Ieri, poco prima di pranzo, Cinzia Vacchieri, infermiera dell’Ospedale Mauriziano di Torino, ha ricevuto la milionesima dose del vaccino Pfizer-Biontech contro Covid-19 somministrata in Italia. Il traguardo è stato celebrato con toni altisonanti dal Commissario per l’emergenza Arcuri, ma occorre ricordare che per raggiungere l’immunità contro il virus sono necessarie due dosi del vaccino. Il milione di persone che ha ricevuto la prima iniezione dovrà, nel giro delle prossime settimane, ricevere anche la seconda. Questo è il protocollo approvato  dell’agenzia del farmaco europea e per cui gli studi clinici hanno dimostrato sicurezza ed efficacia.

La strategia britannica

Il 30 dicembre il Regno Unito,  sommerso dalla violenta diffusione della variante B117 (fra il 20 dicembre e il 10 gennaio a Londra sono stati ricoverati ogni giorno fra i 400 e i 900 pazienti con Covid-19, pari alla capienza di un ospedale medio-grande della capitale inglese), ha deciso di modificare questo protocollo e di ritardare il richiamo fino a 12 settimane, invece delle tre (o quattro nel caso di Moderna) settimane testate durante gli studi clinici. Pochi giorni dopo Pfizer/BioNTech ha avvertito le autorità sanitarie inglesi che non esistono prove scientifiche che dimostrino l’efficacia del protocollo che intendono adottare.

Nonostante questo, pochi giorni fa, anche il National Advisory Committee on Immunization canadese ha autorizzato a ritardare fino a sei settimane il richiamo del vaccino Pfizer/BioNTech. L’idea dietro questi cambi di strategia vaccinale è che la prima dose conferisca già un qualche grado di immunità, seppure ridotto rispetto allo stellare 95 per cento dimostrato nello studio clinico di fase 3, e che sia più efficace nel contenere il numero di contagi e di morti somministrarla al maggiore numero di persone possibile nel minor tempo possibile.

La verità è che i vaccini di Pfizer/BioNTech e di Moderna si basano su una tecnologia completamente nuova, quella dell’mRNA, e non sappiamo come funzionano. Al contrario sull’ipotesi di ritardare il richiamo del vaccino di AstraZeneca, che utilizza un adenovirus come vettore virale, ci sono basi scientifiche più solide che provengono da esperienze precedenti.

Problemi di approvvigionamento

A giustificare queste proposte poco ortodosse dal punto di vista scientifico ci sono anche i dubbi sull’approvvigionamento dei vaccini da parte delle società farmaceutiche. Dubbi rafforzati  venerdì, quando Pfizer ha fatto sapere che da domani taglierà del 30 per cento le consegne ai Paesi dell’Unione Europea, stante la necessità di modificare lo stabilimento di Puurus in Belgio per aumentarne la capacità di produzione. La dichiarazione ha suscitato le proteste dei governi nazionali che temono che la campagna vaccinale venga messa a rischio.

La presidente dalla Commissione Europea Ursula von der Leyen ha rassicurato i leader dei 27 paesi affermando che le consegne previste entro il primo trimestre saranno rispettate. La società farmaceutica ha emesso venerdì in tarda serata un nuovo comunicato precisando che il taglio alle consegne durerà solo una settimana e tornerà a regime dal 25 gennaio per poi aumentare dal 15 febbraio, proprio per rispettare gli accordi presi con l’Europa.

Le varianti

Ma il tema più preoccupante nella pagina odierna dell’agenda della pandemia sembra essere quello delle nuove varianti del virus che stanno emergendo nel mondo. Il 14 gennaio l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha convocato una riunione del Covid-19 Emergency Committee proprio per discutere delle varianti, lanciando un appello ai Paesi a sequenziare di più per poter quantificarne il grado di circolazione. Oltre alla variante B117, quella che sembra essere responsabile della situazione drammatica in Gran Bretagna e in Irlanda, spaventa la P1, identificata per la prima volta nella città brasiliana di Manaus e già trovata anche in Giappone in viaggiatori provenienti dal Brasile.

Il motivo della preoccupazione è che Manaus era stata duramente colpita dall’epidemia durante la prima ondata e  uno studio pubblicato pochi giorni fa sulla rivista Science quantifica che sia stato infettato il 75 per cento della popolazione. Eppure, gli ospedali della capitale dell’Amazzonia sono di nuovo pieni e le scorte di ossigeno esaurite. Le attività di sequenziamento sono ancora limitate e non si conosce la proporzione delle nuove infezioni che sono riconducibili alla P1, ma il timore che questa nuova versione del coronavirus sia in grado di infettare anche chi è guarito dalla malattia c’è.

Gli esperti però invitano a considerare la complessità della situazione. L’aumento nel numero di persone contagiate a Manaus potrebbe essere dovuta anche al fatto che la P1 è più trasmissibile, come la B117,  oppure al fatto che la popolazione sta rispettando meno le misure di distanziamento sociale. Non è possibile, per ora, capire quale di questi tre scenari sia quello vero ed è probabile che si stia verificando una combinazione dei tre, ha commentato il virologo della Oxford University Oliver Pybus, intervistato da Science, aggiungendo che è probabile che i vaccini contro Covid-19 dovranno essere aggiornati per includere le mutazioni delle nuove varianti più frequentemente di quello che si pensava.

Il fattore umano

A testimonianza che le varianti e i comportamenti possano rendere più tortuosa la strada delle vaccinazioni c’è il caso di Israele. Nel Paese, dove il venti per cento della popolazione ha già ricevuto la prima dose di vaccino, il numero di nuove infezioni è cresciuto a tal punto nelle ultime settimane da richiedere l’istituzione di un terzo stringente lockdown. La nuova recrudescenza dell’epidemia potrebbe essere dovuta alla diffusione della variante B117 che corre più veloce della campagna vaccinale, ma anche alla scarsa aderenza della popolazione alle misure di distanziamento, in particolare da parte delle comunità ultraortodosse che si sono finora rifiutate di chiudere le loro scuole e di evitare riunioni di massa.

L’importanza del distanziamento anche durante le campagne vaccinali è un tratto comune in tutti gli studi che nei mesi passati hanno cercato di individuare le strategie vaccinali più efficaci a ridurre al massimo il numero di vittime dell’epidemia: per osservare l’effetto dei vaccini il prima possibile è fondamentale continuare a indossare le mascherine e limitare al massimo i contatti per tutta la durata delle vaccinazioni.

Le prossime settimane potrebbero portare comunque buone notizie. Martedì l’Ema ha dichiarato che potrebbe approvare l’utilizzo del vaccino di AstraZeneca il 29 gennaio e mercoledì Johsnon&Johnson ha pubblicato sul New England Journal of Medicine i primi dati di efficacia del suo vaccino contro Covid-19 che sembrano mostrare un buon livello di anticorpi neutralizzanti il virus nel 90 per cento dei vaccinati già dopo la prima dose. L'azienda sta conducendo due studi di fase 3 per confrontare l'efficacia della singola dose con quella della doppia dose.

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