Si resta colpiti da come, a fronte di auspici veramente minimi e scontati, si porti come esempio deteriore l’insegnante che consegna compiti da fare a casa «sul registro elettronico in serata per l’indomani». L’esempio è talmente deteriore da non potere non rimandare a un modo di volere dire la scuola, di confermare sistematicamente e surrettiziamente stereotipi negativi sulla funzione docente
Ho letto la circolare del ministro Valditara sull’assegnazione delle verifiche in classe e dei compiti da svolgere a casa: per chi non l’avesse fatto, si tratta di un invito a evitare un carico eccessivo per gli studenti o a ricevere compiti all’ultimo minuto sul registro elettronico.
Parto dall’espressione iniziale del testo, «fermo restando», dopo la quale c’è scritta di fatto la prima evidenza, ma che pare opportuno rendere meno implicita rispetto alla funzione di semplice premessa di questa circolare: è vero, la definizione della didattica, delle attività di valutazione spetta alle scuole, ai collegi, ai dipartimenti, ai consigli, agli insegnanti e non al ministro, secondo quanto scritto anche nel regolamento dell’autonomia (Dpr 275/1999) in particolare all’articolo 4.
Da questo punto di vista, una circolare ministeriale che richiama a norme di evidente – ma anche di minimo – buonsenso, pare la raccomandazione un po’ paternalista di chi forse poco considera che se esiste un luogo dove la collegialità continua a essere sistemica nei processi, fosse anche dal punto di vista dei regolamenti, quello è proprio la scuola. Per quanto mi riguarda, penso ad esempio a quando, durante il mio dipartimento disciplinare di settembre, insieme, collegialmente e spesso con discussioni tra noi che rendono giustizia alla professionalità alta e silenziosa che c’è nelle nostre scuole, ci confrontiamo con attenzione anche sulle modalità di valutazione che intendiamo adottare durante l’anno scolastico.
In secondo luogo, si resta colpiti da come, a fronte di auspici veramente minimi e scontati, ovvero che ogni insegnante ponga attenzione alla gestione del registro elettronico (magari anche in condizioni di mancanza di strumentazioni, di reti obsolete, insomma nella quotidiana precarietà spesso rimossa delle nostre scuole), che si occupi con coscienza dell’organizzazione delle proprie attività di valutazione, quindi delle prassi quotidiane e fondative del proprio lavoro, si porti come esempio deteriore l’insegnante che consegna «sul registro elettronico in serata per l’indomani». In questo caso l’amarezza si fa più profonda. Anzitutto perché è evidente, ma è il meno, che da Ragusa a Bolzano, posto che avvengano storture di questo tipo (e certo che possono avvenire, in qualsiasi consesso c’è chi non fa bene il proprio lavoro), a fronte di una segnalazione da parte di studenti e nel democratico confronto dei consigli di classe, pratiche di questo tipo sarebbero naturalmente stigmatizzate, contenute dalla comunità scolastica, se necessario richiamate da qualsiasi dirigente che gestisca normalmente una scuola.
Ma soprattutto perché l’esempio è talmente deteriore da non potere non rimandare a un modo di volere dire la scuola, di confermare sistematicamente e surrettiziamente stereotipi negativi sulla funzione docente, che da una parte reiterano una narrazione facile e funesta, dall’altra affondano nell’irrilevanza la stragrande maggioranza di tutti coloro che invece continuano a fare funzionare con dignità e professionalità le nostre scuole.
La scuola vista da dentro
Infine, la circolare di Valditara mi fa pensare a quanto proprio oggi, sul corridoio, una tra le mie migliori ed esperte colleghe, vero punto di riferimento nel mio istituto, mi diceva: «È assurdo, io non trovo più letteralmente tempo per fare scuola». Si riferiva all’incredibile erosione del tempo scuola che chiunque faccia questo mestiere riscontra da qualche anno a questa parte. Sì, l’anno scolastico, il monte ore che ogni insegnante era abituato a gestire, è sistematicamente ridotto, tagliuzzato, saccheggiato da pacchetti orari di attività di ogni tipo, inserite nel tempo e dall’alto senza una logica condivisa: pacchetti orari di educazioni civiche e relative valutazioni, di orientamenti, di alternanze di ogni tipo, incentivazioni di profluvi di progetti che di fatto, oltre a togliere di continuo ore alle discipline, tra le naturali contingenze di un anno scolastico mettono di fatto alla prova le possibilità di gestione didattica perfino del più navigato e saggio tra i docenti, magari come la mia brava collega, magari finendo per costringere a calendarizzare quell’unica verifica proprio nel giorno meno opportuno.
Il punto quindi non pare tanto una circolare del ministro estemporanea, che per altro, vizio diffuso nei discorsi sulla scuola, mette insieme impropriamente situazioni diverse (veramente possiamo appiattire in poche righe di «raccomandazione» ciò che avviene con i bambini della primaria fino ai maggiorenni del quinto anno?); il punto non è nemmeno il richiamo alla responsabilità degli insegnanti su un aspetto specifico (ma tra i millanta possibili) e che, con contezza reale, mi verrebbe da dire al ministro è ben presente, fin oltre l’orario lavorativo, nei pensieri della maggioranza degli stessi, oltre che negli organi scolastici dove legittimamente se ne discute; e il punto forse non è nemmeno lo scoramento per cui, anche nelle sedi istituzionali, si scivola su un certo modo di dire, di rappresentare simbolicamente la scuola con lasciti dannosi per tutti.
Il punto è invece, per l’ennesima volta, la percezione continua della mancanza di una riflessione complessa sul sistema scolastico, a favore dei temi del momento, spesso di eco mediatica, ma che, per lo meno per chi vive quotidianamente la scuola da dentro, sembrano palliativi per tenere alla porta questioni di fondo ben più urgenti e decisive.
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