Ieri, al termine dell’udienza in aula Nervi, sotto la statua del Cristo risorto che allarga le braccia, anche papa Francesco ha aperto le braccia dispiegando davanti alle telecamere una bandiera ucraina proveniente da Bucha, la città alle porte di Kiev liberata dagli occupanti russi, che hanno marchiato la loro fuga uccidendo barbaramente decine di civili

«Il massacro di Bucha», lo ha definito il papa, preoccupato per la climax di atrocità a 43 giorni dall’inizio dell’invasione russa: «Crudeltà sempre più orrende, compiute anche contro civili, donne e bambini inermi. Sono vittime il cui sangue innocente grida fino al cielo e implora: si metta fine a questa guerra! Si facciano tacere le armi! Si smetta di seminare morte e distruzione!».

L’appello del pontefice s’intreccia ai tentativi diplomatici della Santa sede che, nelle persone del cardinale segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, e del segretario per i rapporti con gli Stati, monsignor Richard Gallagher, stanno cercando indefessamente di mediare fra i due paesi belligeranti. «Stanno facendo di tutto. Non si può pubblicare tutto quello che fanno, per prudenza, per riservatezza, ma siamo al limite del lavoro» ha ricordato Francesco sul volo di ritorno da Malta.

Porte aperte a Kiev

Stando alle dichiarazioni del papa stesso, resta aperta la possibilità di un viaggio a Kiev, ancora troppo rischioso per la mancanza di una no-fly zone che scongiurerebbe pericolosi bombardamenti.

«Con sincerità avevo in mente di andarci, ho detto che la disponibilità sempre c’è, non c’è un no a priori, sono disponibile. È sul tavolo il progetto, è lì, come una delle proposte arrivate, ma non so se si potrà fare, se è conveniente farla, se farla sarebbe per il meglio, se conviene farla e devo farla, è in sospeso tutto questo» ha puntualizzato.

Alle sue dichiarazioni hanno fatto seguito quelle dell’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk. «Lo stiamo aspettando con sincerità. Sarebbe un potente gesto per la pace» ha detto il capo della chiesa greco-cattolica ucraina. Allo stesso modo, però, il papa non intende tagliare un ponte con il patriarca di Mosca Kirill, costruito nel nome del dialogo sull’isola di Cuba nel 2016, quando i due leader cristiani hanno firmato una dichiarazione per la pace.

Oggi, se Kirill fa del combattimento reale il segno distintivo della “buona battaglia” spirituale della Russia, unico argine contro il disfacimento dell’occidente, il silenzio del papa, criticato da molti che anche il vescovo cattolico di Odessa, Stanislav Šyrokoradjuk, chiede di rompere, è visto come l’ultimo disinnesco della guerra. 

Chi, al contrario, fa nomi e paventa scismi è il resto della chiesa ortodossa, pronta a staccarsi da quella russa, come suggeriscono le condanne dell’arcivescovo di Helsinki e di tutta la Finlandia Leone e del patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo.

Il cainismo della guerra

Fra le mura leonine la diplomazia non ammette nomi, malgrado il crescente malcontento per quella ormai percepita come eccessiva prudenza. «La diplomazia vaticana non attacca capi religiosi o politici» ha scritto il gesuita Antonio Spadaro sul Fatto Quotidiano. 

Eppure, che in Vaticano la percezione del conflitto sia cambiata lo ha ammesso Andrii Yurash, l’ambasciatore ucraino presso la Santa sede. Intervistato dal giornale cattolico Crux il diplomatico, insediatosi a Roma negli stessi giorni in cui il figlio maggiore Sviatoslav, eletto tre anni fa deputato, si arruolava nell’esercito ucraino a soli 26 anni, ha detto: «All’inizio c’era la sensazione che si trattasse di un “conflitto regolare”, ma da oltre un mese è ormai chiaro che la chiesa intende questa come una “guerra terribile e barbara”, come l’ha definita il pontefice».

Un cambiamento di prospettiva è stato possibile grazie alla testimonianza dei due cardinali inviati dal pontefice in prossimità del conflitto: l’elemosiniere pontificio Konrad Krajewski e il prefetto ad interim del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, Michael Czerny. Se, stando ai piani militari sequestrati in un’operazione di guerra dall’esercito ucraino, Putin prevedeva di conquistare l’Ucraina in soli 15 giorni, con il cronicizzarsi del conflitto l’avvicinamento alla causa ucraina è fisiologico anche fra le sacre stanze.

È il papa stesso a mostrarlo nel lessico usato per descrivere la guerra, da conflitto a espressione del “cainismo”: «Siamo innamorati delle guerre, dello spirito di Caino. Non a caso all’inizio della Bibbia c’è questo problema: lo spirito “cainista” di uccidere, invece dello spirito di pace».

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