L’accordo complessivo sulla riforma dell’ordinamento giudiziario è ancora lontano, nonostante il premier Mario Draghi abbia chiesto «che i partiti collaborino»,confermando la promessa di non mettere la fiducia.

Tuttavia su un punto la convergenza è stata trovata: il via libera alla proposta di Azione, corretta poi dal ministero della Giustizia, sulla creazione del cosiddetto “fascicolo per la valutazione del magistrato”. Il sì unanime della maggioranza, però, fa il paio con la contrarietà compatta (e inascoltata) di tutta la magistratura.

La novità del fascicolo

Il fascicolo è una sorta di rivoluzione nel metodo di valutazione e di progressione professionale dei magistrati. Per ogni magistrato, infatti, verrà formato uno schedario che contiene le attività svolte: dati statistici e documentazione dell’attività svolta (non solo quella decisoria ma anche le misure cautelari disposte ed eventualmente revocate) «sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo», «la tempestività nell’adozione dei provvedimenti, la sussistenza di caratteri di significativa anomalia in relazione all’esito degli atti e dei provvedimenti nelle successive fasi o nei gradi del procedimento e del giudizio», si legge nel testo prodotto dal ministero della Giustizia dopo l’accordo nei vertici di maggioranza.

Tale fascicolo diventerà uno strumento essenziale sia «ai fini delle valutazioni di professionalità» e quindi gli aumenti progressivi di stipendio, ma anche per «il conferimento degli incarichi» direttivi e semidirettivi da parte del Consiglio superiore della magistratura, ovvero gli scatti di carriera.

Le ragioni della modifica

Si tratta di una modifica sostanziale rispetto al sistema oggi in vigore, introdotto con la riforma del 2006. Attualmente le valutazioni di professionalità dei magistrati, che si svolgono ogni quattro anni e servono per gli scatti di anzianità, vengono fatte dai consigli giudiziari, ovvero gli organi collegiali presenti nei 26 distretti di corte d’appello e composti da magistrati eletti nel territorio e dai membri laici, che tuttavia non hanno diritto di voto su questo specifico tema (ma la riforma punta a modificare anche questo, inserendo il voto unitario dell’avvocatura).

La principale critica mossa al funzionamento ora in vigore è che, di fatto, non viene “bocciato” nessuno. Le valutazioni possibili sono tre: positiva, non positiva e negativa. Le ultime statistiche del Csm mostrano come la percentuale di magistrati promossi con valutazione positiva dal 2008 al 2016 sono in media il 98,2 per cento. Il picco più alto nel 2015, con il 99,5 per cento di valutazioni positive, il più basso nel 2012 con il 97,1 per cento.

Dal 2017 al 2021, i magistrati che hanno ricevuto un giudizio negativo sono stati 35, cioè lo 0,5%; un giudizio “non positivo” 24, pari allo 0,3%, mentre le restanti 7.394 sono stati giudicati positivi. Il risultato è che praticamente tutti i magistrati raggiungono il livello massimo di carriera, stipendio e pensione.

Secondo i magistrati, però, questo risultato è causato da una previsione troppo rigida della riforma del 2006, che prevede che,dopo due valutazioni negative, scatti la dispensa dal servizio. Una conseguenza considerata eccessiva che, in assenza di una maggiore possibilità di gradare i giudizi, produce il profluvio di valutazioni positive.

I pro secondo la politica

La ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ha assicurato che la norma non irrigidisce l’ottica valutativa nei confronti delle toghe ma che il meccanismo serve a migliorare la qualità dei giudizi. Il senso sarebbe proprio quello di invertire la tendenza delle valutazioni tutte positive che di conseguenza rendono anche complicato un giudizio comparativo dei candidati che si presentano al Csm per guidare gli uffici giudiziari. In questo modo, invece, si renderebbe il giudizio il più possibile oggettivo, calibrandolo su evidenze professionali.

A cantare vittoria è soprattutto il proponente, il deputato di Azione Enrico Costa, secondo cui il fascicolo consentirà di conoscere di ogni magistrato «i meriti ma anche gli insuccessi e gli errori, le inchieste flop, le sentenze ribaltate e gli arresti ingiusti», con l’obiettivo di far «fare carriera chi è più bravo e non chi è più organico alle correnti». L’ipotesi politica è che, ottenuto il sì ai fascicoli di rendimento, il centrodestra possa rinunciare al sorteggio temperato per l’elezione al Csm, che sta bloccando il ddl.

I contro dei magistrati

Fortissima contrarietà a questo sistema è stata espressa a tutti i livelli da parte dei magistrati. Il segretario dell’Anm, Salvatore Casciaro, ha parlato di riforma che punta su «una visione iperproduttivistica» che produrrà «un atteggiamento difensivo da parte del magistrato, determinando una diminuzione dei provvedimenti». Le valutazioni, infatti, servirebbero ad accertare lo standard minimo di diligenza professionale, non a generare competizione tra colleghi.

Il presidente, Giuseppe Santalucia, ha spiegato che «le votazioni inevitabilmente producono un’ansia competitiva» e ha messo in luce la pericolosità di agganciare la valutazione di professionalità all’andamento dei processi, «come se un’assoluzione in appello dopo una condanna rappresentasse un errore», mentre invece «il processo è fatto per accertare la verità. È laborioso e complesso. Bisogna rispettarne tutte le fasi».

Stessa critica è stata mossa anche nel parere del Csm, secondo cui una valutazione di questo tipo «è del tutto ultronea e, portando ad una inammissibile classifica tra magistrati dell’ufficio, potrebbe finire per stimolare quel carrierismo che la riforma vorrebbe invece eliminare».

Tradotto: un meccanismo di valutazione genererebbe concorrenza tra i magistrati, mentre ogni magistrato deve essere autonomo e indipendente e non sottoposto a una gerarchia se non quella organizzativa. Dunque, secondo le toghe, enfatizzare i voti produrrebbe carrierismo: esattamente il male che si vorrebbe estirpare. Non solo, si renderebbero i magistrati meno liberi di agire, perchè condizionati.

Sulle obiezioni tecniche dei magistrati prevale però il momento storico, con ancora freschi gli scandali, dal caso Palamara a quello sui verbali di Amara. Per questo la politica ha trovato convergenza su una riforma che introduce criteri di valutazione su un potere che – dalle cronache recenti – è apparso sempre più come casta autogestita secondo meccanismi non sempre trasparenti.

 

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