Il giudice per l’udienza preliminare di Roma, Roberto Ranazzi, ha disposto la sospensione del procedimento a carico dei quattro agenti dei Servizi segreti egiziani, accusati per il sequestro, la tortura e l’omicidio di Giulio Regeni. Mancano gli indirizzi di domicilio degli imputati, e senza i recapiti non è possibile dar luogo alla notifica degli atti giudiziari. L’Egitto non collabora. Ora proseguiranno le indagini del Ros, mentre la nuova udienza, per valutare eventuali sviluppi, è stata  fissa per il 10 ottobre prossimo. 

SOSPENSIONE del PROCESSO

La decisione del gup è arrivata  dopo le comunicazioni del ministero di Giustizia e dei carabinieri del Ros, che hanno confermato la già nota indisponibilità dell’Egitto a qualsiasi forma di collaborazione con l’Italia in merito al caso Regeni.

A gennaio, il giudice aveva chiesto al governo di verificare la possibilità di una effettiva collaborazione con le autorità egiziane. Ma il ministero ha ribadito «il rifiuto dell’Egitto di collaborare nell’attività di notifica degli atti», cui si è aggiunto il rifiuto da parte del Cairo a un incontro tra la ministra della Giustizia Marta Cartabia e il suo omologo egiziano.

Il direttore della cooperazione giudiziaria italiana ha fatto sapere che le autorità egiziane, che ha incontrato al Cairo, hanno evidenziato come, sul caso Regeni, la competenza sia della procura generale, per la quale comunque l'indagine è chiusa perché non sarebbe possibile effettuare ulteriori verifiche sui quattro indagati.

All’indisponibilità egiziana non hanno fatto da contrappeso i risultati delle indagini, condotte nel frattempo dai carabinieri del Ros. Le loro ricerche hanno portato solo all’indirizzo dei luoghi di lavoro, non anche a quello dei domicili. E, secondo il codice di procedura internazionale, l’indirizzo lavorativo non può essere utilizzato per le notifiche in sede processuale. 

Il rifiuto di collaborare da parte dell'Egitto, ha detto il gup, «è un dato di fatto» e «sono del tutto pretestuose le argomentazioni proposte delle autorità egiziane». Alla prossima udienza del 10 ottobre sarà sentito il direttore generale del ministero della Giustizia, Nicola Russo, sugli eventuali sviluppi.

IL SIT-IN AL TRIBUNALE

In mattinata, davanti al tribunale di Roma, dove stava per svolgersi l’udienza preliminare, i genitori di Giulio Regeni, Claudio Regeni e Paola Deffendi, con la legale Alessandra Ballerini, hanno mostrato lo striscione giallo con la scritta «Verità per Giulio Regeni», dando luogo a un sit-in. Al presidio hanno partecipato anche il presidente della Federazione della stampa italiana (Fnsi) e degli attivisti, anche egiziani. i.

«Siamo qui per dire che non smetteremo mai di reclamare verità e giustizia», ha detto Giuseppe Giulietti, presidente Fnsi che ha partecipato al presidio. «Chiederemo che ci sia un’interruzione dei rapporti con l'Egitto, qualora dovesse perseguire una politica di omissione e di cancellazione delle prove».

Anche il presentatore tv Flavio Insinna ha preso parte al sit-in, e alla domanda dei giornalisti sul perché fosse lì ha risposto: «Perché sono qui? La domanda è da porre al contrario. Perché non esserci? Bisogna esserci. Come ha detto la mamma di Giulio su quel viso ha visto tutto il dolore del mondo, non dobbiamo darci pace fino a quando non si arriverà alla verità. Lo dobbiamo alla famiglia, alla parte buona di questo paese. Voglio vivere in un paese, come dice il papa, che ritrovi un senso di fraternità, dove il tuo dolore diventa il mio. Questa famiglia sta facendo un’opera straordinaria con una compostezza unica al mondo. Dal primo minuto mi sono legato a questa storia. Mi interessa che ci sia la volontà politica di andare avanti, spero che l'alta politica faccia il bene delle persone che amministra. A questa famiglia l’alta politica deve dare la verità».

IL PROCESSO

L’udienza preliminare che si è svolta oggi, davanti al gup, è la seconda dopo quella dello scorso gennaio. A  ottobre del 2021, il processo contro i quattro 007 era stato sospeso al termine della prima udienza, nell’aula bunker di Rebibbia, per decisione dei giudici della Corte d’Assise, che avevano stabilito che il gup si pronunciasse sulla questione della notifica delle accuse agli imputati. I legali della difesa avevano sollevato la questione della non conoscenza, da parte dei quattro imputati, di quanto veniva loro imputato a Roma.

 A gennaio poi il gup aveva stabilito che i carabinieri del Ros disponessero di altro tempo per verificare i luoghi di residenza e di lavoro dei quattro agenti presunti torturatori e omicidi in modo tale da notificare loro l’avvio del processo e sollecitato un intervento da parte del ministero di Giustizia. 

L’OMICIDIO

Giulio Regeni venne rapito la sera del 25 gennaio 2016 e il suo corpo martoriato fu trovato nove giorni dopo, lungo la strada che collega Alessandria a Il Cairo. La procura di Roma, in seguito a quanto raccolto finora, ritine che il ricercatore dell’Università di Cambridge sia stato torturato e ucciso dopo esser stato segnalato come spia alla National Security dal sindacalista degli ambulanti, Mohammed Abdallah, con il quale era entrato in contatto per i suoi studi.

Gli agenti egiziani coinvolti nel procedimento sono Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Sono tutti accusati di sequestro di persona, mentre Abdelal Sharif risponde anche di lesioni e concorso nell’omicidio.

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