Domenica sera il ministero della Difesa russo ha lanciato un ultimatum: la città di Mariupol avrebbe dovuto arrendersi entro le 5 di mattina o fare fronte ad un nuovo assalto. L’ultimatum è stato respinto dal sindaco e dal governo ucraino. I combattimenti proseguono anche in queste ore.

Catastrofe

La città di Mariupol è diventata il simbolo del disastro umanitario che ha colpito il paese. Prima della guerra, in città vivevano 430mila persone. Un terzo, forse di più, sono riusciti a fuggire prima che nei primi giorni di marzo l’esercito russo proveniente da ovest e i separatisti da est, chiudessero l’assedio sulla città.

Da allora, gli abitanti di Mariupol vivono senza elettricità, senza riscaldamento, senza acqua corrente, costretti a sciogliere la neve per avere qualcosa da bere e a saccheggiare negozi e case abbandonato per trovare da mangiare.

Dopo settimane di bombardamenti feroci e di combattimenti per le strade, il sindaco dice che l’80 per cento degli edifici è danneggiato e il 40 per cento non potrà essere riparato. Video e foto satellitari mostrano un livello di distruzione apocalittico, che ricorda le città devastate della Seconda guerra mondiale. Secondo le autorità locali, almeno 2.500 persone sono morte nei combattimenti, ma contarli tutti è impossibile. I corpi restano abbandonati per strada a causa dei continui bombardamenti. A decine sono stati sepolti in fosse comuni scavate in tutta fretta.

La resistenza

La difesa militare della città è in mano a due unità dell’esercito ucraino: una brigata della fanteria di marina e da un distaccamento del famigerato battaglione Azov, una formazione ultra nazionalista e accusata di apologia del nazismo. I comandanti di entrambe le unità hanno ricevuto venerdì scorso il titolo di eroi dell’Ucraina dal presidente Zelensky.

Dall’altro lato ci sono soldati regolari russi, soldati ceceni e le forze armate della repubblica separatista del Donbass. Questi ultimi combattono contro il battaglione Azov dal 2014 e si sono già scontrati a Mariupol, una città prima occupata dai separatisti e poi riconquistata proprio dagli uomini del battaglione, che da allora ha in città una delle sue principali basi militari e politiche.

I giornalisti

Lo scontro feroce strada per strada, i bombardamenti dei civili, compreso quello della corsia di maternità in un ospedale cittadini, sono stati raccontati per oltre tre settimane da due giornalisti dell’Associated Press, Mstyslav Chernov e Evgeniy Maloletka, gli unici rimasti in città dopo l’inizio dell’assedio. Chernov e Maloletka hanno lasciato la città il 15 marzo e ieri hanno raccontato in un articolo i loro ultimi giorni in città, tra ospedali devastati in cui le famiglie sono costrette a portare da sole i propri morti e le preghiere degli assediati di portare video o messaggi ai loro parenti in Ucraina.

I combattimenti non sembrano destinati a finire presto. Il leader separatista Denis Pushilin ha detto all’agenzia russa Interfax che la città è grande e ci vorrà una settimana prima di conquistarla tutta. Ora però non ci saranno più giornalisti internazionali in città a raccontare al mondo il prezzo di questa conquista.

 

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