, dopo aver ribadito le sue scuse per «i fatti avvenuti nel 1984», si impegna infatti a versare 25mila euro in cinque rate annuali «per sovvenire alle spese mediche affrontate, pur consapevole che queste siano state negli anni ben superiori». L’impegno però verrebbe meno in caso di morte o di divulgazione dell’accordo. «Il vescovo mi disse che la proposta di risarcimento di don Bottero era un atto di gratuità, perché ormai non potevo più ricorrere alle vie legali», sottolinea Gamalero.

Un gesto che in realtà tanto gratuito non era, considerato il vincolo della clausola di riservatezza. «Desidererei che questo scritto fosse considerato strettamente privato e personale, per questo ritengo che una eventuale divulgazione farebbe venir meno l’impegno da me sottoscritto», precisa infatti il prete nel documento. «Si tratta di un atto unilaterale di grande sensibilità, che la persona ha assunto per iscritto senza averne alcun obbligo. Egli ha indicato che si trattava di “scrittura privata”, il cui contenuto andava quindi considerato confidenziale», ribadisce dal canto suo a Domani monsignor Testore.

Il primo bonifico è già pronto a partire ma Gamalero, via email, rifiuta la clausola di segretezza, che bolla come «falsa e immorale» perché a questo punto, persa o negata la possibilità di un processo, «non ci sarebbe nulla di ufficiale sull’ammissione di colpevolezza» di don Bottero. «Bisogna però tener conto – gli risponde il vescovo – che non si tratta di una transazione ma di un impegno unilaterale che esprime davvero un desiderio di riparazione da parte del Bottero. E che quindi va considerato e apprezzato». Gamalero però è inamovibile e ribadisce che accetterà il risarcimento «solo ed esclusivamente se reso pubblico»; chiede inoltre al vescovo copia dei documenti relativi all’indagine previa e alla risposta del Dicastero, che gli vengono negati.

«L’unico documento che ho visto in tutta questa vicenda è quello di don Bottero, che pretende un inaccettabile silenzio sull’abuso in cambio di 25 mila euro, una miseria in confronto al danno psicofisico che ho subito», commenta Gamalero. Questo non è certo l’unico caso in cui la chiesa cerca di chiudere la bocca ai sopravvissuti alla violenza clericale attraverso dei risarcimenti vincolati al silenzio. Quanti avranno avuto la determinazione (o la possibilità economica) di respingere un’offerta simile? Quanti, abusati dai preti da piccoli, una volta adulti hanno accettato questi accordi?

«Sono transazioni note da da anni – conferma Francesco Zanardi, presidente della Rete l’Abuso – io sono a conoscenza di una quarantina di casi ma sono certamente molti di più. La somma proposta non supera mai i 25mila euro, ma fino a una decina di anni fa era anche più bassa, oscillava fra i cinque e i 25mila. Si tratta di cifre ridicole ma la vittima spesso vive in condizioni psicofisiche estreme e non è in grado di rifiutare».

Queste scritture private non sono contrarie alla legge, sia chiaro: il problema si pone su un piano etico, perché si realizzano in un contesto in cui la vittima è in condizione di fragilità psicologica a causa di quello che ha passato. «Spesso le persone che hanno subito violenza, pur prendendosela con il singolo prete, si fidano del contesto ecclesiastico e non si fanno nemmeno assistere da un legale», conferma l’avvocata Daniela Cultrera, che si è occupata di queste transazioni nel contesto clericale.

«Lo schema è sempre lo stesso. Il confidente spirituale o una persona che riveste un ruolo di rilievo nella comunità spinge la vittima ad accettare l’accordo, presentandolo come un gesto di riconciliazione. Siamo di fronte a una vera e propria manipolazione di queste persone, che alla fine si sentono in colpa a rifiutare un gesto che è fatto “per il loro bene”. L’obiettivo invece è difendere la chiesa».

La posizione di Zuppi

Eppure il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, si è sempre mostrato tiepido nei confronti di qualsiasi tipo di indennizzo alle vittime e proprio a Zanardi, durante un colloquio privato avvenuto l’estate scorsa, ha ribadito di essere contrario ai risarcimenti non per la clausola di riservatezza ma perché potrebbero incentivare le denunce a scopo di profitto. Dunque la “via italiana” della Cei alla lotta agli abusi sessuali dei sacerdoti passa attraverso questi “atti unilaterali di grande sensibilità” con vincolo di riserbo? Quanti di queste scritture private sono note alla Cei?

Interpellato in proposito da Domani, il presidente della Cei si è limitato a citare le linee guida (contraddittorie) approvate dall’assemblea dei vescovi nel 2019: «La valutazione di eventuali clausole di riservatezza che potrebbero essere inserite nei contratti relativi al risarcimento del danno va fatta in relazione ai casi concreti, e in ogni caso non può di certo incidere sulla libertà della vittima di un abuso di ricercare la verità e di perseguire la giustizia negli ambiti civili e canonici». Però, precisa ancora Zuppi, «nessun silenzio o occultamento può essere accettato in tema di abusi». Due affermazioni incompatibili: infatti, se il silenzio sugli abusi è inaccettabile per la Cei, logicamente lo devono essere anche le clausole di riservatezza.

Il senso di queste transazioni è chiaro: pagare le vittime perché tacciano la violenza subita. Dimenticare, nascondere, non far sapere: questo l’imperativo della chiesa, che bada innanzitutto a non fare del “can can”. Un sistema che ignora la sofferenza delle vittime e la loro legittima richiesta di giustizia e, al contrario, agevola i pedofili che, protetti dalla negligenza dei loro superiori, rimangono liberi di continuare a molestare ragazzini da una parrocchia a un’altra. Nei corridoi delle curie spesso si conoscono i casi nei dettagli molto prima che arrivino (se arrivano) agli sportelli di ascolto diocesiani.

Per quanto riguarda Acqui, il vescovo Testore ha assicurato a Domani che non risultano altre vittime nella sua diocesi, eppure a quanto pare don Bottero non era l’unico: il parroco di Mombaruzzo don Bellati ha confidato a Gamalero che in zona c’era un altro prete pedofilo, un’altra famiglia in preda alla disperazione. Nascondere gli abusi infatti non significa solo non voler sapere, come chiosa lo stesso Gamalero: «I preti non parlano ma le cose le sanno, eccome se le sanno». La storia finisce con un nuovo colpo di scena: nonostante il fermo rifiuto di Gamalero, i primi 5mila euro del prete pedofilo sono stati accreditati sul suo conto. «Ho detto al vescovo Testore di lasciarmi in pace perché sto male – taglia corto lui – e i soldi li ho già restituiti a don Bettero. Il mio silenzio non si compra».

 

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