La giudice del tribunale di Caltanissetta Emanuela Carrabotta ha disposto l’arresto in carcere di G.M. per i reati di sequestro di persona e maltrattamenti nei confronti della compagna Rosa, nome di fantasia. Le carte dell’inchiesta tratteggiano il ritratto di un uomo manesco, brutale, recidivo e di una donna vittima che non è riuscita mai a denunciare il compagno nonostante le evidenze.

L’ordinanza di custodia cautelare richiesta dalla locale procura, guidata dal procuratore Salvatore De Luca, pm Vera Giordano, è un compendio delle atrocità che una donna può subire tra le mura domestiche, ormai diventate prigione, ma anche di reticenza e impunità. L’indagine giudiziaria scatta alla prima denuncia e quando la donna nega di aver subito violenze, gli inquirenti piazzano in casa telecamere e cimici per monitorare quanto accade nell’abitazione ed evitare un epilogo tragico.

Le foto e le conversazione trascritte raccontano ogni tipo di abuso: schiaffi, percosse, pugni e una violenza psicologica permanente con insulti ripetuti in modo ossessivo. Per l’uomo la compagna era anche un bancomat, grazie ai soldi di un’eredità, per alimentare il suo vizio principale: la droga.

Il primo processo

Nell’agosto 2019 G.M. finisce in carcere a Salerno dove momentaneamente vive la coppia per gli stessi reati: maltrattamenti e violenze contro la stessa compagna. Il carcere non lo cambia e non rappresenta un deterrente, continua imperterrito nelle sue azioni. «Sotto questo profilo, giova osservare come la spinta criminogena che informa l’agire del reo sia talmente forte che neppure la pregressa esperienza carceraria, conseguente ad analoghe condotte perpetrate ai danni della Lorito ha sortito un qualche effetto deterrente, anzi l’indagato appare sicuro di poter godere di una sostanziale patente di impunità», scrive la giudice.

La sua impunità deriva dalla certezza che Rosa non avrebbe mai rivelato le atrocità subite. L’uomo è ancora sotto processo per le violenze commesse quando era a Salerno, ma continua imperterrito la sua azione. Nelle pieghe del procedimento della procura campana erano stati sequestrati anche i conti e il patrimonio della persona offesa.

Una misura resasi necessaria per porre freno alle dipendenze da alcol ed evitare lo sperpero da parte del compagno dei soldi ricevuti dalla donna in eredità dal padre defunto. Una misura che ovviamente non cura le dipendenze e neanche è servita a evitare nuove violenze. Così lui continua come dimostrano gli atti dell’indagine che si origina nel novembre 2021 quando una segnalazione porta gli inquirenti a casa del carnefice.

Trovano sul letto immobilizzata Rosa che nega ogni violenza dicendo di essersi procurata la frattura alla caviglia cadendo da una sedia mentre si occupava di mettere in ordine l’abitazione. Il giorno dopo i finanzieri tornano sul posto, l’uomo non li fa inizialmente entrare dicendo che Rosa si trovava in ospedale. La circostanza risulta falsa e quando finalmente entrano in casa i militari trovano la donna con una gamba ingessata e un occhio tumefatto. «Ma perché voi credete che io sia vittima di violenza? No assolutamente no», dice la donna.

A questo punto vengono ascoltati i vicini di casa che confermano i sospetti e collocano le urla a partire dal marzo 2020 quando la coppia si era trasferita nella provincia nissena. La donna viene convocata in procura, ma rifiuta di andare e invia, tramite un legale, documentazione medica relativa alla presunta frattura. Alla fine la magistrata Giordano riesce ad ascoltare la vittima, a metà febbraio, con l’aiuto di una psicologa, ma la donna negando ogni colpa a carico del compagno arriva a dire che con lui intrattiene «un rapporto bellissimo».

«Nella consulenza tecnica redatta all’esito dell’audizione, la psicologa ravvisava nella donna i tipici tratti riconducibili alla sindrome della donna maltrattata e, in particolare, l’incapacità di divincolarsi dal legame di dipendenza emotiva dal partner», si legge nell’ordinanza. Da quel giorno il giudice autorizza le intercettazioni e le riprese all’interno dell’abitazione per dare fondamento probatorio ai sospetti. Un compendio di violenze che racconta sottomissione e orrore.

L’orrore in casa

Ci sono gli insulti rivolti alla vittima. «Stai zitta», «stai continuando a parlare mentre io ti dico zitta!», «mongola, inutile», «se tuo padre era vivo ti facevo sparare da lui direttamente, io e io sono capace!», «io t’ammazzo! Tu devi morire pazza!» e altri insulti irripetibili. Le trascrizioni e le immagini riportate sono di pugni, capelli strattonati, schiaffi, testate con la donna che implora in più occasioni al carnefice di fermarsi. «Basta, ti prego», «così vado all’ospedale», «sono due anni che mi meni», gli urla.

«Schiatta, ora ti ficco dentro la lavatrice, io ti ci mando all’ospedale», risponde lui mentre le tira i capelli. La donna non poteva uscire di casa, il compagno la chiudeva a chiavi in casa. «Non ci voglio stare qui! Poi mi sono rotta di stare stesa, di non uscire, di non vedere, è una prigione!», dice lei. «L’indagato ha quasi del tuo annientato la libertà di locomozione della vittima, trasformando la loro abitazione in una vera e propria prigione», scrive la giudice che dispone la misura cautelare.

«L’uomo ha ampiamente dimostra di essere del tutto privo di freni inibitori, lasciandosi andare a inconsuete reazioni violente, spesso e volentieri anche per l’abuso di sostanze alcoliche», si legge nella misura. Qualche giorno dopo l’arresto, la procura ascolta l’indagato che dice che era un periodo nero per spese di casa e si era sfogato malamente prima di negare ogni tipo di violenza dalle testate agli schiaffi fino al sequestro di persona.

Una storia che mette in fila non solo la violenza, la reticenza della vittima, ma anche un sistema di ausilio psicologico e di assistenza sociale che non funziona. Lo stato, nelle sue articolazioni istituzionali, conosce dal 2019 le angherie perpetrate dall’uomo, ma dispone unicamente un sequestro dei beni della donna e l’erogazione di una cifra di 3 mila euro al mese su un conto intestato anche all’uomo che ne sperperava per intero le risorse.

Arrivati nella città siciliana continuano le violenze a partire dal 2020 e si protraggono fino a poche settimane fa quando le intercettazioni confermano quanto la donna continuava a negare. I militari della guardia di finanza di Caltanissetta, coordinati dalla procura, hanno monitorato ogni momento per evitare un epilogo tragico che fortunatamente è stato scongiurato con l’arresto dell’uomo, violento e recidivo.

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