Per un giorno il Cnel è diventato il luogo chiave delle riforme costituzionali, grazie ai buoni uffici del neopresidente Renato Brunetta. Le porte del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro – il vituperato organo costituzionale tante volte sull’orlo della abolizione - si sono aperte per ospitare il gotha dei costituzionalisti italiani alla presenza del potente sottosegretario a lla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, filo diretto con la premier Giorgia Meloni per le riforme, e la ministra per le Riforme, Elisabetta Casellati.

Amplissimo il mandato a dibattere: “Riforme costituzionali e forme di governo” e più di venti le voci ascoltate e riunite nella sala Mario Biagi dalla rivista Federalismi. Con un esito che rischia di essere un boomerang per il governo, perchè la direzione maggioritaria degli accademici è stata quella di scoraggiare ogni meccanismo di elezione diretta sia del premier che del capo dello stato.

Gli obiettivi generali del dibattito sono stati fissati da Mantovano: la riforma costituzionale deve portare «stabilità e continuità del governo», in questo perimetro «il dibattito deve avvenire senza pregiudizi». In altre parole, sgomberando il campo dallo slogan che ha fatto parte della campagna elettorale e nel programma del centrodestra: il presidenzialismo.

E i professori proprio in questa direzione sono andati, visto che il presidenzialismo non è mai stato citato come una soluzione percorribile. Addirittura, per dirla con Sandro Staiano, presidente dell’Associazione costituzionalisti italiani, «il presidenzialismo è impossibile, perchè estraneo ai sistemi europei e attualmente in crisi anche dove è nato come dimostra il caso degli Stati Uniti».

Il risultato è stato un dibattito su tre direttrici, di cui il governo che ha convocato gli studiosi non potrà non tener conto: il mantenimento del sistema parlamentare, la preferenza per un sistema di premierato alla tedesca e la necessità di correlare alla riforma costituzionale anche una nuova legge elettorale.

Il sistema tedesco

«Restando nel sistema parlamentare, chi presiede il governo deve essere eletto dal parlamento a camere riunite», ha sintetizzato il professor Andrea Manzella, ricordando che «l’elezione diretta stata storicamente esclusa, con la motivazione che non avrebbe risposto alle condizioni della società». Ovvero, quelle ancora attuali e che il costituente Costantino Mortati ha riassunto come un sistema politico disomogeneo con «molti partiti molto divisi».

Il premierato con il sistema tedesco è stata la direzione più ripetuta negli interventi: un cancelliere con più poteri rispetto all’attuale presidente del Consiglio, con la possibilità di nominare i ministri, che riceve individualmente la fiducia delle camere e con corsie preferenziali per approvare i disegni di legge di proposta governativa e sfiducia costitutiva.

Con alcune notazioni, però. Se l’obiettivo del governo è quello di dare continuità con un governo di legislatura «l’unica variante possibile è quella inglese, che prevede sfiducia costitutiva solo all’interno della stessa maggioranza. Altrimenti la sfiducia costitutiva è l’opposto di un governo di legislatura», ha spiegato il costituzionalista Giovanni Guzzetta.Con la precisazione di Stefano Ceccanti, per offrire legittimazione al premier senza però modificare la forma di governo parlamentare: «Indicare i principi generali della legge elettorale nella riforma costituzionale, prevedendo che il premier venga indicato nella scheda elettorale». In questo modo avrebbe la legittimazione degli elettori e una intesa pre-elettorale, «ma si eviterebbe il sistema troppo rigido del simul simul, perchè con l’elezione diretta del premier si avrebbe necessariamente un governo di legislatura».

Il sistema elettorale, dunque, dovrebbe essere di titpo maggioritario, «con l’elettore che col suo voto indica il proprio rappresentante, il leader che corre come premier e il programma che vuole votare. Questa è la sintesi sul premierato», ha concluso Stelio Mangiamieli.

Tradotto: la riforma costituzionale si ridurrebbe a una riforma che prevede l’indicazione scritta e vincolante del premier sulla scheda elettorale, così da prevedere un premierato all’interno del sistema di governo parlamentare. Una soluzione simile a quella della commissione Bozzi del 1983 ma lontana da quella inizialmente prospettata dal centrodestra. Non a caso la chiosa della ministra Casellati è stata cauta: «La preferenza emersa è quella del premierato, studieremo in sede politica la forma migliore che offra una riforma virtuosa, di cui tutti hanno espresso la necessità». Infatti il premierato in salsa italiana con ritocco necessario della legge elettorale ha un vantaggio e un rischio: da un lato la possibilità di trovare convergenza con le opposizioni, dall’altro che la riforma sia un topolino rispetto alla montagna che sarebbe stata nei progetti del governo Meloni.

 

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