Dopo giorni di burrasca, il ministro della Giustizia Carlo Nordio si è adoperato per cercare di far tornare il sereno con la magistratura. La decisione ha avuto una regia di palazzo Chigi: la premier Giorgia Meloni, preoccupata per l’escalation degli ultimi giorni, avrebbe concertato con il suo guardasigilli una strategia per chiudere lo scontro.

Così, davanti al plenum straordinario del Csm, presieduto per l’occasione dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, Nordio ha scelto toni estremamente pacati e parole concilianti, per un intervento di quindici minuti da cui sono stati chirurgicamente espunti gli argomenti più divisivi: dalla separazione delle carriere al sorteggio per l’elezione del Csm fino alle intercettazioni.

Anzi, ha insistito sulla necessità di «leale collaborazione» e addirittura è stata avanzata la proposta di chiedere al Consiglio pareri aggiuntivi «sugli schemi di decreti legislativi e decreti ministeriali», visto che oggi l’attività legislativa ordinaria del parlamento è passata quasi in secondo piano rispetto all’iniziativa dell’esecutivo.

Alla fine del suo intervento, quello che ha parlato a palazzo dei Marescialli non sembra nemmeno lo stesso Nordio che, solo il giorno prima, dava ragione al collega Guido Crosetto sui rischi dell’«opposizione giudiziaria» e tuonava contro «gli atteggiamenti di alcuni magistrati», sostenendo che le «ferite aperte dallo scandalo Palamara non si sono mai rimarginate» e che «i sospetti sono rimasti».

Il dietrofront più significativo ha riguardato la riforma della separazione delle carriere, che il governo ha rimandato a dopo l’approvazione del premierato (dunque di almeno due anni) ma che in seguito alla polemica accesa da Crosetto è stata richiamata a gran voce soprattutto da Forza Italia. Nordio – che da editorialista ha sempre sostenuto la necessità della separazione ma che da ministro l’ha subordinata agli obiettivi più impellenti del governo – ha scelto di non citarla nella sua relazione, limitandosi ad approfondire i provvedimenti più recenti appena approvati. Poi, solo nella replica, ha detto che «se domani cambierà la Costituzione nella parte che riguarda la magistratura, mai e poi mai il pm sarà sottoposto all’esecutivo». Un «se» che è risuonato forte e chiaro nell’aula. Anche se, ha aggiunto, «in Francia, dove i pm dipendono dall’esecutivo, uno di loro ha chiesto il processo per il ministro della Giustizia. A dimostrazione che l’autonomia è una grande conquista istituzionale ma, prima di tutto, a guidare il magistrato è la sua legge morale».

Il Quirinale

La seduta, di un’ora precisa, si è svolta sotto l’occhio attento di Mattarella, il quale l’ha presieduta senza però intervenire nemmeno in apertura con qualche breve considerazione. Un silenzio, quello del Colle, che però è suonato tanto più eloquente davanti ai toni pacati utilizzati da Nordio.

Come sempre con le questioni che riguardano la giustizia – di cui il capo dello stato è terminale proprio in quanto presidente dell’organo di governo autonomo delle toghe – Mattarella ha seguito attentamente il dibattito e anche lo scontro tra Crosetto e l’Anm. Adombrare congiure antidemocratiche da parte delle toghe (oggi il ministro della Difesa riferirà in aula alla Camera rispondendo a una interpellanza urgente) non poteva passare inosservato al Quirinale, come anche l’intervento a sostegno del collega fatto dal ministro della Giustizia. Del resto, il caso Palamara richiamato da Nordio ha investito violentemente il precedente Csm, e Mattarella è stato protagonista nel gestire la situazione.

All’indomani dello scandalo il presidente era intervenuto per riparare l’organo dalla tempesta che gli si era abbattuta contro, e in tutti i suoi interventi successivi davanti alle toghe non ha mai mancato di richiamarle ai loro doveri costituzionali e deontologici dopo la crisi di fiducia provocata dal caso. Fonti del Quirinale escludono che il Colle abbia esercitato una moral suasion nei confronti del ministro della Giustizia per ispirare un abbassamento dei toni, tuttavia la nuova posizione dialogante del ministro non può che essere accolta in modo positivo.

Il dibattito

Durante il plenum, gli interventi dei consiglieri hanno però evidenziato quali e quante siano le frizioni tra giustizia e politica: in particolare, la volontà dell’esecutivo di imporre alla magistratura un’interpretazione quanto più letterale possibile della legge, all’indomani del caso Apostolico. La togata di Magistratura democratica Domenica Miele ha sottolineato come «il principio di soggezione solo alla legge impone di adottare provvedimenti senza cedere a interessi o a opinioni dominanti. La tutela delle persone, infatti, vale anche nei confronti dei poteri pubblici, anche quando sostenuti dalla forza del consenso», e Tullio Morello di Area ha aggiunto che «stanno arrivando moniti costanti perché l’interpretazione della legge sia letterale, ma non possiamo dimenticare come a quel canone si aggiungono l’interpretazione sistematica e teleologica, nella complicatezza di un ordinamento multilivello».

Plauso al ministro invece è arrivato da Paola D’Ovidio, dei conservatori di Magistratura indipendente, che ha sostenuto che «per aumentare l’efficienza bisogna investire sulla specializzazione dei magistrati». A riprova di come il Csm veda una presenza attiva molto forte da parte dei laici di centrodestra, da loro sono arrivati i due interventi più politici. Enrico Aimi di FI ha detto che «il magistrato non può stravolgere le leggi o creare nuovi diritti, indossando i panni di avanguardia militante dei propri ideali», e ha chiesto al ministro di «non procrastinare più la separazione delle carriere».

Felice Giuffrè, di FdI, ha sottolineato che «la magistratura deve essere ossequiosa della separazione dei poteri e dei confini, anche nelle tecniche di interpretazione degli atti normativi approvati dal parlamento».

La seduta si è conclusa con l’intervento del vicepresidente, il laico di centrodestra Fabio Pinelli, che ha ricordato i meriti del Csm nel ridurre l’arretrato e i tempi di vacanza degli incarichi direttivi, ma si è anche incaricato di chiedere a Nordio di «ricordare alla politica che dobbiamo confrontarci con reciproco rispetto».

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