Alle tre e mezza del pomeriggio del 13 settembre il quotidiano americano Washington Post pubblica la notizia destinata a provocare molte ore più tardi un terremoto nella politica italiana. Titolo: «La Russia ha speso milioni per finanziare partiti e politici stranieri in tutto il mondo».

La fonte della notizia è un documento desecretato dall’amministrazione Biden e ormai solo classificato come “sensibile”. I milioni di cui si parla sono circa 300. Un numero che ritorna in un report del 2020, letto da Domani, sui finanziamenti coperti messi sul piatto da Russia, Cina e paesi arabi, destinati all’Europa e al resto del mondo.

Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha inviato a oltre cento paesi il dossier, che sarebbe approdato anche presso alcuni governi europei. Quali? Non è dato saperlo. Chi sono i leader coinvolti? La risposta è la stessa, nessun nome, nessun riferimento concreto. Almeno pubblicamente, perché un elenco esiste ma è stato consegnato ai paesi interessati.

L’Italia per ora non è compresa, questo dicono da palazzo Chigi, salvo poi specificare: «Le segnalazioni da parte degli Stati Uniti non è detto che siano concluse e che sia escluso che possano arrivare entro venerdì poiché il lavoro dell’intelligence americana è ancora in corso e le segnalazioni per vie diplomatiche vengono fatte solo quando si ritiene certa l’azione russa».

, il comitato di sorveglianza parlamentare sull’attività dei nostri servizi segreti. «Nessuna notizia che riguarda l’Italia, ma le cose possono cambiare», ha dichiarato il presidente dell’organismo di controllo, Adolfo Urso. Il Copasir ha comunque convocato una riunione sul tema venerdì 16 settembre.

Alla notizia sono seguite le reazioni dei leader nostrani, alcune scomposte non sono mancate a destra, dove si trovano i principali sospettati di vicinanza a Putin. La Lega in particolare, che ha gridato al complotto. Matteo Salvini ha definito «fake news» la faccenda e ha promesso querele contro chi osa accostare il nome Lega a finanziamenti occulti del Cremlino. Curiosa reazione, nel documento finora non è citato né lui né il suo partito.

Il leader leghista ha messo le mani avanti, perché sa bene che la storia recente dei suoi rapporti con Mosca non svanisce così all’improvviso. È certo che il suo partito sarà il primo sospettato. Sospetti, legittimati dai fatti accaduti in questi ultimi anni, che ricadono sul suo partito prima di altri per motivazioni concrete, per eventi documentati quando lui era da poco al governo con i Cinque stelle.

Come i suoi fedelissimi beccati con le mani nella ciotola russa dei soldi destinati ai sovranisti europei. Fatti, appunto, per i quali Salvini non ha mai neppure denunciato i giornalisti autori dello scoop sul caso Metropol, l’hotel di Mosca dove il 18 ottobre si è tenuta la trattativa tra l’ex portavoce di Salvini, Gianluca Savoini, e una banda di tre russi (tutti legati a oligarchi e politici vicini a Putin) durante la quale hanno negoziato un finanziamento alla Lega per sostenere la campagna elettorale delle europee 2019.

Uno schema usuale

Finanziamento milionario mascherato con un’operazione di compravendita di milioni di tonnellate di gasolio. Schema che viene citato anche dall’intelligence americana come usuale nei metodi usati dalle truppe di Putin per elargire soldi agli amici politici della Russia in giro per il mondo.

Questo schema del sostegno elettorale camuffato da scambio commerciale, emerso per la prima volta pubblicamente con il negoziato del Metropol, prevede l’utilizzo di società estere fittizie attraverso le quali far transitare la somma ufficiale e quella destinata allo scopo politico dell’operazione. Quel 18 ottobre con Savoini si è parlato anche di questo aspetto.

Un caso scuola potremmo definirlo, seppure la transazione non sia avvenuta. L’esperta di intelligence Julia Friedlander, in una recente intervista, cita le «shelf company» per un quali strumento per veicolare soldi russi verso gruppi politici dell’Unione. Si tratta di società cartiere, di comodo o dormienti, create in uno stato estero rispetto all’obiettivo da finanziare. Friedlander, alto funzionario di stato con Donald Trump, è stata analista della Cia, consigliere per l'Europa nell'Office of Terrorism and Financial Intelligence del dipartimento al Tesoro, e dal 2017 al 2019 direttrice per l’Europa al consiglio per la sicurezza nazionale.

Friedlander nel dialogo con La Repubblica ha parlato espressamente di Lega e Salvini, il quale sulla Russia «penso abbia un interesse politico personale... Ci sono connessioni ideologiche, ma anche obiettivi economici», ha detto.

Otto giorni dopo l’intervista, ecco la notizia sui milioni distribuiti dalla Russia a partiti e leader di tutto il mondo pubblicata dal Washington Post. E che in Italia ha avuto più eco rispetto ad altri paesi proprio perché tra una settimana si terrà il voto che deciderà il prossimo governo, con la destra unita data in netto vantaggio dai sondaggi. In questa coalizione c’è la Lega, la principale indiziata non da oggi ma dall’inizio dell’era Salvini (2013) di avere stretto con Mosca un rapporto che va oltre la condivisione di ideali comuni.

Il manifesto del Metropol

Per capire il motivo di tanta attenzione internazionale sulle ingerenze russe in Italia è necessario partire ancora una volta dal Metropol e da Savoini seduto al tavolo con gli uomini vicini al presidente Putin. L’ex portavoce di Salvini è chiamato in Russia il consigliere di Matteo pur non ricoprendo già all’epoca ruoli ufficiali nel partito.

Savoini prima di entrare nel clou dei dettagli tecnici della trattativa ha pronunciato parole che diventano una sorta di manifesto politico dell’incontro segreto, fanno da cornice ideale allo scambio commerciale dietro il quale si celava un finanziamento reale: «La nuova Europa deve essere vicina alla Russia. Non dobbiamo più dipendere dalle decisioni di illuminati a Bruxelles o in Usa. Vogliamo cambiare l’Europa insieme ai nostri alleati come Heinz-Christian Strache in Austria, Alternative für Deutschland in Germania, la signora Le Pen in Francia, Orbán in Ungheria, Sverigedemokraterna in Svezia».

Attenzione alle sigle dei partiti nominati: sono quasi tutti stati coinvolti in scandali con alla base fondi russi. Va ricordato, inoltre, che un anno prima (2017) La Lega aveva siglato un patto politico con il partito di Putin, Russia Unita. Accordo di collaborazione ancora in vigore.

Nel discorso introduttivo, in pratica, l’uomo di Salvini garantisce ai russi che solo i sovranisti, di cui la Lega è in quel momento forza trainante in Europa, possono cambiare gli equilibri. In altre parola destabilizzare l’Unione, secondo i desideri e le strategie del presidente Putin. Dopo aver presentato il manifesto sovranista-leghista, Savoini ha lasciato la parola ai tecnici italiani e russi seduti al tavolo del Metropol. Iniziava così la trattativa vera e propria, fatta di cifre e luoghi, sconti sul carburante e società estere tramite le quali far passare i soldi.

Tre anni prima del Metropol, invece, è accaduto un fatto curioso. Come raccontato da Domani nei mesi scorsi, c’è stato uno strano giro di contanti, segnalato dall’antiriciclaggio italiano, che ha riguardato un alto funzionario dell’ambasciata russa nei giorni in cui Putin era in visita a Milano e ha incontrato il leader della Lega, accompagnato da Savoini. Si trattava di un prelievo in banca di 125mila euro, giustificato dal diplomatico russo con la necessità di soddisfare le esigenze della delegazione in arrivo da Mosca per il vertice nel capoluogo lombardo il 17 ottobre 2014. Quel giorno Salvini ha incontrato Vladimir Putin.

Un saluto rapido, un caffè al volo dopo un importante convention sull’Eurasia. Forse il primo incontro tra il capo della Lega e il presidente della federazione russa. È interessante il nome del funzionario dell’ambasciata che ha ritirato i contanti per la delegazione russa: Oleg Kostyukov.

Lo stesso che in questi mesi ha curato le relazioni con Matteo Salvini e il suo consulente improvvisato, Antonio Capuano, l’avvocato di Frattaminore (Napoli), che ha accompagnato il capo leghista durante gli incontri segreti con l’ambasciatore di Putin a Roma per parlare del piano di pace in salsa sovranista.

Marine e Vladimir

È interessante da analizzare il periodo in cui i russi sostengono, o tentano di farlo, i sovranisti europei. Savoini organizza decine di incontri prima del Metropol a partire dal maggio precedente con un oligarca di nome Konstantin Malofeev, rappresentato da un suo emissario al tavolo dell’hotel moscovita e artefice di alleanze tra Cremlino e destre europee.

In quel periodo la Lega aveva fatto il pieno di voti, aveva il vento in poppa, si apprestava ad andare al governo dell’Italia. Era di fatto il primo partito dichiaratamente sovranista al governo di un paese fondatore dell’Unione Europea. Il più importante e forte nel 2018. Quattro anni prima lo scenario era decisamente diverso.

La Lega era una forza residuale, Salvini era diventato segretario da un anno e la metamorfosi sovranista era appena cominciata. All’epoca all’apice dell’ascesa c’era Marine Le Pen con il Front national, che stava riorganizzandosi in vista delle elezioni del 2017 con sondaggi molto favorevoli sopra il 30 per cento. Perciò al tempo se il Cremlino doveva sostenere un partito anti europeista con buone possibilità di vittoria, questo era sicuramente il Front national.

A fine novembre 2014 la testata francese Mediapart pubblica lo scoop sul prestito da 9 milioni di euro dato al Front national dalla First Czech Russian Bank. Le Pen si era giustificata seguendo il protocollo caro ai sovranisti, il vittimismo: «Nessuna banca francese ce lo avrebbe concesso». Aggiungendo che il denaro non ha influenzato le sue posizioni politiche. Di certo in Europa Le Pen, insieme a Salvini, la più strenua paladina della Russia e di Putin. La banca aveva accordato il finanziamento dopo l’inizio delle ostilità in Ucraina e nello stesso periodo Le Pen aveva annunciato di riconoscere il referendum sull’annessione russa della Crimea.

Anche in questo caso, come per l’affare Metropol, non si trattava di spedire borse zeppe di contanti o portare fuori dalle ambasciate buste farcite di rubli. Il sostegno è mascherato da un’operazione finanziaria con tutti i crismi della legalità. A fornire indizi di opacità però è il nome stesso della banca: di proprietà di una società di costruzioni russa, a sua volta controllata da società riconducibile a Gennady Timchenko, amico stretto di Putin e da tempo sotto sanzioni per la guerra in Ucraina.

«Questa banca è un noto ufficio di riciclaggio di denaro di Putin» aveva scritto Aleksej Navalny, l’oppositore più noto del presidente. La banca ha chiuso i battenti nel 2016 ed è stata rilevata da una società di ex militari russi, pure questa colpita da sanzioni. L’accordo per la restituzione del debito aveva fissato il 2019 come data ultima.

Alla fine si sono accordati per il 2028 con una ristrutturazione rivelata dal Wall street journal ad aprile 2022, nei giorni caldi delle ultime presidenziali francesi. Non vanno dimenticati, poi, i 2 milioni di euro ricevuti nel 2014 dall’associazione di raccolta fondi di Jean Marie Le Pen (padre di Marine) sostenitrice del Front national. Il denaro era partito da una società di Cipro connessa a un banca del Cremlino. A favorire l’operazione sarebbe stato l’oligarca Malofeev, ancora lui, l’amico di Savoini e della Lega.

Germania russa

In Germania Putin ha puntato tutto sui sovranisti di Alternative für Deutschland (Afd). Negli anni ci sono state tracce di relazioni politiche e finanziarie tra gli uomini del Cremlino e il gruppi di estrema destra tedesco.

I casi più eclatanti sono certamente due: nel 2017 a tre leader di Afd è stato pagato un volo per Mosca su un jet privato da un donatore russo; nel 2019, invece, la Bbc ha pubblicato alcuni documenti in cui emergeva il sostegno del Cremlino a Markus Frohnmaier, membro del parlamento tedesco di Afd, «avremo il nostro parlamentare assolutamente controllato nel Bundestag». Una frase contenuta in uno scambio di mail tra un ex ufficiale del controspionaggio navale ed ex membro della camera alta del parlamento russo, e un alto funzionario dell’amministrazione del presidente Putin.

Il trappolone di Ibiza

Di tutt’altra fattura è il caso Ibizagate che ha coinvolto Heinz Christian Strache, l’ex leader della Fpoe, la destra radicale e sovranista austriaca. Anche loro citati da Savoini nel discorso del Metropol.ù

Lo scandalo austriaco ha provocato la caduta del governo, è considerato tuttavia una trappola tesa a Strache, ripreso in un video sull’isola spagnola mentre prometteva appalti a una donna, che recitava la parte di figlia di oligarca, in cambio di soldi per sostenere la campagna elettorale. I video sono stati pubblicati da Der Spiegel e Suddeutsche Zeitung. E seppure l’incontro sia stato costruito ad arte, il caso Strache evidenzia la sensibilità sovranista alle sirene russe.

Il report del 2020

Il report non più segreto rivelato dal dipartimento di stato americano ricorda in molti passaggi un dossier dettagliato pubblicato nell’agosto 2020 dal think tank americano “The Alliance for Securing Democracy”. Nel consiglio consultivo troviamo pezzi grossi un tempo ai vertici dell’intelligence statunitense: Da Rick Ledgett, già vice direttore della National Security Agency, a Michael Morell, ex direttore ad interim della Cia tra il 2011 e il 2013. Il report rilasciato due anni fa si intitola Covert foreign money ed è un viaggio nelle ingerenze russe, cinesi e arabe che hanno come obiettivi l’Europa e il resto del mondo. I casi citati sono numerosissimi: da Le Pen al Metropol della Lega fino al caso tedesco. Ma c’è molto altro: si parla dell’estrema destra svedese, citando casi concreti, della Polonia, della Nuova Zelanda, dell’Australia. Gli analisti spiegano i vari metodi per celare i finanziamenti. E sono quelli scoperti con i casi Le Pen e Metropol. Oppure l’utilizzo di associazioni, fondazioni, onlus.

«Oltre a strumenti più ampiamente studiati come attacchi informatici e disinformazione, regimi autoritari come Russia e Cina hanno speso più di 300 milioni di dollari per interferire nei processi democratici più di 100 volte in 33 paesi nel scorso decennio», è l’incipit del report 2020, che prosegue: «Chiamiamo questo strumento di interferenza straniera “finanza maligna”, definita come il finanziamento di partiti politici stranieri, candidati, campagne elettorali, élite ben collegate o gruppi politicamente influenti». La cifra e i meccanismi citati da “The Alliance for Securing Democracy” sono identici a quelli emersi in questi giorni dopo la pubblicazione del documento desecretato dal dipartimento di stato sulle interferenze russe nel mondo. L’ennesima conferma, se mai dovesse servire.

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