Nelle vicende del figlio del deputato per due volte viene citato il padre, proprietario di un’auto senza revisione. Il sotterfugio di denunciare il furto della macchina usata per i reati. Il politico: «Me lo aveva suggerito la polizia»
Ci sono le rapine, la tentata estorsione e la violenza, ma si allunga pesante l’ombra dei rapporti con criminali e lo spaccio di cocaina. La vicenda coinvolge Tancredi Antoniozzi, in carcere dallo scorso aprile, figlio del deputato Alfredo, fino al 20 maggio componente della commissione parlamentare antimafia e poi dimissionario, numero due alla Camera dei deputati del partito meloniano.
Il padre non è indagato, non ha nulla a che fare con le frequentazioni del figlio, ma in due circostanze che Domani può ricostruire è chiamato in causa direttamente. La ragione è un Range Rover, un bolide intestato al deputato e usato dal figlio per le sue scorribande nonostante i guai con la giustizia fossero iniziati già nel 2020.
Nell’ultima indagine che lo vede coinvolto il rampollo è accusato di aver manovrato un gruppo di giovani dedito alle rapine di Rolex dei figli della Roma bene. Emergono rapporti con criminali romani, e uno dei complici, dopo aver subito pesanti minacce, ha raccontato anche di affari di droga. Racconti che restano tali, visto che, al momento, non c’è nessuna contestazione in merito.
Il complice-pentito, Manuel Fiorani, racconta di aver notato in camera di Antoniozzi junior «poggiati su un mobile circa 40 pezzi di cocaina». Il rampollo viveva in casa con la famiglia, dimora che non è stata perquisita, a differenza di quelle degli altri indagati. Per i deputati e senatori le perquisizioni possono essere disposte solo a seguito di autorizzazione a procedere della camera di appartenenza, una garanzia costituzionale che ha salvato il giovane.
Non solo. Fiorani racconta che, dopo un iniziale rifiuto anche per le pressanti minacce di Antoniozzi junior, ha effettuato diverse consegne di cocaina per suo conto e di averlo visto spacciare in un locale. «All'interno della discoteca Nice Antoniozzi stava spacciando cocaina. L'ho visto mentre alcuni ragazzi gli chiedevano dei "pezzi” e lui glieli consegnava in cambio di denaro». Fiorani, in un’occasione, ha fatto una consegna «con il Range Rover di Antoniozzi», il bolide intestato al deputato.
La macchina di papà
Proprio l’auto è l’oggetto attorno al quale ruotano due vicende che vedono come protagonista l’onorevole, in quanto padre e proprietario dell’auto. Fatti che sono accaduti successivamente all’aggressione ai carabinieri da parte del giovane Tancredi, avvenuta nel 2024 all’esterno di una discoteca durante un controllo. Una vicenda che ha anticipato di qualche mese l’arresto, avvenuto lo scorso aprile, per rapina aggravata, e confermato di recente dal tribunale del Riesame.
Quali sono i fatti che fanno incrociare l’onorevole alle vicende che hanno coinvolto il figlio? Dobbiamo tornare allo scorso febbraio, mesi dopo l’aggressione ai carabinieri. A Roma, in zona via Veneto, cuore della dolce vita. Fuori al famoso locale Jackie ‘O c’è un fuoristrada che staziona in doppia fila. Precisamente un Range Rover, prezzo di listino 62 mila euro. È notte, l’una all’incirca, quando una volante della polizia di stato accosta il bolide con il motore acceso, il conducente spiega che è in attesa di un suo amico che sta uscendo dal locale.
I due agenti chiedono la patente, ma il giovane dichiara di esserne sprovvisto mostrando una fotografia ai poliziotti. Il giovane è Tancredi Antoniozzi. A quel punto i due agenti non si fidano e chiamano in centrale per un controllo.
Scoprono che la patente risulta sospesa a tempo indeterminato, scoprono che il rampollo avrebbe dovuto produrre documentazione medica e che il saldo punti risulta zero. E l’auto? «Risultava che la stessa era sprovvista di revisione periodica e intestata ad Alfredo Antoniozzi», si legge nel verbale della questura di Roma. Il giovanotto, infatti, appena i poliziotti scoprono lo “stato” della patente, invoca l’aiuto del padre, chiede agli agenti di «farlo venire sul posto in quanto ricopriva la carica di deputato della Repubblica Italiana».
E il numero due di Meloni alla Camera arriva sul posto. «Dopo circa venti minuti dall'inizio del controllo, giungeva in loco il padre (...) il quale dichiarava di aver lasciato il figlio in macchina circa un'ora prima e di essersi allontanato per motivi personali, senza riferire il luogo specifico, versione che veniva dichiarata anche nel verbale al codice della strada».
Alla fine viene redatto un verbale per il trasgressore e per il deputato, «obbligato in solido». Ma alla fine l’auto chi la guidava? «La guidavo io, ci siamo fermati lì davanti, io sono sceso per andare lì dietro una ventina di minuti. Mio figlio così da dietro è andato avanti, ha acceso il motore per riscaldarsi perché faceva freddo», risponde l’onorevole Antoniozzi a Domani.
Tutto questo accadeva all’una di notte. Nel verbale il figlio dice altro: «Tancredi Antoniozzi riferiva di non aver condotto lui l'autovettura fino al luogo del controllo, ma il suo amico all'interno del locale Jakie ’O'». Ma il deputato conferma la sua versione: «Mio figlio ha detto che guidava l’amico? No, la guidavo io». C’è un altro incrocio del deputato Antoniozzi con le vicende del figlio.
Il mistero del furto
Si trova in un’altra annotazione della questura di Roma. Per capire bisogna iniziare da un’intercettazione, risale al marzo scorso. Al telefono ci sono il rampollo di famiglia con un complice, al momento non ancora identificato, perché usava una scheda telefonica intestata a uno straniero.
Pianificano, scrivono gli inquirenti, una nuova impresa criminale da compiere in serata. Tancredi è a 700 chilometri da Roma, precisamente a Bordighera, in Liguria. Mentre si organizzano nasce un problema, quale macchina utilizzare il colpo in programmazione? Il rampollo non vorrebbe usare la macchina del padre, perché qualcuno gli ha sconsigliato questa opzione.
«Gli ho detto a lui, gli ho detto che posso pià la macchina mia. Mi ha detto che fai la seconda denuncia di smarr de furto de macchina, te bevono», dice Antoniozzi. In pratica dice che qualcuno gli ha suggerito di non usare l’auto perché avrebbe dovuto fare l'ennesima falsa denuncia di furto rischiando di essere «bevuto», arrestato.
La risposta dell’ignoto rapinatore è alterata: «A fra’ io arrivo sul posto e la macchina la metto tre vie dopo mica me faccio vedere che scappo in macchina (...) E a fra’ non se scappa con i tacchi fratè». A quel punto il rampollo cede: «Lo so. Mo devo di’ a mi padre di darti la macchina. Si ti faccio dare la macchina da mio padre. Dai». E il complice risponde: «Famme sapè. Io la metto tre vie dopo».
Tancredi, a questo punto, replica: «Okey aspetta. Daie. Fammi chiamare mio padre». A questo punto lo sconosciuto ribatte: «Che faccio lo devo sentì?». La conversazione si chiude con il rampollo che dice: «Sì io chiamo mio padre e ti do conferma. e tu lo senti. Un minuto».
Precisiamo subito che quella sera non sarà commesso alcun furto, qualcosa avrà fatto cambiare i programmi alla banda. Ma nell’annotazione viene riportato un particolare che spiega la ritrosia di Tancredi a utilizzare il bolide del padre a proposito dell’ennesima falsa denuncia di furto. Una denuncia che serve a evitare che i sospetti si concentrino su di lui.
«Giova precisare che in un evento criminale simile, ai danni di P.A., avvenuto nel mese di gennaio 2025, la parte lesa inseguiva coloro che lo avevano rapinato riuscendo a leggere la targa del veicolo, il Range Rover, comunicandolo in sede di denuncia. Durante la medesima notte Alfredo Antoniozzi proprietario dell'auto, padre del Tancredi, presentava denuncia di furto del veicolo poi casualmente ritrovato più tardi», scrivono gli inquirenti.
In pratica due mesi prima stesso schema con la denuncia di furto presentata dal padre onorevole. «Ho presentato io la denuncia di furto perché così mi aveva suggerito la polizia quella sera. Mio figlio mi ha chiamato e noi lo abbiamo raggiunto, mi ha detto “mi hanno rubato l’auto cosa dobbiamo fare?", a quel punto siamo andati a fare la denuncia l’indomani», spiega il deputato.
L’onorevole non sa che quello è un trucco usato dal figlio per allontanare i sospetti quando commetteva illeciti e programmava rapine nella Roma bene attraversata da una «strisciante omertà».
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