In questi giorni, dopo le dimissioni di Nicola Zingaretti dal ruolo di segretario del Pd, Domani ha aderito all’appello – lanciato sulle colonne del nostro giornale da Nadia Urbinati, Stefano Bonaga e Piero Ignazi, contro lo sfaldamento di un partito la cui dirigenza sembra ormai dirigere solo se stessaSul tema pubblichiamo anche una lettera, uscita sul numero di oggi del giornale, a firma dell’ex senatore Lucio D’Ubaldo.

Caro Direttore, scrive Mattia Ferraresi (sul numero di Domani del 9 marzo) che «la dialettica Dc-Pci ha prodotto esiti che ognuno può giudicare come crede, ma il punto è che non è mai approdata a una sintesi, che del resto era probabilmente impossibile ottenere in natura».

È un’osservazione pertinente, in effetti legata alle vicende del Pd. Chi ha partecipato alla fondazione di questo partito non aveva in mente una sintesi; semmai, con qualche ingenuità, coltivava l’ambizione di un “andare oltre” la dialettica del Novecento. Tuttavia le difficoltà, anche in questo aggiramento dei problemi teorici, sono rimaste intatte o sono addirittura cresciute. Le eredità non si nascondono, né tanto meno s’ignorano.

Chi crede alla costruzione – tutta nuova – di un’alleanza tra centro e sinistra, avrebbe interesse a capire l’evoluzione di un pensiero “interno” alle rispettive tradizioni. Qui sta il punto. Rinnovare la linea Sturzo-De Gasperi-Moro appare plausibile (e nobile per gli interessati); non così invece per la linea Gramsci-Togliatti-Berlinguer, consegnata alla sola reminiscenza, senza sviluppi coerenti e limpidi. Il problema del centro è dunque la sua riorganizzazione, quello della sinistra il suo ripensamento. La natura, per dirla con Ferraresi, non fa sconti.

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