La decisione di sospendere la somministrazione di AstraZeneca a chi ha meno di 60 anni, comprese le seconde dosi, e il concomitante arrivo della variante Delta, più contagiosa e in grado di sfuggire con maggiore efficace alla protezione fornite dalla prima dose di vaccino, rappresentano le due principali sfide per la riuscita del piano vaccini.

Seconda dose eterologa

La decisione di sospendere le vaccinazioni con AstraZenca a chi ha meno di 60 anni è arrivata la settimana scorsa, dopo la scoperta di diversi casi di reazioni avverse al vaccino (una ragazza di 18 anni è morta in Liguria, gli accertamenti sulla correlazione con la vaccinazione sono ancora in corso).

Questo significa che Vaxzevria, il nome commerciale del vaccino prodotto da AstraZeneca, non potrà più essere somministrato ai più giovani, nemmeno a chi ha già ricevuto la prima dose. In questo caso, si riceverà una seconda vaccinazione “eterologa”, cioè con un vaccino a mRna, come Pfizer o Moderna.

Tra i paesi che hanno già autorizzato questo tipo di vaccinazione ci sono Germania, Francia, Finlandia, Svezia, Norvegia, Spagna, Danimarca e Canada.

In Germania, ad esempio, a chi ha ricevuto una prima dose di AstraZeneca viene destinato il vaccino Pfizer o Moderna. I pazienti possono comunque chiedere di ricevere una seconda dose di AstraZeneca, dopo un colloquio sui rischi del vaccino con il proprio medico. Lo stesso accade in Spagna.

Pro e contro

Non esistono studi su larga scala degli effetti di una vaccinazione eterologa. Studi preliminari su alcune centinaia di pazienti in Germania, Regno Unito e Spagna. Il Comitato tecnico scientifico, nel parere in cui ha consigliato il ricorso alla vaccinazione eterologa, ne indica quattro, tutti svolti in Europa.

I risultati di questi studi indicano tutti che la risposta dell’organismo è buona, in alcuni casi persino migliore di una vaccinazione con due dosi dello stesso vaccino. Ulteriori ricerche andranno svolte per avere conferma di questi risultati.

Per ora, la scarsità di informazioni fa sì che al momento ci sia un atteggiamento ancora scettico su questa possibilità. L’Organizzazione mondiale della sanità, ad esempio, non raccomanda la vaccinazioni eterologa.

Il diverso atteggiamento di paesi e istituzioni internazionali potrebbe fare sì che in alcuni casi la vaccinazione eterologa non venga riconosciuta, causando problemi burocratici a chi ha ricevuto due dosi diverse di vaccino.

Il piano vaccini

L’altro problema che sta emergendo è cosa fare con le dosi di AstraZeneca rimanenti. Attualmente, in Italia abbiamo un milione di dosi di AstraZeneca non utilizzate e altri 26 milioni dovrebbero venire consegnati nei prossimi mesi.

Sembra difficile che la società rispetterà queste consegne, visti i continui problemi di produzione che ha avuto negli ultimi mesi. Ma è probabile che entro la fine dell’estate ci saranno altri milioni di dosi disponibili. Gli over 60 da vaccinare, però, sono ormai quasi terminati.

Se le dose resteranno inutilizzate, in tutto o in parte, mantenere l’obiettivo di vaccinare l’80 per cento degli italiani entro la fine dell’estate diventerà più complicato da raggiungere, ma non impossibile.
Per raggiungerlo bisognerà somministrare circa 40 milioni di dosi nei prossimi tre mesi (14 milioni di seconde dosi, il resto cicli di vaccinazione completi).

In questo periodo sono attese un numero di dosi di Pfizer e Moderna appena sufficiente a coprire il fabbisono: circa 45 milioni.

Un margine di sicurezza ulteriore potrebbe essere fornito da Johnson & Johnson (un altro vaccino a vettore virale come Vaxzevria e che è raccomandato solo per gli over 60 e di cui è sufficiente una dose per raggiungere l’immunizzazione), ma anche questa società ha avuto problemi nelle consegne e non è chiaro se per questo varranno le stesse limitazioni severe decise per AstraZeneca.

La variante Delta

Il blocco parziale di AstraZeneca e la necessità di concludere rapidamente la campagna vaccinale si incrociano con l’arrivo della variante Delta. Identificata per la prima volta in India lo scorso ottobre, ha iniziato a diffondersi in Europa a partire da gennaio, in particolare del Regno Unito, dove oggi è ritenuta responsabile di circa i tre quarti dei nuovi casi identificati.

Secondo i primi studi, la variante Delta è circa il 50 per cento più contagiosa della variante Alpha (la cosiddetta “inglese” che era a sua volta il 50 per cento più contagiosa del primo ceppo di coronavirus) e potrebbe comportare un rischio di ospedalizzazione fino al 100 per cento più alto.

Questa variante sembra anche capace di sfuggire almeno in parte ai vaccini. Come su tutte le sue caratteristiche, gli studi sono ancora preliminari e ci vorranno settimane o mesi prima di avere certezze, ma sembra sicuro già oggi che i vaccini sono almeno in parte meno efficaci nei confronti di Delta. 

In particolare, un ciclo completo di vaccinazione continua a garantire un elevato grado di protezione contro i rischi di ricovero e decesso. Al contrario, la prima dose, soprattutto quella dei vaccini a vettore virale, come AstraZeneca e Johnson & Johnson, garantisce una protezione piuttosto bassa.

La variante Delta causa ancora meno dell’un per cento dei nuovi casi di Covid-19 in Italia, stando all’ultimo rapporto dell’Iss. Ma la sua presenza nel paese, il fatto che nel Regno Unito sia rapidamente riuscita a diventare la variante dominante e la sua capacità di superare con maggiore facilità le difese garantite dalla prima dose di vaccino, rendono la somministrazione rapida delle secondo dosi particolarmente importante. Un obiettivo che ora è reso più complicato dai nuovi problemi a cui è andato incontro AstraZeneca.

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