Le indagini sulla Fondazione Open si sono chiuse il 19 ottobre 2021: la procura di Firenze contesta all'ex segretario del Pd e ora leader di Italia Viva Matteo Renzi il reato di finanziamento illecito ai partiti, secondo i magistrati sarebbe stato il direttore “di fatto” della stessa fondazione. 

Il senatore ha chiesto l’immunità parlamentare. Chiede, cioè, che non vengano utilizzati sms, e-mail, messaggi Whatsapp e intercettazioni finiti negli atti delle indagini, in quanto la raccolta non è stata preventivamente autorizzata così come prevede la costituzione in riferimento a chi è stato eletto in parlamento. Martedì 16 novembre il caso approderà nella giunta per le elezioni e le immunità di Palazzo Madama.

L’inchiesta

Per l’accusa, tra 2014 e 2018 nella cassa di Open, che avrebbe agito come articolazione di partito, sarebbero arrivati oltre 3,5 milioni di euro in violazione del finanziamento pubblico ai partiti. I pm hanno sentito come persone informate dei fatti anche esponenti di peso del Pd: dall’ex segretario Pierluigi Bersani all’ex ministra Rosy Bindi.

«La nuova componente – ha detto Bersani ai pm – aveva l’obiettivo di scalare il partito attraverso una piattaforma politica molto aggressiva, un sistema ampio di relazioni e una vera e propria raccolta fondi».

L’accusa di finanziamento illecito è stata mossa anche all’ex presidente Alberto Bianchi e ai componenti del cda, Marco Carrai, Luca Lotti e Maria Elena Boschi. Lotti in quegli anni è stato prima sottosegretario alla presidenza del Consiglio e poi ministro dello sport, Boschi prima ministra per le Riforme costituzionali e i Rapporti con il parlamento, e poi sottosegretaria alla presidenza del Consiglio. I fondi, ribadisce l'accusa anche alla fine delle indagini, sono stati impiegati per sostenere l'attività politica di Renzi, Lotti, Boschi e dell'allora corrente renziana del Pd.

Gli altri indagati nell'inchiesta sono gli imprenditori Fabrizio Donnini, Alfonso Toto, Riccardo Maestrelli, Giovanni Carucci, in qualità di vice presidente del cda della spa British American Tobacco Italia, Gianluca Ansalone, responsabile dell'ufficio esterno della spa, e Pietro Di Lorenzo, imprenditore di Irbm, la società che ha contribuito, insieme all’università di Oxford e Astrazeneca, alla produzione del vaccino.

Le società coinvolte l'avviso di conclusione indagini sono la Toto Costruzioni Generali spa, la Immobil Green srl, la British American Tobacco Italia spa e Irbm spa, già Irbm science park spa.

I conti di Renzi

Nel fascicolo dell’indagine sono stati depositati anche i movimenti bancari del senatore Renzi, che hanno rivelato versamenti da parte di più società e, ha riportato il Fatto Quotidiano, anche dal “Ministry of Finance Arabia Saudita”, il ministero delle Finanze dell’Arabia Saudita. 

Come rivelato da Domani, Renzi è membro del comitato consultivo dello FII Institute, un organismo controllato dalla famiglia reale: per sedere nel board viene pagato fino a 80mila dollari l’anno.

I versamenti non sono oggetto di indagine e Renzi ha subito parlato di violazione della privacy: «Hanno scelto come testimone dell'accusa penale un avversario politico. Hanno captato comunicazioni e intercettazioni con un metodo che è stato contestato persino dalla Cassazione» e ora «mi aspetta una lunga battaglia in sede civile e penale per ottenere il risarcimento che merito. La farò con tenacia e metodo, passo dopo passo, senza rabbia. Non ho nulla da temere ed anzi la pubblicazione incivile di questi documenti non fa che confermare la mia trasparenza e correttezza» ha scritto su Facebook il leader di Italia Viva.

«Da anni - ha proseguito - spendono centinaia di migliaia di euro e impiegano decine di finanzieri per una caccia all'uomo teorizzata dalla corrente dei giudici di Magistratura Democratica come la stretta di un "cordone sanitario attorno al senatore Renzi”».

La giunta

Renzi già nel 2020 aveva ritenuto opportuno scrivere in prima persona al procuratore aggiunto aggiunto di Firenze, Luca Turco, che stava indagando su di lui, con una missiva inviata il 27 novembre 2020. Lettera con tanto di firma e indirizzo del Senato. Nel testo chiedeva «di utilizzare la procedura prevista dalla Carta costituzionale e dalla Legge», dunque sottoponeva al pm la necessita di chiedere l’autorizzazione prima di procedere.

Il 21 settembre del 2021 ha mandato un’altra lettera tramite avvocati, in cu chiedeva a Turco di «astenersi dallo svolgimento di qualsivoglia attività investigativa» nonché «dall’utilizzare conversazioni e corrispondenza casualmente captate» invocando le «guarentigie» parlamentari.

Il 4 ottobre la procura ha risposto negativamente alla sua richiesta: «L’utilizzazione di dati processuali è stata operata non già nei confronti del loro assistito (dunque di Renzi, ndr), bensì di altro indagato».

Renzi a quel punto si è appellato alla presidente del Senato, che ha affidato la richiesta alla giunta. Il presidente, Maurizio Gasparri (Fi), ha nominato relatrice la senatrice Fiammetta Modena, di Forza Italia. La riunione è fissata alle 20 di martedì 16 novembre. Modena illustrerà il caso, ma difficile però che si decida il giorno stesso. E d’altronde la convocazione prevede anche che vengano discussi i casi di altri politici: Carlo Amedeo Giovanardi (Identità e Azione), non più in parlamento ma senatore all’epoca dei fatti, Luigi Cesaro (Forza Italia), e Armando Siri (Lega). Renzi è all’ultimo punto.

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