La Corte europea per i diritti umani dichiara l’Italia colpevole di aver violato l’Art.8 (ovvero il rispetto della vita privata e della dignità della persona, ndr) della Convenzione Europea dei diritti umani. La Corte europea di Strasburgo si riferisce a una sentenza della Corte di Firenze che ha assolto sei ragazzi che hanno stuprato una ragazza in base alla presunta non credibilità della vittima a causa di una valutazione moralistica della sua vita privata. A presentare il ricorso sono state le avvocate Sara Menichetti e Titti Carrano di D.i.Re, l’Associazione nazionale “Donne in Rete contro la violenza”.

Il caso

Nel maggio 2010 i sette indagati sono stati rinviati a giudizio davanti al Tribunale di Firenze, che ha condannato sei di loro, nel gennaio 2013, per aver indotto una ragazza in uno stato fisico e psicologico di debolezza e averla obbligata a compiere atti di natura sessuale. Il settimo imputato è stato assolto, in quanto le indagini hanno dimostrato che non aveva preso parte allo stupro.

I sei condannati hanno presentato ricorso. Nel marzo 2015 la Corte d'Appello di Firenze ha assolto i sei ricorrenti, considerando che le numerose incongruenze rilevate dal giudice di primo grado nel resoconto degli eventi della ricorrente ha minato la sua credibilità nella sua interezza. Le motivazioni portate dal Tribunale di Firenze sono ricche di quella che viene definitiva vittimizzazione secondaria, ovvero la colpevolizzazione di chi ha subito violenza fisica, con pesanti note di biasimo della sua bisessualità, della sua presunta condotta condotta sessuale e stile di vita. Questo è quanto si legge all’interno del documento ufficiale della Cedu, Judgment J.L. v. Italy - allegations of gang rape and acquittal of the presumed assailants.

Un atto inaccettabile per un tribunale che dovrebbe applicare la legge e difendere chi subisce un grave crimine. L’Italia si dimostra in tutta la sua arretratezza e debolezza innanzitutto culturale. Una cultura che persegue chi subisce un reato anziché chi lo commette, sminuendo pubblicamente e istituzionalmente lo stupro.

La vittimizzazione secondaria

La sentenza della Corte Europea per i Diritti Umani è particolarmente importante perché prende una posizione netta su un aspetto molto complesso della cultura dello stupro, che colpisce anche - e purtroppo - le istituzioni e le forze dell’ordine: la vittimizzazione secondaria.

Si tratta di quelle situazioni in cui le donne [si scrive donne e non persone poiché i numeri di violenza maschile sulle donne sono così elevati che indicano un problema sistemico, ndr] diventano vittima una seconda volta nei tribunali, nei percorsi legali e sanitari, nella rappresentazione dei media, nel contesto sociale perché colpevolizzate della violenza subita attraverso il giudizio delle scelte di vita. Quante volte si leggono le ricostruzioni circa l’abbigliamento di chi ha subito violenza? O giudizi sul percorso notturno intrapreso quando la persona è stata violentata? Note di biasimo sulla propria condotta morale, come se avesse qualcosa a che fare con il subire una gravissima violenza fisica?

I numeri della violenza maschile sulle donne aumentano ogni anno. Secondo l’ultimo report Istat, nel 2020 le chiamate al 1522 - il numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking - sono aumentate del 79,5 per cento rispetto al 2019, sia per telefono, sia via chat (+71 per cento). Tuttavia si tratta di numeri parziali, poiché è difficile che le donne denunciano le violenze subìte anche per paura di non essere credute, invalidate e non protette dalle istituzioni e corpi sociali. Insomma, in ragione della vittimizzazione secondaria che in Italia appare quanto mai radicata a livello culturale. Lo confermano le parole di Antonella Veltri, Presidente di D.i.Re: «La cultura dello stupro resiste in Italia insieme agli stereotipi e ai pregiudizi sessisti sul ruolo della donna che sono stigmatizzati dalla Corte di Strasburgo e che leggiamo nella sentenza del tribunale di Firenze, a conferma dell’arretratezza culturale del sistema giudiziario italiano».

La violenza di genere colpisce con più forza le donne bisessuali

Un elemento che sembra aver trovato poco spazio nel racconto della notizia è che nella sentenza della Corte di Firenze viene specificato che la donna che ha subito lo stupro fosse bisessuale. Tralasciando sulla gravità di un tale inciso circa l’orientamento sessuale della donna, questo elemento si ricollega innanzitutto alla fortissima bifobia che si vive in Italia.

Le persone bisessuali (chi è attratto dal proprio e dagli altri generi, ndr) vengono sistematicamente giudicate confuse, di facili costumi e inclini alla promiscuità. L’impatto della bifobia e delle discriminazioni sistematiche vissute dalle persone bisessuali si ripercuotono in ottica intersezionale sulla violenza di genere.

Le donne che si identificano come bisessuali che hanno subito violenza fisica, sessuale e stalking sono il 61 per cento, contro il 44 per cento delle donne che si identificano come lesbiche e il 35 per cento delle donne eterosessuali secondo il National Intimate Partner and Sexual Violence Survey, 2010 Summary Report. Il discrimine della bisessualità nelle percentuali di chi subisce violenza si verifica anche nel caso di uomini - sebbene con volumi di casistica inferiori - dove gli uomini bisessuali ad aver subito violenza sono il 37 per cento, rispetto al 29 per cento degli uomini eterosessuali.

Tutto questo in un periodo storico in cui in Italia viene minata l’importanza del ddl Zan per il contrasto dell’omolesbobitransfobia, misoginia e abilsmo. Eppure, drammaticamente, appare una legge di civiltà minima quantomai urgente in un paese dove anche un tribunale preposto alla difesa della giustizia colpevolizza una donna che è stata stuprata e la biasima inquanto bisessuale. Forse la nostra giustizia non contempla le donne e le persone Lgbt+.

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