Nel Medioevo il Paese della Cuccagna era un sogno per tutti gli affamati d’Europa, ed erano davvero tanti, ma veniva definito dalla chiesa «il ripugnante regno dei fannulloni, dei mangioni e dei pusillanimi».

A pensarci bene, era la caricatura della città, per questo soprattutto il cittadino doveva rispettare i precetti alimentari, se voleva evitare l’inferno, che in caso contrario era per lui garantito.

Il problema era che a tutti piaceva mangiare bene, ecclesiastici compresi, tanto da trasformare l’immagine del monaco ingordo in una sorta di stereotipo che sopravviverà fin quasi ai giorni nostri. Non bastava, infatti, astenersi dal mangiare carne nei giorni di magro, ma in qualche modo si pretendeva anche una cucina meno ricca e meno saporita; mangiare pesci fritti o coperti di salse estremamente succulente non era esattamente un comportamento quaresimale.

Se dal punto di vista formale, l’obbligo di mangiare di magro veniva rispettato, dal punto di vista sostanziale ci poteva essere più di un dubbio sulla correttezza di un tale comportamento alimentare in quaresima o in tutti gli altri giorni nei quali bisognava astenersi dalla carne.

Questi dubbi e questi strappi più o meno evidenti alle regole alimentari erano la normalità nel mondo cristiano fin dall’antichità e proseguirono per tutto il Medioevo. C’era anche una qualche forma di indulgenza o quantomeno di bonaria condanna, per cui mangiare di grasso nei giorni di magro finiva per essere quasi tollerato; in fondo nella morale cattolica, la sostanza veniva prima della forma e quindi era meglio mangiare un taglio di carne povero e poco elaborato, piuttosto che un pesce costoso e cucinato con una ricetta elaborata.

La Riforma

Le cose cambiarono radicalmente con la Riforma protestante; a dare fuoco alle polveri e a utilizzare anche la tavola come argomento di divisione e di contestazione nei confronti della chiesa romana fu proprio Giovanni Calvino, fin dai primi scritti inerenti alla Riforma negli anni Trenta del XVI secolo. «Il loro Dio è il ventre e la cucina è la loro religione» scrisse il riformatore francese, riferendosi al clero cattolico, nella sua opera più famosa, Istituzione della religione cristiana. Queste accuse, basate sull’evidente passione per la buona tavola e quindi sul peccato di gola, erano estremamente pericolose e divennero sempre più circostanziate man mano che il conflitto tra chiesa riformata e chiesa romana si inaspriva e si radicalizzava.

L’immagine di un clero cattolico che non rispettava i precetti alimentari e che si abbandonava ai piaceri del cibo in un mondo tendenzialmente sottonutrito era quanto di più infamante e delegittimante ci potesse essere; proprio per questo Calvino, Lutero e Zwingli utilizzarono spesso e volentieri questo argomento polemico.

Addirittura, Martin Lutero arrivò a coniare il termine “teologastro”, vale a dire “teologo del ventre”; tale definizione, riferita sempre al clero romano, conobbe un clamoroso successo. Fatalmente, questo attacco ai costumi alimentari dei cattolici doveva incrociare il tema dell’astinenza dalla carne durante la quaresima e nei giorni di magro.

Dal punto di vista dei grandi riformatori, la cucina di magro praticata dalle gerarchie romane era quanto di più ipocrita ci potesse essere. Non solo c’era un’evidente tolleranza, come abbiamo visto, ma era diffuso il consumo di pesci freschi e squisiti, insieme alla carne di altri animali dei quali era difficile stabilire la natura, come la tartaruga, il castoro, la lumaca e la rana.

I polemisti riformatori sottolineavano anche un altro paradosso: esisteva una precisa gastronomia quaresimale, che era talmente ricca ed elaborata da rendere la rinuncia della carne una pratica estremamente costosa.

Mangiare di magro, in teoria, avrebbe dovuto sancire la volontà di rinuncia e di mortificazione del corpo, ma finiva per essere un lusso che pochi potevano permettersi; in molte città europee conveniva mangiare carne anche nei giorni di magro. In maniera ironica, lo scrittore ugonotto Gédéon Tallemant des Réaux raccontava che alcuni suoi concittadini temevano di andare in rovina se avessero rispettato la dieta di magro consigliata dai sacerdoti cattolici.

La reazione papista

Di fronte ad accuse sempre più gravi e sempre più infamanti, che richiamavano in modo esplicito uno dei sette peccati capitali, la chiesa romana non poteva rimanere inerme. La reazione papista fu perfettamente in linea con i principi della Controriforma.

Lo stesso fervore tridentino con il quale vennero prese misure di rinnovamento spirituale, teologico e liturgico venne applicato in campo gastronomico. Nei giorni di magro non furono più ammesse eccezioni e la regola di astenersi dalla carne venne applicata con una rigidità mai vista in precedenza. Ma siccome la tentazione fa il prete goloso, si decise di imporre a tutte le macellerie di rimanere chiuse durante la quaresima, in tutti i venerdì e nelle vigilie.

Ma anche le ricette per cucinare i cibi ammessi dovevano essere semplificate; l’ironia dei luterani e degli ugonotti non poteva più essere accettata. La stretta sulla carne, sugli ingredienti e sulle preparazioni divenne progressivamente più forte e i divieti applicati con sempre maggiore rigidità, uniformando l’etica alimentare dei cattolici all’ostentata sobrietà dei protestanti. Ma solo nei giorni di magro, perché nel resto dell’anno le differenze tra la tavola di un papista e di un luterano c’erano ed erano pure molto evidenti. E in qualche modo queste differenze si possono vedere ancora oggi.

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