Il 2023 del governo in tema di giustizia si annuncia complesso e potenzialmente divisivo.

Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha presentato le sue linee programmatiche in parlamento con un fitto elenco di obiettivi di medio e lungo periodo.

Gli uffici del ministero, però, stanno lavorando a ritmi serrati su tre aspetti: i reati di abuso d’ufficio e traffico d’influenze illecite e separazione delle carriere.

Se le prime due sono modifiche tutto sommato circoscritte, la terza invece è una riforma costituzionale dai contorni ancora non chiari e che richiederà studio e convergenza politica.

Inoltre, è in corso un lavoro per l’applicazione delle due riforme Cartabia: quella del penale, la cui entrata in vigore è stata posticipata al 30 dicembre e quindi a breve sarà operativa, e quella del civile, che invece dovrebbe essere anticipata al 28 febbraio, rispetto alla data fissata dal precedente governo, che era il 30 giugno.

Riforme civile e penale

Le due riforme di sistema sono state ereditate dal governo precedente e ora Nordio è chiamato ad applicarle, in modo da rispettare gli obiettivi fissati dal Pnrr.

La riforma penale doveva entrare in vigore qualche mese fa ma, su richiesta dei 26 procuratori generali, il governo ne ha rinviato l’entrata in vigore al 30 di dicembre, così da permettere agli uffici di predisporre gli adempimenti tecnici e organizzativi.

Nella lettera al ministro, infatti, i procuratori generali hanno sottolineato che la nuova disciplina penale introduce una serie di modifiche e di adempimenti procedurali che richiedono dotazioni informatiche adeguate che in questo momento sono carenti. Questi adempimenti stanno mandando nel caos gli uffici delle procure, non attrezzati in modo sufficiente e quindi non in grado di adempiere senza un tempo “cuscinetto” per adattarsi alle novità e per avere risposte ai dubbi. Uno su tutti: le disposizioni sulle udienze filtro e sul deposito degli atti si applicano ai vecchi fascicoli? Il rischio è che ogni procura adotti la sua interpretazione, con il rischio di una applicazione differente della riforma a seconda della procura.

Lo slittamento – che non andrà oltre oltre per non violare i limiti del Pnrr - ha provocato però un cortocircuito. La riforma penale modifica l’udienza preliminare, prevedendo la pronuncia di archiviazione nel caso in cui non sussista «ragionevole una previsione di condanna». In attesa che entri in vigore questa norma, che muta in modo sostanziale la valutazione del giudice, ci sono stati moltissimi rinvii di udienza.

Anche l’iniziativa di inserire nella legge di Bilancio e poi nel milleproroghe l’entrata in vigore anticipata della riforma civile ha generato polemica.

La decisione del ministro di anticipare al 28 febbraio l’applicazione della riforma civile ha visto contrarie sia l’avvocatura che la magistratura, con un parere del Csm. Secondo gli operatori del diritto, infatti, l’anticipazione di quattro mesi provocherà confusione nelle cancellerie e nei tribunali, non ancora sufficientemente attrezzati.

L’abuso d’ufficio

Il viceministro Francesco Paolo Sisto lo ha ribadito: «Uno dei primi temi che affronteremo è l'abuso di ufficio per liberare gli amministratori dalla paralisi della firma a fronte paura di andare comunque sotto processo».

La riforma – o meglio la cancellazione, negli auspici del ministro – del reato di abuso d’ufficio è un obiettivo certo che dovrebbe realizzarsi nei primi mesi del 2023. Gli uffici legislativi del ministero sono già al lavoro e l’iniziativa è stata accolta con favore sia dalla maggioranza che da una parte dell’opposizione, con il Terzo Polo. Anche il Pd ha detto di non essere pregiudizialmente contrario, ma ha depositato un disegno di legge per modificare la legge Severino in materia di decadenza e una modifica della cosiddetta “responsabilità oggettiva” dei sindaci.

La richiesta di riforma del reato, tuttavia, è arrivata dalle voci trasversali dell’Anci, l’associazione che raduna i sindaci italiani. 

Il ministro, forte anche di questo, ha detto in audizione alle camere che, in materia di corruzione, «I rimedi si sono dimostrati peggiori del male: più pene e nuovi reati, due vaghe fattispecie prive del principio di tassatività (l’abuso d’ufficio e il traffico di influenze illecite) e la manifesta iniquità della retroattività della legge Severino».

Ha poi snocciolato i dati per l’abuso d’ufficio, con solo il 3 per cento di condanne. Le statistiche parlano di 5400 procedimenti el 2021, conclusi con 9 condanne davanti al gip e 18 in sede di dibattimento.

«L’unica conseguenza è il rischio di essere indagati. I politici temono la bagarre mediatica con spesso l’estromissione dal proprio ruolo, ecco perchè si rifugiano nell’inerzia. Dobbiamo abbandonare l’idea di tutelare il buon andamento della pa con minaccia della pena», ha concluso.

Traffico di influenze

L’altro reato che il ministro punta ad abolire è il traffico di influenze illecite, che Sisto ha definito «una norma troppo ampia in cui oggi si può infilare troppo e spesso di tutto, e quella riguardante la possibilità di appello da parte dei pm avverso le sentenze di assoluzione».

Si tratta di un reato molto fumoso e difficile da tradurre in esempi pratici. Nasce per punire tutte le attività preparatorie della corruzione vera e propria.

Infatti, i due soggetti puniti sono colui che si offre come mediatore e il privato che accetta, tra i quali sorge il cosiddetto “pactum sceleris” – il patto per il delitto – mentre il pubblico ufficiale non ha alcun ruolo.

Le fattispecie punite sono due. La prima è quella di chi, sfruttando o vantando relazioni “esistenti o asserite” con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio, si fa dare indebitamente oppure fa dare ad altri denaro o altre utilità, come prezzo della mediazione. Tradotto: il faccendiere con buone connessioni nella pubblica amministrazione chiede denaro a un imprenditore per svolgere il ruolo di intermediario.

La seconda ipotesi è quella di chi, con la medesima condotta, chiede denaro non per sé, ma per remunerare il pubblico ufficiale “in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri”. Ovvero: il faccendiere si presenta come mediatore tra un imprenditore e un pubblico ufficiale e riceve denaro con l’impegno di usarlo per pagare quest’ultimo, in cambio di favori l’imprenditore. In entrambi i casi, a essere punibili sono sia il mediatore che il privato disposto a pagare.

Tanto aggressivo il nome, quanto lieve la pena: il traffico di influenze illecite, infatti, è punito con il carcere da 1 a 4 anni e 6 mesi. Una pena relativamente bassa che lo esclude – pur essendo inserito tra i reati contro la pubblica amministrazione – dalla lista di delitti per cui si possono disporre intercettazioni.

Tuttavia, proprio a causa della sua consistenza «inafferrabile», come l’ha definita il professore di diritto penale al Sant’Anna di Pisa, Tullio Padovani, è spesso ipotizzato insieme ad altri reati più gravi come l’associazione per delinquere. Dunque le intercettazioni vengono comunque svolte.

Il reato è stato introdotto nel nostro ordinamento fino al 2012 per rispondere a sollecitazioni internazionali, in particolare la convenzione di Merida sulla corruzione delle Nazioni unite e la Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d’Europa ratificata dall’Italia. La riforma Spazzacorrotti del 2019 voluta dal ministro Alfonso Bonafede ha invece abrogato il millantato credito (che prevedeva che il mediatore vantasse solo di poter esercitare influenza sul pubblico ufficiale senza averne realmente i mezzi) e lo ha accorpato con il traffico di influenze, di cui ha aumentato la pena massima da 3 a 4 anni e 6 mesi.

L’elemento che rende il reato difficile da dimostrare è che, se il denaro viene consegnato al mediatore per corrompere il pubblico ufficiale, i soldi non devono essere effettivamente né consegnati né promessi al pubblico ufficiale. Altrimenti si rientra nella corruzione.

Separazione delle carriere

Infine, Nordio punta alla riforma costituzionale della separazione delle carriere, che ha già messo in allarme la magistratura. 

Si tratta di un obiettivo complesso, proprio perchè richiede la procedura aggravata di una modifica costituzionale.

Tuttavia, si tratta di uno dei capisaldi della “dottrina” Nordio, che da sempre teorizza la nacessità di separare la carriera del magistrato giudicante da quello requirente per dare applicazione al principio costituzionale del giusto processo e della parità delle armi tra accusa e difesa.

La separazione, secondo il ministro, non aveva senso con il sistema inquisitorio in cui la polizia giudiziaria indagava in modo autonomo, mentre il codice Vassalli ha posto il pm come capo della polizia giudiziaria e questo lo rende «una parte pubblica, ma pur sempre parte, che non ha senso appartenga allo stesso ordine del giudice, perchè svolge un ruolo diverso».

Anche il referendum di maggio che non ha superato il quorum puntava ad un obiettivo simile: la separazione delle funzioni, per la quale era sufficiente un intervento legislativo ordinario. 

Anche la riforma Cartabia sull’ordinamento giudiziario – approvata in giugno –  prevede una separazione di fatto delle funzioni: introduce per il penale il fatto che sia possibile un solo passaggio tra la funzione requirente e quella giudicante (contro le 4 precedentemente previste). La scelta andrà fatta entro 10 anni dall'assegnazione della prima sede.

Per questo i magistrati ritengono che quello di Nordio sia un accanimento ingiustificato che rischia di mettere a rischio l’indipendenza della magistratura, ridimensionando il ruolo del pm e sottoponendolo di fatto al controllo dell’esecutivo.

Lo scontro tra chi sostiene la necessità di separare le carriere e chi invece ritiene che sia necessario non dividere la giurisdizione va avanti da vent’anni, con buone ragioni per entrambi gli schieramenti.

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