Il loro problema è che sono due Noel e manca un Liam. E c’è sempre bisogno, in una coppia di fatto, di quello maledetto. Quello che entra nello spogliatoio dell’altro brandendo una chitarra (o una racchetta...) in preda ad una crisi più o meno psicotica e distrugge tutto il distruggibile forse perché furioso di non poter disporre del genio di cui madre natura ha dotato l’altro.

Carlos Alcaraz e Jannik Sinner, che oggi alle 17 si affronteranno nella finale di Wimbledon (prima per Jannik, terza di fila per Carlos) sono due Noel Gallagher, per restare nella Oasis-metafora. Ordinati in campo, rispettosi etc etc, due angioletti. Un ruolo, quello angelico, che per inciso sarebbe troppo avvicinare anche al meno violento dei fratelli di Manchester; ma che a ben vedere è troppo oneroso anche per i tennisti in questione.

Luciferini

Entrambi hanno un lato che sarebbe oggettivamente spropositato definire oscuro, ma meno luminoso di quanto appare agli umani. Ed è questa dark side a rendere la loro rivalità qualcosa di differente da quelle che l’hanno preceduta. Perché si potrebbe ben dire che se i fratelli Gallagher pure detestandosi giocano dalla stessa parte della barricata, i protagonisti della finale londinese sono sullo stesso campo ma divisi da una rete reale e uno deve prevalere sull’altro.

In realtà sono gli interpreti di uno stesso spartito: il numero 1 contro il numero 2 in lotta per il dominio del mondo, come Sean Connery e Klaus Maria Brandauer davanti a un videogioco nel più dimenticabile dei film della saga di Bond, Mai dire mai. Producono se non la stessa musica almeno gli stessi suoni.

Quella di oggi sarà la tredicesima data del loro world tour: per il momento del ruolo di frontman si fregia Carlos che ha vinto 8 dei precedenti 12 incontri. Ma la finale di Wimbledon è un atto unico, è un annuale Live Aid in cui chi vince può nemmeno troppo metaforicamente uscire sulla terrazza con un ermellino sulle spalle, una corona in testa e uno scettro in mano come Freddy Mercury in quella indimenticabile giornata di 40 anni fa fra Filadelfia e Wembley. Chi vince è ben più che un frontman della band, è il re.

Certo è complicato trovare un Liam Gallagher in chi al massimo potrebbe essere Simone Cristicchi in quanto a palese bontà. A un certo punto della sua semifinale Taylor Fritz si è chinato per raccogliere una farfallina che si era depositata giusta sulla linea di fondo. L’ha presa con delicatezza e l’ha spostata a fondo campo. Alzi la mano chi non ha pensato che se lo stesso gesto fosse stato compiuto da Sinner si sarebbe immediatamente parlato di santità incipiente e di radici francescane; e che qualcuno avrebbe nominato Jannik erede ideale di Alex Langer e delle sue battaglie per l’ambiente.

Tutto in linea, del resto, con ciò che Sinner era già da ragazzino. Racconta Danilo Pizzorno, il riconosciuto leader della videoanalisi del tennis maschile, uno che potrebbe raccontare per ore di come Nadal ha modificato il suo gioco a volo spiegando il senso di ogni singolo passo verso la rete: «Quando lavoravo con Jannik da Riccardo Piatti mi sono accorto che lui pensava al tennis dalla mattina alla sera, senza interrompersi. Capitava che la sera uscissimo dall’Accademia per andare a mangiare un gelato: lui camminando ripeteva a vuoto i gesti del dritto e del rovescio come se stesse interiorizzando i movimenti».

Ma c’è un coté di Jannik che non è funzionale a questa immagine virginale. Difficile capire se sono altri che lo creano o se qualcosa in lui lo induce. È lo Jannik che licenzia senza colpo ferire quegli stessi collaboratori che fino a poche ore prima postavano adoranti video buffi di palleggi con i piedi: Ferrara e Naldi prima (travolti dal caso Clostebol) e Panichi-Badio pochi giorni fa.

Questi ultimi (Panichi soprattutto) perché avrebbe parlato con i giornali (che Jannik non legge: male) rivelando che dopo la batosta di Parigi il ragazzo ha pianto nello spogliatoio.

Jannik che non va da Mattarella dopo aver vinto Melbourne perché deve riposare ma poi va a sciare a casa sua. Jannik che diventa il testimonial pubblicitario forse più presente di sempre. E poi cose apparentemente inspiegabili come l’articolo pubblicato qualche giorno fa dal Daily Mail dal il titolo: «Chi ama lo sport pulito non può che tifare Djokovic contro Sinner». Dando nuova linfa al caso Clostebol. È come se San Sinner dovesse fare i conti con una luna nera che lo insegue e che in qualche occasione è lui stesso a suscitare.

People from Ibiza

Per Carlitos è tutto più semplice. Il suo tallone d’Achille sarebbe una certa tendenza a non rispettare sempre la disciplina da atleta. Il che si traduce in serate in discoteca o locali che diventano nottate e magari in qualche allenamento saltato.

Una finestra su questa realtà l’ha aperta il suo connazionale Roberto Bautista Agut quando ha ricordato che non si può «arrivare e restare numero 1 se si va a letto alle sette del mattino».

Una considerazione che fa sorridere specie si ricordano gli esilaranti racconti che Dinara Safina, sorella di Marat (ora coach di Andrej Rublev) faceva delle innumerevoli occasioni in cui il fratello piombava a casa sua magari nel cuore della notte pregandola di aprire la porta a lui e non ad altri che lo stavano inseguendo per questioni su cui era meglio non approfondire.

Carlos è bravissimo nello scomparire dalla circolazione fra un torneo e l’altro, come se volesse crescere in santa pace. Non è circondato da aura di santità e nemmeno la cerca. Ma proprio dietro a questo chiarore potrebbe risiedere la sua zona oscura: che, si sa, sarà anche oscura ma non ama essere ignorata.

Prima che i due para-Gallagher scendano sul Centrale ci può interrogare se la chiave sarà il servizio di Jannik (se resterà sopra l’80% di prime palle in campo come contro Djokovic sarà lui il favorito), quanto peseranno le scorie della brutale finale di Parigi, se lo spagnolo sentirà nelle gambe e nella testa il fatto di poter conquistare il terzo titolo consecutivo ai Championship. Ma al momento dell’ingresso in campo buttate un occhio alle loro spalle: magari si faranno notare delle piccole ombre scure, anche solo per un attimo. Come sempre succede per gli umani, decidono da che parte debba pendere la bilancia. 

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