Cosa è successo davvero tra l’istituto di ricerca Spallanzani di Roma, centro di eccellenza sulle malattie infettive, e la Russia di Vladimir Putin? Perché l’Italia, ai tempi dei governi Conte, si è prestata a una operazione di politica sanitaria e propaganda gestita direttamente dal Cremlino? Quali interessi c’erano in gioco? Nell’inchiesta di Andrea Casadio ecco finalmente le risposte.


AlI’Istituto Spallanzani sono successe cose strane. Tutti si aspettavano che gli alti dirigenti e il team di scienziati che avevano isolato il coronavirus per primi in Europa venissero in qualche modo premiati, per l’enorme contributo che hanno dato alla ricerca scientifica. E invece no.

A febbraio 2021, quando è ancora in carica il governo Cinque stelle-Pd, e pochi giorni prima che Mario Draghi giuri come nuovo primo ministro, il direttore generale dello Spallanzani Marta Branca viene trasferita ad altro incarico, e come facente funzioni viene nominato il professor Francesco Vaia.

Il manager sanitario ha una lunga carriera alle spalle, ma un curriculum scientifico molto esile, specie se paragonato a quello di altri illustri scienziati dell’Istituto. Ha pubblicato solo quattro articoli scientifici minori, il più rilevante dei quali intitolato: “Efficacia dei dispositivi anti-risucchio nella prevenzione della contaminazione batterica delle linee d’acqua delle unità dentarie”.

L’ascesa di Vaia

In pratica, ha studiato come evitare che i batteri presenti nella nostra bocca vengano risucchiati dal trapano del dentista contaminando poi lo sciacquetto. Nella sua carriera di manager, poi, c’è qualche ombra.

Tra il 1991 e il 1993, quando riveste incarichi di rilievo nella sanità a Napoli, viene coinvolto in una storia di appalti e tangenti. Parla con i magistrati, le sue deposizioni vengono utilizzate dall'accusa nel processo che scaturisce da quelle indagini, e anche lui subisce una condanna: patteggia e, tra ipotesi di associazione per delinquere e corruzione, alla fine chiude la partita con una pena complessiva a un anno e sette mesi di reclusione e 1,2 milioni di lire di multa.

Ciononostante, Vaia riesce a proseguire la sua carriera nella pubblica amministrazione, e in seguito colleziona incarichi nelle strutture sanitarie e nelle Asl romane.

Anche nel Lazio però, il professore ha guai con la giustizia. Il professor Vaia viene coinvolto nel cosiddetto caso di Lady Asl, un ampio sistema corruttivo con al centro l’imprenditrice Anna Iannuzzi, a cui poi sono confiscati beni per 20 milioni di euro. La Iannuzzi accusa Vaia di aver chiesto pesanti tangenti per farle ottenere l’autorizzazione per una clinica, e per questo contro il professore viene spiccato anche un ordine di arresto.

Vaia si dà alla latitanza, poi si costituisce ai carabinieri e nega ogni accusa. L’attuale assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D'Amato, scrive un libro sulla vicenda: “Lady Asl la casta della sanità, fatti e misfatti”, nel quale lancia pesanti accuse proprio contro Vaia che, come direttore dell’Asl Roma C, viene poi rinviato a giudizio, e affronta un processo che finisce con un proscioglimento.

Sempre come manager della Asl Roma C, Vaia è condannato dalla Corte dei conti a risarcire l’Azienda sanitaria «per la condotta dolosa tenuta in occasione dello svolgimento del concorso interno a 12 posti di dirigente amministrativo».

Ancora una volta, Vaia riesce a risorgere, ed è nominato prima direttore del Policlinico Umberto I e poi dell’Ifo San Gallicano, dal quale si mette in aspettativa per diventare il direttore generale facente funzioni dell’Istituto Spallanzani.

Il parere tecnico

Il professor Vaia, appena nominato a capo dell’Istituto Spallanzani, che cosa fa? Il 17 febbraio 2021, il Gruppo di lavoro sperimentazione vaccini e terapie innovative dell’Istituto, guidato dal professor Vaia, redige un “Parere tecnico scientifico sul vaccino Sputnik V”.

Il giudizio finale è questo: «Nel complesso le analisi hanno dimostrato che la somministrazione di Sputnik V è seguita da un’ottima risposta immunitaria sia umorale che cellulare. I dati disponibili depongono per un ottimo profilo di sicurezza a breve termine. In base a tali considerazioni si ritiene che il vaccino Sputnik V possa avere un ruolo importante nei programmi vaccinali contro Sars-CoV-2». 

Firmato: dott. Andrea Antinori, dott. Enrico Girardi, dott. Simone Lanini, dott. Emanuele Nicastri, e dott. Francesco Vaia, direttore Sanitario Inmi Lazzaro Spallanzani. Insomma, per loro il vaccino Sputnik è il più bello che c’è.

Pochi giorni dopo, l’8 marzo 2021, viene dato un annuncio: il vaccino Sputnik V sarà prodotto anche in Italia. Il Fondo russo di investimento diretto (Rdif), che commercializza lo Sputnik, ha concluso un accordo con l’azienda svizzera Adienne Pharma & Biotech, «che produrrà 10 milioni di dosi del vaccino russo nel suo stabilimento di Caponago, vicino a Monza, a partire da giugno-luglio», afferma il presidente della Adienne Antonio Di Naro.

Il numero uno di Rdif, Kirill Dmitriev, aggiunge che «molte regioni italiane vogliono realizzare il farmaco, che verrà prodotto in decine di milioni di dosi».

L’intesa è stata promossa dalla Camera di commercio italo-russa, che scrive sul proprio sito, «con lo scopo di contribuire allo sviluppo della collaborazione economica, commerciale, tecnica, giuridica, scientifica e culturale tra l’Italia e la Federazione russa» e «con il supporto dell’ambasciata italiana a Mosca», ha promosso «incontri tra imprese italiane ed europee con le controparti istituzionali russe per verificare le opportunità in termini di cooperazione relative alla produzione del vaccino Sputnik V in Italia.

Il processo produttivo innovativo del vaccino russo Sputnik aiuterà a creare nuovi posti di lavoro e permetterà all’Italia di controllare l’intero processo di produzione del preparato. Questo permetterà la produzione di 10 milioni di dosi entro la fine dell’anno». Tradotto: montagne di euro di guadagni.

Il governatore della regione Lombardia Attilio Fontana, della Lega, esulta: «Una notizia positiva!! Il vaccino Sputnik V avrà un polo produttivo anche in Lombardia». Ma la regione Lombardia in una nota prende subito le distanze, sottolineando «la propria estraneità rispetto all’accordo citato, di cui è venuta a conoscenza solo in via indiretta tramite i media. Tale accordo risulta infatti esclusivamente di profilo di diritto privato tra i contraenti».

Il vaccino Sputnik V

Intanto, il professor Vaia e l’assessore alla Sanità D’Amato premono affinché il vaccino Sputnik V venga prodotto anche nel Lazio. Il 23 marzo 2021 si tiene una videoconferenza, organizzata dal Forum di dialogo italo russo, alla quale partecipano D’Amato, medici dell’Istituto Spallanzani, il direttore Vaia, medici dell’Istituto Gamaleya di Mosca, la responsabile Salute del Fondo russo di investimento diretto Nina Kandelaki e diplomatici dell’ambasciata russa in Italia.

Al termine, D’Amato afferma: «Ho chiesto ai ministri degli Affari regionali e della Salute Mariastella Gelmini e Roberto Speranza di valutare la possibilità di produrre anche in Italia il vaccino russo Sputnik V su cui si è avviata la rolling review di Ema, e comunque di valutare la possibilità di opzionare il vaccino per farsi trovare pronti dopo l’eventuale via libera di Ema e di Aifa» che, dice, dovrebbe arrivare entro pochi giorni.

Non arriverà mai. La regione Lazio si dichiara disposta a comperare un milione di dosi di Sputnik V. Che non verranno mai comprate.

Pochi giorni dopo, ad aprile 2021, alcuni degli scienziati dello Spallanzani, tra i quali Giuseppe Ippolito e Maria Capobianchi, del gruppo che aveva isolato per primo il coronavirus, e che stavano collaborando con l’azienda ReiThera per sviluppare un vaccino contro il Covid, pubblicano online un articolo dal titolo: “Grad-Cov2, un vaccino contro il Covid-19 basato sull’adenovirus del gorilla, è sicuro e immunogenico in adulti giovani e anziani”.

Lo studio dimostra che il vaccino ha un’efficacia superiore al 90 per cento nel proteggere contro la malattia ed è sicuro, ma nessuno presta troppa attenzione alle loro ricerche.

A marzo, ReiThera inizia poi uno studio clinico di fase 2, su più di 900 volontari. I risultati preliminari sono molto incoraggianti. Ma a maggio, mentre lo studio di fase 2 è in corso, la Corte dei conti respinge un precedente accordo tra il ministero dello Sviluppo economico italiano, l’agenzia statale di investimenti Invitalia e ReiThera, secondo il quale l’azienda avrebbe dovuto ricevere 49 milioni di euro per gli studi clinici di fase avanzata e per espandere la sua capacità produttiva. E la storia del vaccino ReiThera finisce lì.

Italiani vs russi

È come se l’istituto Spallanzani fosse spaccato in due: metà dell’istituto spinge per sviluppare un vaccino autonomo italiano, e metà parteggia per i russi. Quali delle due fazioni sia destinata a prevalere è subito chiaro.

In quei giorni di aprile 2021, inizia un lento esodo dall’Istituto Spallanzani. Il professor Giuseppe Ippolito, direttore scientifico, lascia per guidare il Dipartimento della ricerca scientifica al ministero della Salute, la professoressa Maria Rosaria Capobianchi, la prima scienziata a isolare il virus in Europa, va in pensione in anticipo. Con lei, l’infettivologo Nicola Petrosillo. Altri ricercatori e alti dirigenti dell’Istituto abbandonano i loro posti.

«Quanto ha influito la vicenda Sputnik sulla nomina di Vaia allo Spallanzani?», chiedo a un alto scienziato coinvolto in questa vicenda che preferisce restare anonimo.

«Moltissimo».

«Cioè, hanno fatto fuori quelli bravi che avevano isolato il virus e non avrebbero mai regalato il virus e il vaccino ai russi per mettere al loro posto persone, diciamo così, più disponibili?»

«Mi sa di sì».

Il memorandum d’intesa

Insomma, anche se il vaccino Sputnik è avvolto dai dubbi, il 13 aprile 2021 l’assessore D’Amato e il direttore Vaia incontrano a Roma il direttore dell’Istituto Gamalyeva Alexander Gintsburg e il direttore del Fondo sovrano russo Rdif Kirill Dmitriev.

Firmano un memorandum di intesa: in base all’accordo, gli scienziati dell’Istituto Spallanzani dovranno studiare l’efficacia dello Sputnik V sulle varianti del coronavirus e poi, dopo l’autorizzazione al commercio dell’Aifa, dovranno avviare una sperimentazione iniettando Sputnik a 600 volontari che abbiano ricevuto una prima dose di vaccino AstraZeneca.

In quel memorandum ci sono molte cose che non tornano: perché un istituto italiano si dovrebbe occupare della sperimentazione di un vaccino prodotto da uno stato estero come la Russia? Chi ci guadagnava? Qualcuno avrebbe ottenuto qualcosa in cambio? Perché non favorire il vaccino italiano?

Inoltre, nessuna delle grandi agenzie di autorizzazione del farmaco, come la Fda americana o l’Ema europea, aveva autorizzato l’utilizzo del vaccino Sputnik V, dato che l’Istituto Gamaleya che l’aveva prodotto non aveva mai fornito i documenti completi sulla sua sperimentazione, avvolta nella nebbia.

Eppure, nel memorandum si dava per scontato che il vaccino Sputnik sarebbe stato approvato dall’Aifa italiana. Come mai? A tutt’oggi, l’Aifa non ha ancora approvato il vaccino russo.

Le scienziate russe

Nonostante i sospetti, la collaborazione tra l’Istituto Spallanzani di Roma e l’Istituto Gamaleya di Mosca va avanti come se nulla fosse per molti mesi.

Scienziati dell’Istituto Gamaleya hanno continuato a lavorare indisturbati allo Spallanzani fino all’altro ieri. Nei laboratori romani, tre ricercatrici russe del Gamaleya, dall’estate fino a ottobre 2021, hanno condotto esperimenti per testare se gli anticorpi ottenuti dal sangue di persone vaccinate col vaccino Sputnik V riuscissero a neutralizzare anche i nuovi ceppi virali Delta e Alfa in coltura.

Cioè, quelle tre scienziate erano giornalmente in contatto con le preziosissime linee virali in coltura che sono fondamentali per la sperimentazione di qualsiasi vaccino. A ottobre 2021 quelle tre donne sono ritornate in Russia, e di loro non si è saputo più nulla. Forse perché hanno portato con sé in patria le preziose colture cellulari con le nuove linee virali delle varianti Delta e Alfa isolate allo Spallanzani?

«Lo ritengo molto probabile», mi confessa la mia fonte.

Non lo sapremo mai. Perché al loro posto allo Spallanzani sono arrivate altre tre scienziate russe provenienti da San Pietroburgo, che hanno iniziato a testare se il vaccino Sputnik riuscisse a neutralizzare il virus della nuova variante Omicron, che nel frattempo aveva iniziato a diffondersi nel mondo, sempre coltivato sulle preziose linee cellulari dell’Istituto.

Insomma, ogni volta che c’è da testare se il vaccino Sputnik funziona su una nuova variante del coronavirus, gli scienziati russi per fare i test vengono qui da noi, allo Spallanzani. Strano.

Lo studio

In ogni caso, il progetto di collaborazione tra l’Istituto Spallanzani di Roma e il Gamaleya di Mosca è proseguito, ma ha dato frutti discutibili. Il 20 gennaio 2022 scorso, un gruppo congiunto di scienziati dell’Istituto Spallanzani, guidati dal professor Vaia, e dell’Istituto Gamalyeva, guidati dal professor Gintsburg, ha pubblicato online un preprint, cioè un articolo non ancora approvato e vagliato da altri esperti, intitolato “Mantenimento della risposta neutralizzante contro la variante Omicron in individui vaccinati con Sputnik V”.

Lo Spallanzani ha cantato vittoria, definendo i dati «estremamente incoraggianti per definire nuove strategie vaccinali in rapporto all’evoluzione delle varianti del Covid».  In pratica, si sono fatti i complimenti da soli. E il presidente Putin ha commentato raggiante: «La studio comparativo congiunto Russia-Italia sui vaccini condotto all’Istituto Spallanzani ha dimostrato che il vaccino russo Sputnik è il migliore di tutti nel neutralizzare Omicron». Pura propaganda, perché lo studio non dimostra affatto quel che dice Putin.

Gli scienziati italiani e russi sostengono che «due dosi di vaccino Sputnik inducono titoli di anticorpi neutralizzanti del virus contro la variante Omicron più di due volte superiori rispetto a due dosi di vaccino Pfizer». Però, i dati descritti nello studio non solo non supportano quel che gli scienziati hanno scritto, ma sono privi di significato proprio per come esso è stato condotto.

Gli scienziati volevano misurare come gli anticorpi circolanti indotti dai vaccini diminuiscano col tempo. Per Sputnik V, hanno preso due gruppi, comprendenti il primo 15 individui vaccinati al massimo da tre mesi, e il secondo 16 individui che hanno ricevuto la seconda dose da tre a sei mesi prima.

Per Pfizer, hanno preso 17 individui e hanno misurato i loro anticorpi nel giorno in cui hanno ricevuto la seconda dose, poi tre e sei mesi dopo. Infine, hanno confrontato i livelli di anticorpi in chi era stato vaccinato con Sputnik da tre a sei mesi prima con quelli di chi era stato vaccinato con Pfizer da sei mesi: ovviamente, i vaccinati Sputnik, molti dei quali erano vaccinati da meno di sei mesi, avevano in media livelli di anticorpi più alti di chi era vaccinato da sei mesi, perché gli anticorpi diminuiscono col tempo. Il paragone non regge, e lo capisce anche un bambino.

Chi paga

E c’è anche un’altra questione. Sull’articolo si legge che la ricerca è stata finanziata dal fondo sovrano russo Rdif, che detiene i diritti sul vaccino. Invece, al direttore dello Spallanzani Vaia, coautore dello studio, è scappato di bocca che lo studio è stato interamente finanziato dallo stesso Spallanzani, ovvero dall’Italia. È vero? E se è vero, perché?

Alla fine, la guerra in Ucraina ha messo la parola fine alla collaborazione tra l’Istituto Spallanzani e il Gamaleya. Il 25 febbraio, neanche ventiquattr’ore dopo che Putin ha invaso l’Ucraina, l’assessore alla Sanità del Lazio D’Amato ha annunciato: «Sospendiamo la cooperazione per Sputnik perché la scienza deve essere al servizio della pace e non della guerra, come ha ricordato il papa». Probabilmente, aspettava solo una scusa per chiudere in fretta una vicenda vergognosa.

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