Lo striscione Vita Donna Libertà campeggia sulla facciata del municipio di Bergamo. Tre parole e nessuna bandiera dell’Iran. Il sindaco Giorgio Gori ha dato il suo benestare, a patto che non vi fossero simboli politici o richiami ai colori del paese iraniano. Shaghayegh, per tutti Sheghi, ha accettato e a sue spese ha fatto stampare il telone che pende da uno dei balconi del Palazzo Frizzoni. 

Sheghi Taba è iraniana di Teheran, ha 41 anni ed è una ex finance manager scappata dal suo paese natale nel 2009. Oggi possiede un bistrot-take away e un caffè a Bergamo, perché la fuga dall’Iran ha messo fine anche alla prima vita e ha dato inizio a quella di cuoca, che rappresenta anche un po’ la sua personale lettura dello slogan Vita Donna Libertà: «Non volevo abbandonare il mio paese - comincia a raccontare Sheghi - ma la fine drammatica del movimento Onda verde (a giugno 2009 c'erano appena state le elezioni e il regime diede la vittoria al conservatore Ahmedinejad, tra molte contestazioni e accuse di brogli: iniziarono così le proteste dell'Onda verde, represse nel sangue, ndr), a cui ho partecipato attivamente, mi ha tolto ogni speranza.

Non avevo pensato all'Italia, la mia destinazione doveva essere il Canada, ma le restrizioni nei confronti dell’Iran resero particolarmente difficili gli espatri e ripiegai su Milano con la “scusa” di un corso di perfezionamento in Finance management». L’ex manager parla di escamotage perché all’epoca, come ancora oggi, il modo più semplice per lasciare l’Iran è studiare all’estero.

A quasi trent’anni è più difficile lasciarsi tutto alle spalle ma a Teheran era rimasto solo un fratello, mentre genitori, sorelle, parenti e amici erano andati tutti via.

Le ricette persiane come atto di testimonianza e di impegno

Tredici anni vissuti tra Milano, Torino e Bergamo tutto sommato tranquilli, con un marito e un bimbo di tre anni e, forse, anche con un egoistico distacco da ogni notizia che arrivava da casa. Almeno fino al 16 settembre scorso quando Masha Amini, 22 anni, muore dopo tre giorni di coma a Teheran. "Infarto”, dicono i documenti ufficiali, ma la famiglia e gli amici non hanno dubbi: la ragazza è morta dopo essere stata arrestata e picchiata dalla polizia morale iraniana. Masha è stata punita e poi uccisa per aver indossato non correttamente l’hijab, il velo che copre il capo delle donne.

Le proteste scatenatesi dopo l’omicidio e la mano pesante del regime sui manifestanti hanno risvegliato la rabbia e l’attivismo di Sheghi anche a distanza di oltre quattromila chilometri. Diventa il punto di riferimento a Bergamo per chi vuole conoscere cosa accade nella repubblica islamica, organizza manifestazioni, coordina gruppi Telegram nazionali e internazionali, partecipa a flash mob in Italia e all’estero. Taglia i suoi capelli e i capelli dei manifestanti in piazza, a distanza di pochi giorni dall’assassino di Masha, scrive di Iran sulle pagine dell’Eco di Bergamo.

“Colleziona” anche diverse minacce su Whatsapp dove anonimi esponenti filogovernativi la invitano a non esagerare nel dissenso (mi traduce le frasi di ritorsione nei confronti della sua famiglia). «Ho capito subito che la mia vita sarebbe cambiata di nuovo - continua la cuoca - e da quattro mesi cerco di dividermi tra l’attività politica e i locali». Così anche la cucina diventa un atto di testimonianza e di impegno.

Ogni venerdì sera a Il Coccio - la piccola trattoria che fa soprattutto asporto ma dove ci sono anche quattro tavoli - c’è la serata persiana con le ricette della memoria: «Molto credono che l’Iran sia un paese arabo e si aspettano una cucina speziata e piccante. Spiego loro invece che la nostra lingua è di origine indoeuropea, che la nostra religione prende ispirazione dal culto persiano di Zarathustra, nato più di tremila anni fa, e che prevede uguaglianza tra uomini e donne. I nostri piatti sono l’emblema della gentilezza, a base di acqua di rose, pistacchio, melograno, nocciole, zafferano, prevedono lunghe cotture, vogliono tavole grandi e condivise».

Poesie e cibi di amore e libertà contro l'oscurantismo degli Ayatollah

Andiamo a prenderci un caffè da Papavero, l’altro locale che porta il suo nome - Sheghi infatti vuol dire papavero - ed è una sala che racconta molto di quanto sta accadendo in Iran: manifesti, petizioni, spille, frasi in antica lingua persiana.

Su una mensola c’è il Divān (canzoniere) del poeta Hafez, «Il più grande poeta iraniano che sia mai esistito - spiega Sheghi - tant’è che in Iran non c’è casa dove non sia presente un suo libro». I suoi versi - ghazal - si leggono per tutta la notte del 21 dicembre in occasione della Yalda, la festa del solstizio d’inverno. I nonni leggono poesie ai nipoti e intanto mangiano semi tostati di zucca, frutta secca e frutta fresca: «È il modo di superare insieme l’oscurità, ecco perché anche a Bergamo ci tengo che si festeggi.

La gente usa i ghazal come oracolo, aprendo il libro a caso per leggerne due versi alla volta e avere una risposta, ma la cosa più interessante è che i temi principali sono l’amore, la celebrazione del vino e dell’ubriachezza, la messa a nudo dell’ipocrisia di coloro che si auto-definiscono guardiani, giudici ed esempi di rettitudine morale. Tutti argomenti banditi dai nostri regimi teocratici».

Cibo e poesia, quindi, come ulteriori strumenti per portare avanti le proteste, anche fuori dai confini iraniani. Così sarà anche per il Nowrouz, il Capodanno iraniano che si festeggia il 21 marzo, altra festa pre-islamica, che porta in tavola ancora più cibo: «Devono esserci sette elementi i cui nomi iniziano con la sin ('esse') in persiano. Ognuno di questi rappresenta qualcosa: così il sabzeh - lenticchie, orzo o frumento, germogliati - simboleggiano la rinascita, il senjed - frutti secchi di oleastro - è legato all’amore, ma anche il somaq - bacche di Sommacco - che rappresenta l'asprezza della vita».

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