Copernicus, il programma di osservazione satellitare dell’Unione europea, ha fotografato il fiume Po in una situazione di grave siccità. La zona del fiume ripresa da uno dei satelliti Sentinel 2 si trova nei pressi di Cremona ed è stata fotografata venerdì. Le parti bianche sono le secche del fiume, osservate in questi giorni, in cui il livello dell’acqua si è abbassato in modo consistente, in alcuni punti, come come non avveniva da 16 anni.
Secondo l’osservatorio dell’Anbi, l’Associazione nazionale dei consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue, citato anche da Copernicus, a Cremona si è registrato un livello dell’acqua di quasi 7 metri al di sotto del valore medio di questo periodo dell'anno. 

La mancanza della neve in montagna

Ma cosa sta succedendo nel Nord Italia? Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia ha spiegato a Domani che quest’anno indubbiamente il livello dell’acqua del Po  è «davvero molto preoccupante». Però, c’è da dire che «se d’inverno non piove molto, è normale che la portata dell’acqua dei fiumi» diminuisca. In generale «dicembre e gennaio non sono dei mesi molto piovosi al nord», però sono mesi nevosi. Quest’inverno, oltre alla pioggia, è mancata anche la neve e sulle montagne non si è potuta accumulare quella riserva d’acqua, sotto forma di ghiaccio, che poi con il disgelo va a confluire nei fiumi e nei laghi, creando riserve d’acqua per le irrigazioni.

«Il problema non è che non è piovuto –  sottolinea Di Simine – ma che mancano le riserve: quelle lacustri, quelle idroelettriche, cioè le acque contenute nelle dighe, e quelle nivali. È l’assenza della neve in montagna il grande problema».

La scarsità delle riserve idriche

Secondo gli ultimi dati di Arpa Lombardia, al 30 gennaio 2022, nella regione si sarebbero dovuti avere a disposizione oltre tre miliardi di metri cubi di riserve idriche complessive, stando alla media osservata dal 2006 ad ora. Invece, i metri cubi di riserve d’acqua attualmente disponibili sono meno di un miliardo e mezzo. In particolare, quelle di neve sarebbero dovute ammontare a quasi due miliardi di metri cubi, mentre sono meno di seicento milioni.

Il mancato accumulo di neve in montagna è una conseguenza del surriscaldamento climatico. A causa dell’aumento della temperatura, non solo il giaccio delle Alpi si scioglie, ma non nevica e non si rinnova la riserva di ghiaccio sui monti. La riduzione dei ghiacciai si riverbera poi sulla portata di fiumi e laghi, con la conseguenza che diminuisce anche l’acqua accumulata nei bacini idroelettrici, da cui normalmente, durante la stagione irrigua, viene prelevata l’acqua per l’agricoltura.

IL DATO STATISTICO INGANNEVOLE DELLE PRECIPITAZIONI

«Se non c’è neve in montagna è poi difficile avere acqua per irrigare», sintetizza Lorenzo Bazzana, il responsabile economico nazionale di Coldiretti. «È chiaro che prima o poi pioverà, grosso modo le precipitazioni sono sempre le stesse. Il problema è come sono distribuite». Bazzana evidenzia che statisticamente a livello nazionale le precipitazioni risultano mediamente stabili su base annua. Tuttavia, quelle statistiche comprendono anche le piogge torrenziali, come quelle che si sono avute in Sicilia, che fanno da contrappeso quantitativo alla siccità sofferta dalle regioni del nord.

Il dramma per i coltivatori

Oltre alle scarse precipitazioni, c’è il poi problema delle alte temperature. Nel mese di gennaio in Lombardia si si sono toccate punte di temperatura massima tra i 18 e i 20 gradi. Questo crea una ulteriore difficoltà per le coltivazioni, perché porta le piante, spiega Bazzana, a «una forte traspirazione che non trova compensazione nell’acqua del terreno» non irrigato dalla pioggia.

Tutto questo comporta, per gli agricoltori che, «nel migliore dei casi, chi ha possibilità di irrigare con pozzi, può intervenire con l’irrigazione di soccorso; mentre, nel peggiore dei casi, può esserci la situazione in cui la pianta secca, e si è costretti ad arare tutto», con una perdita totale delle colture.

L’IRRIGAZIONE DI SOCCORSO

L’irrigazione di soccorso è quella a cui si ricorre utilizzando l’acqua dei pozzi oppure l’acqua proveniente dai canali del consorzio di irrigazione. In entrambi i casi si tratta di sistemi di riserve d’acqua cui normalmente si attinge nella stagione calda. Pertanto anche essere costretti ad anticiparne l’uso diventa un problema per le aziende. Soprattutto in vista del fatto che anche i pozzi, di cui non tutti dispongono, risentiranno della siccità complessiva.

Se infatti non piove quelli che raccolgono acqua piovana non si riempiono, ugualmente quelli che tirano su l’acqua dalla falda si troveranno in una condizione di penuria di riserva acquifera. A ciò è poi da aggiungere il costo del gasolio per attivare questi pozzi, che con il caro dell’energia di questi periodi, diventa un’ulteriore spesa da sostenere in una stagione in cui non sarebbe stato previsto. «Quindi si rischia di produrre di meno e con un aggravio dei costi».

Il problema delle piogge torrenziali e del gelo

Un altro problema per i coltivatori è quello di trovarsi a fronteggiare il fenomeno della concentrazione di forti piogge che spesso si verificano quando non piove per molto tempo e poi in pochi giorni si realizza un eccesso di precipitazioni, tale da annegare le piante, che muoiono «per asfissia radicale», spiega ancora Bazzana.

Si spera nel meteo delle prossime settimane. E si spera anche che non avvenga come l’anno scorso, «quando il 7 aprile, un irrigidimento climatico di meno 6 gradi nel bel mezzo della primavera, gelò i fiori delle pere, facendo precipitare del 70 per cento la produzione» di questo frutto.

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